Nel dibattito sempre acceso tra euro in buona salute (per merito della leadership soprattutto tedesca ed italiana) o pronto a scricchiolare sotto il peso del presunto "default" o leggi "ristrutturazione" del debito greco è utile riproppre in questa sede l'intervista apparsa oggi su La Stampa online a Bini Smaghi consigliere Bce.
La Banca centrale europea fa muro contro una ristrutturazione del debito greco. Eppure nei governi dell’area euro qualcuno comincia a pensarci; e i mercati restano convinti che prima o poi ci si arriverà. Sulla base dell’esperienza del Fondo monetario, alcuni ritengono che si possa fare senza traumi.
Lorenzo Bini-Smaghi, l’italiano che siede nel board Bce, non è d’accordo.
«Quello che molti analisti si dimenticano di esaminare - dice -, e che rappresenta la vera differenza rispetto all’esperienza passata, è l’impatto di un default o di una ristrutturazione sul Paese stesso. Da un lato il sistema bancario sarebbe in ginocchio, per le perdite registrate sui titoli di Stato detenuti nel portafoglio e perché perderebbe la possibilità di rifinanziarsi presso la Bce, non avendo più titoli di buona qualità da usare come collaterale. Infine, dato che non c’è la possibilità, come nel caso dell’Argentina, di finanziare lo Stato con moneta, il governo non avrebbe fondi sufficienti per pagare pensioni, salari, spesa corrente. Un vero e proprio tracollo economico».
Allora da chi è nata l’idea?
«La Grecia ha perso tempo a considerare questa possibilità per qualche mese, consigliata male da alcune banche d’affari e da studi di avvocati in cerca di provvigioni, che si erano però dimenticati di evidenziare gli effetti negativi che ho descritto prima. Si è fatta convincere che è possibile fare una “ristrutturazione ordinata”, prima di accorgersi che è una vera e propria favola. Il processo di riforme interne ha rallentato, in particolare per quel che riguarda l’amministrazione fiscale. Ci si trova cosi dopo un anno a dover rimettere mano al programma, per avere maggiori garanzie». Peggio ancora sarebbe un’uscita dall’euro, con la quale di sicuro la Grecia non ripagherebbe più nulla...
«Ho omesso naturalmente il contagio che un disastro greco produrrebbe per il resto dell’area, in particolare per quei Paesi che hanno appena avviato i loro programmi di risanamento».
L’Irlanda per una ristrutturazione del debito potrebbe vantare ragioni più presentabili rispetto alla Grecia. Comunque la crisi dei Paesi deboli dell’euro si è aggravata e pare difficile uscirne.
«Se si guarda con attenzione a ciò che non ha funzionato nel corso degli ultimi dodici mesi, individuerei soprattutto due aspetti. Il primo è che i Paesi che devono risanare i loro conti pubblici aspettano troppo, fino al punto in cui vengono messi nell’angolino dai mercati e perdono la capacità di rifinanziarsi. Questo è stato il caso della Grecia nella primavera dello scorso anno, poi dell’Irlanda nell’autunno e infine del Portogallo in questi giorni. Fortunatamente la Spagna ha agito d’anticipo, anche con riforme strutturali, il che ha consentito di distinguersi chiaramente dagli altri tre Paesi. Ma il rischio di contagio c’è sempre, come si è visto negli ultimi giorni».
Poi ci sono stati gli errori degli altri Paesi...
«Il secondo problema ha riguardato la discussione sulla ristrutturazione dei debiti sovrani e il coinvolgimento del settore privato nel finanziamento dei programmi di risanamento, che ha inquinato i mercati. Basta guardare ai differenziali d’interesse dei titoli di Stato più rischiosi per accorgersi che cominciano ad impennarsi a metà ottobre dello scorso anno, dopo l’accordo Merkel-Sarkozy a Deauville e poi nel Consiglio europeo per legare l’assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà a una forma di ristrutturazione del debito. Un tale meccanismo non esiste da nessun altra parte del mondo e mette l’area dell’euro in condizioni di fragilità rispetto ad attacchi speculativi. Negli ultimi giorni si è visto appunto che appena si parla di ristrutturazione del debito di alcuni Paesi i mercati impazziscono».
Entrare nell’euro è ancora vantaggioso? Forse un Paese debole se rimane fuori può avere credito a tassi più bassi.
«La settimana scorsa qualcuno ha fatto girare la voce che la Grecia sarebbe uscita dall’euro e immediatamente c’è stata una uscita di capitali dall’Europa e l’euro è scivolato. Ciò dimostra che a rimetterci dall’uscita dall’euro sarebbe quel Paese stesso, ma anche gli altri. A guadagnarci sono di sicuro quelli che mettono in giro queste voci, creando fibrillazione nei mercati finanziari. La nuova Autorità europea per il mercato, appena creata, dovrebbe indagare per verificare se non ci sono gli estremi di tentativi di manipolazione del mercato».
Sono piene di ostacoli sia la strada del rigore sia quella della solidarietà. Alla Bce temete che le nuove regole del Patto Euro-Plus non siano severe a sufficienza. Dall’altro lato ogni passo in avanti anche piccolo verso una più stretta cooperazione europea viene bocciato in Germania perché “dà incentivi sbagliati”.
«La Germania, e alcuni altri Paesi, non sono disposti a sborsare più fondi per aiutare la Grecia o altri Paesi in difficoltà, a meno che non ci siano maggiori rassicurazioni sul fatto che i programmi di risanamento siano rigorosamente rispettati o addirittura rafforzati; in particolare con privatizzazioni che consentono di ridurre il debito complessivo. Qui hanno senz’altro ragione. Non riesco invece a capire l’idea di condizionare maggiori aiuti a una qualche forma di ristrutturazione del debito del Paese che riceve gli aiuti, come sembra talvolta emergere da alcune fonti tedesche. È una posizione che si basa in teoria su principi giusti - ossia che i creditori che hanno fatto investimenti imprudenti devono subirne le conseguenze - ma applicata in questo modo incoraggia un comportamento perverso, consente cioè di non pagare parte dei propri debiti in cambio di maggiori debiti. È l’opposto di quello che richiede il buon funzionamento dell’economia di mercato, ovvero che i debiti vanno pagati altrimenti non si ricevono ulteriori prestiti».
Eppure in Germania sono molti a spingere verso una ristrutturazione del debito greco.
«È una posizione autolesionista perché i principali creditori risiedono proprio in Germania».
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