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I titoli dei Post hanno un link di riferimento al tema trattato

Risparmi in Italia: - 60 % in 20 anni, lo dice la Confcommercio

Torino , 30 marzo 2011
I Risparmi in Italia sono sempre stati alti per il senso innato (come per i giapponesi) del "mettere da parte in caso di necessità" ed etico (il non spreco) dell'essere formichina. Se c'è quindi una caduta per questa voce la preoccupazione di un maggior disagio del cittadino con un "reddito disponibile" inferiore (quei soldi oltre le spese necessarie per vivere) segnala  quantomeno l'esistenza, se non proprio di povertà, di un serio problema nel NON POTER PIU' RISPARMIARE anche se lo volessimo.
Questo a livello di psicologia dei consumi sia per l'economia (con tutto quello che può comportare sulla pianificazione di altre spese ...che forse non ci saranno) che sul piano sociale (sarà perchè i genitori aiutano i figli "precari" ? visto il record storico di disoccupazione giovanile, il 28% !!) è un grosso problema .
E allora si impone una necessaria riflessione quando la Confcommercio pubblica uno studio sul crollo dei risparmi (e quindi con riflessi anche sui Consumi) in Italia negli ultimi 20 anni: - 60 % !!!!!!!!!!!!!!!!
Ecco il testo pubblicato oggi su La Stampa online:
La "tenaglia" della bassa crescita e della stagnazione dei redditi negli ultimi venti anni in Italia, unita a un invecchiamento della popolazione, ha prodotto un vero e proprio crollo del risparmio delle famiglie, considerato da sempre uno dei fattori di maggiore solidità del Paese.
La Confcommercio, elaborando i dati Istat, stima che si è più che dimezzata dal 1990 la propensione al risparmio, da circa 4.000 a 1.700 euro l’anno. In pratica se prima per ogni 100 euro di reddito se ne riuscivano a mettere da parte 23, oggi non si arriva a 10. Risparmi che, nota la Confcommercio, si preferisce destinare al bene rifugio per eccellenza: il mattone, il quale resta la principale forma di utilizzo del surplus monetario.
Anche i consumi pro capite si sono ridotti ma a un tasso inferiore a quelli patiti dal reddito e dal risparmio. Per il presidente dell’associazione Carlo Sangalli «è di vitale importanza che la nostra economia torni a crescere a ritmi più robusti, con ampi incrementi di produttività che possano tradursi in incrementi del reddito disponibile e del risparmio, e che si rafforzi la capacità del nostro Paese di attrarre investimenti esteri». Secondo gli analisti della Confcommercio il livello monetario del risparmio è oggi inferiore a quello di venti anni fa di circa 20 miliardi di euro mentre il livello dei prezzi - come anche quello delle retribuzioni monetarie - è oggi più elevato del 50% rispetto all’inizio degli anni ’90. Per questo «la quantità di beni e servizi che si possono acquistare con il risparmio del 2010 è meno della metà di quanto si poteva acquistare con il risparmio del 1990. E non è una questione di livello di prezzi».
(mia nota: i consumi nei Paesi industrializzati rappresentano il 60 - 70 % del Pil, sono il vero motore dell'economia e quindi una lora caduta si buon comprendere quanto sia negativa !!).
La contrazione del risparmio dipende da due cause: la prima, riguarda la stagnazione del reddito disponibile. La seconda riguarda l’età media della popolazione. Nel 2000 l’aspettativa di vita media degli italiani era pari a 40,9 anni per una popolazione di circa 57 milioni di persone. Nel 2007, la vita media attesa era di 41,15 anni, con una crescita di sei decimi di punto rispetto al 2000 e una popolazione di oltre 59 milioni. Tra il 2000 e il 2007 il risparmio effettivamente cresce ma la dimensione demografica non spiega la caduta del risparmio tra il 2009 e il 2010. «La ragione di questa contrazione, purtroppo, è tutta dentro la prolungata riduzione del reddito disponibile delle famiglie - nota Confcommercio - rispetto a dieci o venti anni fa il Paese avrebbe bisogno di maggiore risparmio e invece le condizioni economiche non lo consentono.

La Phoenix Capital prevede un crash del dollaro entro 3 - 4 mesi !!

Torino, 28 marzo 2011
Altre opinioni sul rapporto dollaro/euro. C'è chi vede nero per la moneta Usa e noi da molto tempo, anche in in un'ottica di una riedizione di una nuova Bretton Woods (vedere molti post precedenti su questo Blog dell'anno scorso), pensiamo che la bilancia, tutto sommato, penda in effetti più a favore dell'euro un pò per lo sforzo "Salva Stati della UE e abbastanza per i demeriti del  Bilancio Federale Usa.
Ecco di seguito riporato un parere apparso qualche girono fa su Wallstreetitalia.com:
Crash del dollaro entro i prossimi 3-4 mesi, colpa di inflazione e Fed

Il biglietto toccherà nuovo minimo storico entro il secondo semestre del 2011.
Collasso del dollaro entro i prossimi tre-quattro mesi. E' la previsione di Phoenix Capital Research, che motiva le proprie stime con la "spirale mortale inflazionistica" in atto negli Stati Uniti. Tale fattore porterà il biglietto verde a testare il nuovo minimo record entro il secondo semestre del 2011.  Non bisogna dunque essere sorpresi dal fatto che negli ultimi giorni le quotazioni dell'oro e dell'argento hanno testato nuovi massimi. "Con il dollaro destinato a scivolare e i rumor di un QE3, ovvero di una nuova manovra di quantitative easing da parte della Fed, quale investitore sano scommetterebbe contro l'inflazione"? scrive la nota di Phoenix Capital Research.E' arrivato insomma di proteggersi ricorrendo agli "strumenti hedge che riparano contro l'inflazione. Chi sta investendo in oro e argento sarà ben ricompensato nei prossimi mesi, con l'oro che potrà arrivare fino a quota $1.500 l'oncia e l'argento a $40 entro la fine di quest'anno". E lo stesso Warren Buffett torna oggi a parlare da Nuova Delhi e offre un consiglio ben preciso agli investitori. Evitate i bond a lungo termine che sono collegati all'erosione del dollaro.

Ocse moderatamente ottimista su Europa ed Euro

Torino, 27 marzo 2011

Rilancio questa notizia apparsa oggi su La Stampa online a proposito della salute dell'Europa, Euro ed Italia.
con un'intervista al capo economista dell’Ocse Pier Carlo Padoan :

"L’Italia ce la farà se riforma fisco e spesa pubblica"

Siamo «nel bel mezzo della crisi» ed è difficile prevedere oggi «se il Portogallo o altri Stati andranno incontro a una ristrutturazione del debito». Ma in questo scenario, in cui per alcuni governi sta diventando un’impresa titanica conciliare il risanamento dei bilanci con un ritorno alla crescita - minacciata tra l’altro dall’inflazione in aumento - Pier Carlo Padoan sottolinea che è «fondamentale» che l’Europa sia riuscita a mettersi attorno a un tavolo «per risolvere la questione della governance». Il risultato non fa sprizzare di gioia il capo economista dell’Ocse, ma nel complesso si può definire «moderatamente positivo». Quanto ai pesanti obblighi cui l’Italia andrà incontro nei prossimi anni per il combinato disposto Patto di stabilità-fondo permanente salva Stati, per l’ex economista del Fmi non è insostenibile. A patto che mettiamo in cantiere alcune riforme essenziali. Prima fra tutte, quella fiscale.
Come valuta gli accordi europei sul nuovo Patto di stabilità sul fondo salva-Stati permanente Esm?
«La mia valutazione è moderatamente positiva. Guardiamo indietro: qualche mese fa nessuno avrebbe scommesso su un accordo europeo sulla governance. L'Europa sta dimostrando che sa reagire. In sintesi, io vedo il bicchere mezzo pieno».
La Germania ha ottenuto una rateizzazione dei versamenti per l’Esm. Così non si rischia che il fondo sia troppo piccolo per salvare un grande paese?
«Per i singoli Paesi la rateizzazione dei versamenti è una buona cosa. E se lo scenario dovesse essere quello del rischio default di un Paese non credo che ci sarebbe un problema di risorse. Adesso il G20 sembra un po’ fermo ma nel pieno della crisi ha agito con grande tempestività. Ricordiamoci che dopo il fallimento di Lehman Brothers l’Fmi ottenne in brevissimo tempo un ampliamento dei finanziamenti».
Il commissario Ue agli Affari economici Rehn ha espresso ieri fiducia nella possibilità che il Portogallo ce la faccia senza aiuti esterni, senza il prestito UeFmi. Condivide l’ottimismo di Bruxelles o pensa che il Portogallo alla fine fallirà?
«Nessuno sa se il Portogallo o altri Stati andranno verso una ristrutturazione del debito. Chi crede ciecamente al mercato sta scommettendo sul fatto che i paesi in difficoltà falliranno tutti. Ma vuol dire solo che è aumentato il costo economico e politico dei salvataggi. Noi siamo nel mezzo di una crisi e tutte le opzioni sono possibili. Tra l’altro, dobbiamo smetterla di pensare che le ristrutturazioni dei debiti siano un tabù. L’Uruguay e l’Ucraina dimostrano che possono essere fatte in maniera ordinata».
L’Italia va incontro a oneri molto pesanti. Pur tra molti se e ma, dobbiamo sostanzialmente dimezzare il debito, oggi al 120% del Pil. Ma dobbiamo anche garantire le rate per l’Esm dal 2013. Tutto ciò non rischia di essere troppo oneroso?
«Mi limito a dire bisogna mettere in cantiere degli interventi strutturali. L’Italia ha il vantaggio di avere alle spalle una riforma delle pensioni che la mette in condizioni migliori di altri paesi. Ma deve affrontare il nodo strategico della riqualificazione della spesa e del sistema fiscale».
Come?
«Anche a parità di gettito ci sono strutture fiscali che producono più crescita. Le tasse sul lavoro o sui profitti penalizzano la crescita di più rispetto a quelle ambientali e sui consumi. Poi l’Italia deve anche affrontare la questione di una riqualificazione seria della spesa pubblica, a partire da quella sanitaria».
L’inflazione è in aumento a causa delle pressioni sui prezzi energetici e delle materie prime. Avrà effetti sulla ripresa in atto?
«Se per caso i prezzi energetici e quelli delle materie prime dovessero stabilizzarsi ai livelli attuali l’effetto sulla crescita si farà sentire. In alcuni paesi emergenti sull’andamento del Pil si rifletteranno anche gli effetti delle misure restrittive. Per ora le aspettative di inflazione dei paesi avanzati restano stabili. Ma occorre tenere d’occhio l'evoluzione».
Dalla Bce è atteso già ad aprile un aumento dei tassi di interesse. Non temete che possa anch’esso avere riflessi negativi sulla crescita?
«L’aumento dei tassi, se ci sarà, sarà il riflesso delle preoccupazioni della Bce sulle aspettative di inflazione nella zona euro. Certo, parlare di un rischio di stagflazione, come fa qualcuno, mi pare esagerato. La crescita c'è, e si sta rafforzando. Non prevedo effetti sulla ripresa dell'aumento dei tassi».
Cosa pensa del decreto salva-Opa?
«Penso che d’un lato debba valere il principio della reciprocità. Per il resto, mi limito a osservare che si dice spesso che l’Italia non è competitiva: se ci sono aziende straniere interessate a imprese italiane, un po’ competitivi, evidentemente, lo siamo ancora».

Opinioni contrastanti sull'euro

Torino, 25 marzo 2011

Sono di oggi due letture tra loro contrastanti sul rapporto euro - dollaro e ve le propongo.
Una è l'iniziativa UE "Salva Stati" che si è messa in moto per aiutare il Portogallo dopo la recente bocciatura in Parlamento del pacchetto sacrifici/ripresa e l'altra è un'opinione di Warren Buffet che none esclude un crack dell'euro.
Personalmente penso che, come ampiamento ripetuto e documentato, gli Usa in termini di debito pubblico sul Pil sono messi peggio dell'Europa - zona euro. Però agli attuali livelli di cross rate ogni notizia macroeconomica di economia reale e/o di finanza (positiva o negativa ovviamente) può fare la differenza per il trend di medio periodo. Si marcerà verso quota 1,50 o si tornerà sui minimi di 1,20 ??? O si stabilizzerà in una fascia intorno a 1,40 per un certo (lungo periodo) ? .... speculazione permettendo che non sta mai  ferma proprio per il suo ruolo di anticipatore e di ...eccessi !!
Occhio dunque !!!!!
Ecco le due notizie.
Da La Stampa online di oggi:
1) "Per salvare il Portogallo 75 miliardi"
L'Europa: siamo pronti a intervenire
Il governo cade sui tagli, è caos. Adesso si teme l'effetto contagio.
È l’ora di tutte le incertezze per il Portogallo, dalla notte scorsa sprofondato in una grave crisi politica con le dimissioni del premier socialista Josè Socrates, e inoltre sempre di più sotto pressione dei mercati che lo spingono verso un piano di salvataggio Ue-Fmi.
La crisi portoghese pesa sull’insieme della zona euro, che teme un possibile effetto contagio verso altri paesi periferici, in particolare la Spagna, dove però nelle ultime settimane è stato registrata netta ripresa di fiducia dei mercati finanziari. Le banche spagnole tuttavia detengono un terzo circa del debito portoghese. Secondo l’agenzia Bloomberg, che cita due fonti europee, l’ammontare degli aiuti a Lisbona si aggirerebbe tra i 50 e i 70 miliardi di euro. Stando alle stime di Royal Bank of Scotland, un salvataggio potrebbe ammontare a 80 miliardi.  Il piccolo paese lusitano è ora sotto i proiettori dei signori della politica europea e dei mercati: si è svegliato questa mattina in un mare di incertezze, promesso dagli analisti alle forche caudine del salvataggio Ue-Fmi. E in un clima di duro scontro e di pre-campagna fra il governo socialista minoritario uscente e l’opposizione, che ieri notte l’ha costretto alle dimissioni. La crisi politica, che si aggiunge alla pressione di nuovo sempre più forte della speculazione - i tassi sul debito battono tutti i record - rende l’ipotesi di un ricorso all’aiuto esterno quasi inevitabile.
A confortare questa analisi, condivisa praticamente da tutti i commentatori, è subito arrivata anche la nuova mazzata di Fitch, che oggi ha declassato a "A-" il rating del paese - minacciando ulteriori tagli - a causa delle crisi politica. «Con questa crisi politica i mercati finanziari saranno pazienti con il Portogallo quanto Erode lo fù con i bambini ebrei: tassi alle stelle, "rating" a picco. Non arriveremo all’estate: dovremo chiedere aiuto rapidamente» e «il prossimo premier governerà con il Fmi» avverte Jornal de Negocios. Entro giugno il paese deve trovare sui mercati quasi 9 miliardi per rifinanziarsi, e «fra interessi da pagare e ammortizzatori ha la corda al collo» avverte Publico.
Il capo dello Stato Anibal Cavaco Silva dovrebbe accettare le dimissioni del premier solo domani, al suo rientro dal vertice Ue di Bruxelles, cui quindi partecipa, per ogni evenienza, nel ancora «pieno delle funzioni». Poi la crisi politica dovrebbe accelerarsi. Cavaco Silva dovrebbe annunciare elezioni anticipate a fine maggio e per giugno il paese potrebbe avere cosi un nuovo governo. Molti portoghesi, e secondo la stampa anche il capo dello Stato, vorrebbero pilotare il Paese in questa fase di crisi grave una grande coalizione fra i socialisti e il Psd di Pedro Passos Coelho, l’uomo che stando ai sondaggi potrebbe diventare il prossimo premier. Il leader dell’ opposizione sarebbe disponibile, ma a condizione che i socialisti non siano più guidati da Socrates. I due grandi protagonisti della crisi portoghese oggi erano a Bruxelles: il premier al vertice Ue, Passos Coelho a quello del Ppe. Tutti e due impegnati a sdrammatizzare con i partner europei la crisi interna del paese. Socrates ha detto che farà di tutto per evitare il ricorso al salvataggio esterno, e anche Passos Coelho ha affermato che il paese può farne a meno. Ma con le elezioni dietro l’angolo, nessuno vuole dare la sensazione di rassegnarsi alla "capitolazione". Il presidente dell’Eurogruppo lui non ha avuto la stessa prudenza: Jean Claude Juncker non ha escluso un salvataggio del Portogallo, che costerebbe 75 miliardi.
Intanto nella notte è stato raggiunto «un accordo unanime» sul meccanismo permanente salvastati. Il presidente Herman Van Rompuy, al termine della prima giornata del Consiglio europeo, ha spiegato come dovranno essere disponibili i 500 miliardi di euro di cui sarà dotato: «80 miliardi in capitale versato, in cinque rate a partire dal 2 luglio 2013». Le cinque rate versate a comporre gli 80 miliardi di capitale versato dagli stati membri, ha precisato, saranno «di pari importo». «Inoltre l’Esm - ha aggiunto il presidente permanente della Ue per spiegare come saranno materialmente disponibili i 500 miliardi di euro - avrà una combinazione di capitale richiamabile impegnato e di fideiussioni da parte degli stati membri della zona euro per un totale di 620 miliardi di euro. Durante la fase transitoria dal 2013 al 2017, gli stati membri si impegnano ad accelerare, nell’improbabile evento che ciò sia necessario, la fornitura di strumenti adeguati in modo di mantenere un minimo del 15% tra capitale versato e l’importo delle emissioni Esm ancora in sospeso».
Da Wallstreetitalia.com di oggi:
2) Warren Buffett: il guru di Omaha non esclude un crack dell'euro
Un collasso dell'euro non è affatto escluso. Parola di Warren Buffett, che ha parlato nel corso di una intervista rilasciata al canale televisivo Cnbc. "Mi rendo conto che alcune persone pensano che tale scenario sia impensabile...Ma io non penso che lo sia", ha detto il guru di Omaha.
Certo, l'investitore miliardario afferma che ci saranno "sforzi enormi" per tutelare la sopravvivenza della moneta unica. Ma i problemi dei paesi periferici come il Portogallo devono trovare il modo di risolvere le proprie crisi fiscali. "Nel lungo termine, la presenza di questi problemi non funzionerà. (Questi paesi) dovranno cercare di regolare i loro conti in armonia e in modo ragionevole".
Le parole di Buffett arrivano in un momento in cui il problema dei Piigs - mai risolto - torna a far da padrone sui mercati (anche se bisogna dire che l'azionario sta mostrando una maggiore resistenza rispetto a quando scoppiò il caso Grecia). Le preoccupazioni si focalizzano appunto sul caso Portogallo, dopo che i rendimenti dei decennali portoghesi a due e dieci anni sono schizzati a nuovi record , sulla scia della notizia delle dimissioni rassegnate dal premier Jose Socrates. Socrates è stato sconfitto ieri dal Parlamento, che ha bocciato il suo piano di austerity sui conti pubblici. Si parla a questo punto della possibilità di un bailout che potrebbe essere fino a 100 mld euro.
Occhi rivolti anche alla Spagna, che ha assistito al downgrade di ben 30 banche da parte di Moody's. La situazione per la Spagna e il Portogallo- che fanno parte dei Piigs - è di fatto preoccupante.













Le Risorse naturali spesso dimenticate: l'acqua

Torino, 22 marzo 2011
Spesso per abitudine e deformazione professionale parliamo di economia passata attuale e futura  riferendoci per lo più ai dati numerici e su quelli elaboriamo analisi, commenti e previsioni.
Ma prestiamo poca attenzione alle risorse naturali come bene supremo della terra beni che visto l'incremento demografico che conterà un numero di abitanti, se pur nel lontano 2050, di circa 9 miliardi dagli attuali 6,8 miliardi dovrebbe metterci in allarme fin da oggi.
Dunque attenzione alle risorse e visto che oggi è stata proclamata la giornata mondiale dell'acqua (IL NUOVO ORO BLU) dall'Onu leggiamo con interesse l'articolo apparso su La Stampa online di oggi e prestiamo attenzione alle informazioni in esso contenute:

Oggi è la Giornata dell'oro blu: un miliardo di persone non ne ha abbastanza. E nel Primo Mondo crescono gli sprechi, mentre si tenta di privatizzarla.
E’ un bene vitale che manca a oltre un miliardo di persone, per il quale si combattono guerre palesi o striscianti, che durano anni; è una risorsa strategica al centro di interessi e appetiti enormi, dovrebbe essere un diritto per ogni essere umano ma si vuole ridurre a merce qualsiasi.
Oggi è la Giornata mondiale dell’acqua, l’allarme lanciato dall’Onu, «Acqua per le città, rispondere alla sfida urbana», ricorda che l’oro blu sarà sempre più conteso anche nelle metropoli. La vergogna è che la sfida delle acque urbane non è dovuta alla scarsità della risorsa, ma alla cattiva gestione e alla cattiva politica, che non contrastano l’inquinamento e i cambiamenti climatici, l’avidità delle multinazionali che si accaparrano questo bene comune.
I dati sul rapporto tra acqua e urbanizzazione, pubblicati sul sito ufficiale del World Water Day 2011 (www.worldwaterday2011.org), parlano chiaro. La crescita della popolazione urbana avanza al ritmo di due persone al secondo, metà della popolazione mondiale vive ormai nelle città, entro due decenni saranno il 60% con punte del 95% nei Paesi in via di sviluppo.
In Africa e Asia si calcola che la popolazione urbana raddoppierà entro il 2030, e già ora un abitante su quattro delle città del mondo (789 milioni di esseri umani) vive senza adeguate strutture igienico-sanitarie.
La sfida dell’oro blu nelle città aumenta se si considerano i dati sulla povertà: 828 milioni di persone vivono in baraccopoli o luoghi senza adeguati servizi idrici e igienico-sanitari.
I poveri pagano fino a 50 volte in più per un litro d’acqua rispetto ai loro vicini più ricchi, poiché spesso devono comprarla da fornitori privati. L’acqua viene accaparrata soprattutto da industria e agricoltura (monocolture industriali) e l’inquinamento è costante: due milioni di tonnellate di rifiuti vengono smaltiti in corsi d’acqua ogni giorno, dicono gli esperti (nei Paesi in via di sviluppo il 90% delle acque reflue viene immesso senza essere trattato direttamente in fiumi, laghi e mari), la salute umana viene compromessa dalla scarsità di acqua potabile, che provoca malattie come il colera e la malaria.
Le reti di distribuzione urbana sono un colabrodo, perdono anche il 50% del prezioso liquido, con una stima annuale che si aggira tra i 250 e i 500 milioni di metri cubi di acqua potabile nelle grandi città.
Ecco una «grande opera» da affrontare subito.
Il continente più disastrato è l’Africa: secondo l’Amref, acronimo di African Medical and Research Foundation, la principale organizzazione sanitaria del continente nata oltre cinquant’anni fa a Nairobi (Kenya), nell’Africa subsahariana l’accesso all’acqua pulita è un diritto fondamentale negato a più del 40% della popolazione: «Senz’acqua non c’è salute né sviluppo – dice Tommy Simmons, direttore generale di Amref Italia –. I danni all’agricoltura sono incalcolabili, il bestiame muore, le lezioni a scuola non si possono svolgere regolarmente e saltano anche gli equilibri familiari, perché le donne sono costrette ad assentarsi per ore alla ricerca di acqua, lasciando incustoditi i figli».
La mancanza di acqua pulita e di servizi igienici adeguati costa ogni anno all’Africa Subsahariana il 5% del suo Pil ed è legato, direttamente o indirettamente, all’80% delle malattie.
All’acqua, prodigioso elemento del quale siamo in gran parte composti, è dunque legato il destino dell’umanità: fino a ieri la parola d’ordine sembrava essere privatizzazione, oggi si comincia a capire che la gestione delle multinazionali non funziona, che dev’essere il settore pubblico a garantire l’acqua a ogni cittadino: lo si è visto anche a Berlino e a Parigi, dove il Comune si è ripreso la gestione completa delle acque sottraendola alle multinazionali Veolia e Suez grazie a un’amministratrice, Anne Le Strat, non a caso laureatasi con una tesi sul tema dell’acqua nel conflitto israelo-palestinese.
In un mondo sempre più ingiusto, il prossimo referendum italiano potrebbe costituire una svolta: il controllo sull’acqua dovrebbe essere pubblico, sociale, cooperativo, equo e non destinato alla creazione di profitto; deve rispettare l’ecosistema, le sorgenti e le falde.
Principi difficili da realizzare se si considera Madre Terra solo come un business, un deposito infinito di materie prime.





E' fuga dai Treasuries ?

Torino, 14 marzo 2011
E’ veramente interessante notare quanto sta succedendo al maggiore fondo obbligazionario al mondo, il Total Return Fund di Pimco, che nel mese di gennaio ha azzerato la percentuale di bond in portafoglio.
Dal sito Wallstreetitalia.com:
"Bill Gross Ceo del Fondo stava dicendo sul serio quando annunciò che stava annullando tutte le posizioni nel mercato obbligazionario. Ma in molti non ci credevano. I dati devono ancora essere ufficializzati. Non c'e' piu' traccia dei $28,6 miliardi di titoli "legati al governo", mentre le posizioni cash sono cresciute da $11,9 miliardi a ben $54,5 milioni. Gli assets di PIMCO in titoli di stato americani hanno toccato i massimi a giugno dell'anno scorso, quando l'ammontare totale in portafoglio era pari a $147,4 miliardi. Da allora sono calati drasticamente. Inoltre le ultime decisione prese da Bill Gross portano a credere che ora il money manager sia convinto che non ci sara' alcun QE3, ovvero una terza tornata di operazioni di acquisto di titoli di stato a lungo termine, una misura straordinaria di allentamento monetario. E se Bill Gross, la persona piu' vicina alle azioni intraprese della Fed, sa che non ci saranno altre misure di quantitative easing, allora e' un chiaro segnale di fuga da tutte le classi di Treasuries, ma non solo, anche per le azioni".

Un passo in più a difesa dell'euro

Torino, 14 marzo 2011

Altro passo in avavnti per le norme UE "Salva Stati" a difesa dell'euro.
Riporto l'interessante articolo apparso ieri su ilsole24ore.com:
"Il tragico terremoto in Giappone e gli eventi in Nord Africa hanno distolto l'attenzione, ma il vertice dei capi di governo dei paesi dell'euro ha affrontato tre questioni importanti: i meccanismi a sostegno dei paesi in difficoltà, l'implementazione del Patto di Stabilità per rinforzare la disciplina di bilancio,  nuovi meccanismi per accrescere la competitività e accelerare la convergenza economica dei paesi dell'euro.
Cosa si è concluso?
Sul primo punto (sostegno ai paesi in difficoltà), il vertice ha sostanzialmente confermato le attese, e su alcuni aspetti forse è andato oltre. Le dimensioni effettive dell'Efsf, il fondo già esistente a sostegno dei paesi dell'euro, saliranno da 250 a 440 miliardi, e l'Esm, il nuovo fondo che lo sostituirà dal 2013, arriverà a disporre di 500 miliardi. Inoltre, il costo dei prestiti erogati sarà abbassato a tassi meno punitivi di quelli attuali, in linea con le modalità del Fondo monetario internazionale.
Ciò si applicherà in piccola parte anche ai prestiti già concessi alla Grecia, la cui scadenza è anche allungata a 7 anni e mezzo. Infine, in casi eccezionali entrambi i fondi, oltre a erogare prestiti ai paesi in difficoltà, potranno anche intervenire sul mercato primario del debito. Queste decisioni sono importanti, perché rinforzano gli strumenti per arginare gli episodi di contagio e riportare fiducia sul debito sovrano. Tuttavia, su altri aspetti riguardanti il sostegno ai paesi in difficoltà si poteva fare di più. L'acquisto di titoli è possibile solo per quelli di nuova emissione, e non per sostenere il debito già in circolazione - compito che quindi continuerà a toccare alla Banca centrale europea. L'intervento di entrambi i fondi (Esm ed Efsf) non sarà deciso da un organo tecnico ma dovrà essere approvato all'unanimità, e solo in circostanze che possano mettere a repentaglio la stabilità dell'intera area euro, con le prevedibili incertezze politiche che accompagneranno questa decisione.
Infine, e come già preannunciato, il debito emesso sul mercato dopo il 2013 dovrà contenere clausole di rinegoziazione per facilitarne la ristrutturazione (e sarà subordinato rispetto ad eventuali prestiti concessi dall'Esm); naturalmente ciò rende più rischioso anche il debito già in circolazione, che avrà maggiori difficoltà a essere rinnovato alla scadenza, e ciò ostacola il ritorno della fiducia.
Sul secondo punto (disciplina di bilancio), il vertice ha confermato che verranno resi operativi parametri numerici per il rientro dal debito pubblico, che però terranno conto della situazione complessiva di ogni paese, come chiesto dal governo italiano. Inoltre, è stato ribadito il principio che la legislazione nazionale dovrà rinforzare i meccanismi di controllo dei bilanci pubblici, senza però imporre un unico formato o assetto istituzionale. Entrambi i punti sono importanti e condivisibili. Ma i dettagli qui sono cruciali, e per questo dovremo aspettare le prossime decisioni
Infine sul terzo punto (competitività e convergenza), si è sostanzialmente deciso di adattare i meccanismi di peer pressure già sperimentati nell'ambito della strategia di Lisbona. Ogni governo dovrà annunciare i provvedimenti che intende adottare per rinforzare la competitività del suo paese, nell'ambito di principi guida condivisi, confrontandosi con i governi degli altri stati membri. Qui il vertice ha scelto di bendarsi gli occhi, rifiutando di ammettere che l'ambiziosa strategia di Lisbona è stata un clamoroso fallimento. È quasi certo che lo stesso accadrà a questa parte del "Patto per l'Euro". La peer pressure non basta per adottare riforme politicamente impopolari.
Forse è un bene se questa parte degli accordi rimane priva di conseguenze, perché il rischio di errori e di derive neocorporative è grande. Il nodo della competitività non va affrontato con il coordinamento intergovernativo delle politiche dell'offerta. Al contrario, la competizione tra sistemi economici, assai più del coordinamento, è ciò che spinge ogni paese a darsi un assetto efficiente. Sarebbe stato meglio dare priorità all'obiettivo di rinforzare e completare il mercato unico, accettando in alcuni ambiti anche un maggior trasferimento di sovranità alle autorità europee. Il rapporto recentemente preparato da Mario Monti per il Presidente della Commissione Europea contiene numerosi e preziosi suggerimenti al riguardo. Da questo punto di vista, il "Patto per l'Euro" risente di un'impostazione sbagliata e rappresenta un'occasione sprecata.
Il mercato unico non è il solo peccato di omissione commesso dal vertice europeo. Vi è un'altra area di grande importanza che ha ricevuto poca attenzione: il sistema bancario. La crisi del debito sovrano è anche una crisi delle banche, in due sensi. Innanzitutto perché in alcuni paesi (Irlanda e Spagna) la sostenibilità del bilancio pubblico è compromessa dalla fragilità del sistema bancario. In secondo luogo, e assai più universalmente, perché la crisi di fiducia sul debito pubblico si ripercuote sui bilanci delle banche. Come ben sanno le banche italiane, ciò fa salire il costo del denaro per tutta l'economia, e nei casi più estremi costringe la Bce a tenere in vita banche anche molto vicine all'insolvenza. La soluzione a questo problema non può che passare attraverso una forte ricapitalizzazione del sistema bancario. Ma nonostante l'urgenza e la rilevanza della questione, il comunicato emesso dai capi di governo vi dedica solo poche righe.
Insomma, il vertice ha fatto passi avanti che consentono di guadagnare tempo. Il che non è poco. Ma alcuni nodi cruciali rimangono irrisolti. È troppo presto per dire che si è svoltato l'angolo"



Euro al bivio ?

Torino, 4 marzo 2011
Siamo sicuri del rialzo dei tassi da parte Bce il prossimo mese annunciato dalla Bce?
Possono essere duplici le risposte. Da un lato il timore di inflazione dopo due anni di tassi fermi e a livelli storici che "più bassi non si può" giustifica l'impennata di ieri sul dollaro in quento molti analisti pensavano a qualche movimento dei tassi verso l'alto intorno al mese di giugno.
Dal'altro può esserci ancora una dilazione nei tempi per un aumento in quanto:
1) Trichet presidente Bce (nell'articolo sotto riportato da La Stampa online di ieri)  ha dichiarato che l'aumento ci sarà solo se permangono nell'arco di tempo di un mese le tensioni per un rialzo dei prezzi che superi o mantenga la soglia attuale stimata intorno al 2,2% annuo.
2) I prezzi delle materie prime energetiche e di quelle alimentari (vedi allarme Fao: link     http://www3.lastampa.it/economia/sezioni/articolo/lstp/391526/  ) sembrano raffredarsi.
2) La ripresa non è certo così forte da usare l'arma monetaria (pur giustificata) per frenarla così presto.
3) In Usa non è detto che con il Pil rivisto al rialzo nel IV trimestre 2010 e le stime più che buone per il 2011 non portino anche qui ad un rialzo dallo storico 0 - 0,25. Poi è anche importante guardare allo spread.
4) I fondamentali dati dal rapporto Debito/Pil con un valore dell'euro vs $ di circa 1,40 più che giustificano questo rapporto a questo livello euro/dollaro a causa del miglior consolidato-ponderato Debito/Pil a favore dell'Europa - euro zona ma non oltre.
Certo  la vera scommessa è in termini dinamici (anche sullo stesso 2011).
5) Chi crede nell'analisi tecnica il dato settimanale da due anni e mezzo a questa parte traccia una linea decrescente che passa per i picchi del 14 luglio 2008 a 1,6037 poi a 1,5144 del 23 novembre 2009  poi per il 1 novembre 2010 a 1,4281 e infine per i massimi di ieri a 1,3974.
Vaglierà l'euro una soglia di resistenza così lunga?????
Molti davvero sono gli indicatori che potranno far segnare una tendenza piuttosto che un'altra !
Intervento di ieri di Trichet da La Stampa online:
"Mossa anti-inflazione di Trichet :Terremo i prezzi sotto controllo"
Stretta sul credito in arrivo per famiglie e imprese di tutta l'area euro: la Banca centrale europea ha confermato il costo del danaro al minimo storico dell'1 per cento, ma al tempo stesso il presidente Jean-Claude Trichet ha esplicitamente indicato l'orientamento a procedere ad un rialzo già dal mese prossimo. Una accelerazione che ha colto di sorpresa i mercati, che fino ad oggi si attendevano un possibile rialzo solo attorno a giugno, mentre molti analisti tendevano ad escludere manovre simili prima del terzo o perfino quarto trimestre. Il tutto ha proiettato al rialzo l'euro sul mercato dei cambi, fino a fargli raggiungere quota 1,3974 dollari nel pomeriggio.
La Bce rompe gli indugi rilevando «rischi sui prezzi» sbilanciati «al rialzo». I tassi di interesse sono il principale strumento con cui la banche centrali possono cercare di contrastare le pressioni sui prezzi. Si riflettono a cascata su tutti i prestiti concessi dalle banche commerciali a imprese e famiglie. Più 'costa' il credito, e quindi il danaro, più sono disincentivati i rincari sui prezzi e le rivendicazioni salariali. Il caro petrolio sta creando eccessive pressioni destabilizzanti e Trichet ha rilevato la necessità di esercitare una «forte vigilanza». Quest'ultimo è un termine chiave nel gergo della Bce, che in passato veniva regolarmente utilizzato un mese prima di procedere a rialzi dei tassi. Una stretta il mese prossimo è «possibile», ha poi rincarato Trichet, anche se «non è certa: dipenderà dall'evolversi della situazione, faremo tutto il necessario per garantire la stabilità dei prezzi, come previsto dal nostro mandato costitutivo».





Dollaro moneta rifugio nelle tensioni !

E' probabile che gli accadimenti di questi giorni rafforzati dalle ipotesi di nuovi sommovimenti nell'area mediorientale portino il dollaro a rafforzarsi più che altro come moneta rifugio. E di poche ore fa la preoccupazione che oltre al prezzo del greggio (brent) oltre i 114 $ ci possano essere nuovi scenari nel Barhein con invio di truppe dell'Arabia Saudita punto nevralgico di tutto lo scacchiere non solo di quella zona ma del mondo intero.
Come spunto di riflessione riporto quanto scritto poche ore fa sul sito wallstreetitalia.com:
L'Arabia Saudita manda 15 carrarmati nel vicino Bahrein, uno staterello dove si giochera' con ogni probabilita' il futuro di tutta la regione mediorientale. L'intento e' quello di aiutare a sedare le proteste antigovernative di matrice sciita che stanno prendendo forza nel paese. Lo ha riportato un'agenzia di stampa locale, che ha citato testimoni oculari.
Nonostante la smentita dei sauditi, come riportato da Reuters, i mercati non ci credono e i prezzi del greggio e delle commodity continuano a salire. La paura e' che le tensioni e le rivolte potrebbero presto coinvolgere anche il regno saudita, il paese piu' ricco del mondo in termini di risorse petrolifere.
La situazione in Bahrein, un'isola che si trova a est dell'Arabia Saudita, interessa da vicino i sauditi perche' li' le rivolte sono di matrice sciita (il 70% della gente in Bahrein). Il popolo sciita saudita (che rappresenta circa il 20% del totale) risiede proprio nella parte orientale della nazione.
Se le indiscrezioni si dovessero rivelare veritierie, la situazione si fara' sempre piu' critica, con la componente religiosa che potrebbe entrare in gioco in un impeto rivoluzionario che sinora e' stato motivato dalla disoccupazione e dal rincaro degli alimentari.
Oggi la borsa saudita ha perso alla chiusura alle 15:30 locali il -6,8%, il maggiore calo dal novembre 2008, ai tempi della crisi finanziaria globale (con un calo dell'8%, sui minimi intraday). La settimana scorsa il Re Abdullah ha varato un piano da $36 miliardi di benefit dedicati alla popolazione piu' povera, nel tentativo di prevenire eventuali rivolte.
L'indice della Botrsa di Riad Index, ha perso -6.8% a 5,538.72. Al-Rajhi Bank e' scesa ai minimi da un anno, e Saudi Basic Industries, la piu' grande azienda di prodotti petrochimici del mondo, ha accusato un crollo di -7.8%, secondo Bloomberg. L'indice Tadawul All Shares e' ufficialmente entrato da oggi in territorio "orso", avendo perso il 20% dai picchi del 2010: e' la griglia che definisce un mercato ribassista. Anche i Credit Default Swaps legati all'Arabia Saudita sono saliti, a quota 140.
"La performance della borsa saudita esemplifica come il rischio geo-politico rimanga ancora non risolto nella regione", ha detto a Bloomberg Omair Ansari, equity strategist per Gulfmena Alternative Investments a Dubai.
"Abbiamo ancora rumors di proteste previste nel Regno per l'11 e 12 marzo, fatto che causa incertezza. I mercati contineranno a capitolare, per l'incapacita' di prezzare correttamente i rischi". Le proteste di piazza in atto in Oman e Bahrain seguono quanto accaduto in Tunisia ed Egitto, dove le popolazioni, con proteste di piazza, hanno cacciato leader dispotici al potere da decenni. Adesso sul web circolano convocazioni di un "Day of Rage" in versione Arabia Saudita enttro le prossime due settimane.