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I titoli dei Post hanno un link di riferimento al tema trattato

Guardiamo bene nel futuro dell'euro senza troppi pregiudizi !!

Torino, 30 novembre 2010

In questi giorni di turbolenza valutaria faccio mio l'articolo apparso su La Stampa online di oggi di Stefano Lepri che sottolinea come in un momento di particolare speculazione un senso più reale e pragmatico "delle cose economiche" potrebbe indurre ad altre considerazioni nel rapporto euro vs dollaro.
In effetti non si sottolinea mai abbastanza come il debito pubblico aggregato dei Paesi euro, ponderato per il numero degli abitanti, sia di circa venti punti in meno rispetto a quello Usa:  per il 2010 la previsone è Eurozona rapporto debito/pil del 84,7 - Usa rapporto debito/pil del 101,0.
Pertanto chi  "invoca" come fu alle soglie dell'estate scorsa di un rapporto intorno a 1,20 (ammissibile con l'accentuarsi della speculazione) o addirittura nel famoso 1:1 è a mio avviso in assoluta malafede e con caratteri di "mafia" economica !!!!  Ricordiamoci di chi cervava, nel travagliato periodo di caduta tra maggio e agosto 2010, fino al minimo 1,1917 del 7 giugno, di perseguire l'obiettivo del crollo assoluto dell'euro.
La speculazione e le lobbies economiche e politiche (non la realtà dei numeri ... almeno in buona parte) tentano di rifarsi di nuovo.
Ma ricordiamoci di come rimase scottata (la speculazione) molto di recente  tra la tarda estate e l'autunno: dal 13 settembre 2010, quando l'euro veleggiava a 1,2877 vs dollaro si portò  a novembre sui massimi vicino agli 1,43 (forse un valore di certo eccessivo).
Ok per un riaggiustamento, anche in funzione delle variabili macroeconomiche del momento e della situazioni sui mercati monetari, UN RIPENSAMENTO SU EVENTUALI MISURE STRAORDINARIE (forse necessarie) ma occhio a CHI REMA CONTRO IN MODO ECCESSIVO !!!
COMUNQUE PER IL MOMENTO ACCONTENTIAMOCI DELL'OTTIMO ARTICOLO DI STEFANO LEPRI SU LA STAMPA ONLINE DI OGGI.
Ecco il testo:
Non hanno placato i mercati né il salvataggio dell’Irlanda né il nuovo meccanismo per affrontare le crisi del debito pubblico negli anni futuri. Eppure erano decisioni abbastanza forti, quelle prese dai ministri dell’area euro e dell’Unione domenica a Bruxelles. Disfacevano i pericolosi equivoci nati oltre un mese fa dal vertice di Deauville fra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Accettavano, a sorpresa, le proposte della Banca centrale europea.
A Bruxelles e a Francoforte si spera che la fiammata non duri; e che la validità dell’accordo venga compresa. Le teste migliori, sui mercati, già la riconoscono. Ma la corsa esasperata potrebbe continuare. Si avrebbe così la prova che, una volta messe in moto, certe sbandate gregarie dei mercati sono più difficili da fermare di una valanga, anche prendendo le misure giuste. Proprio per questo in Italia occorre fare attenzione a ciò che ha detto ieri la Commissione europea.
In altri tempi non sarebbe particolarmente grave il dubbio dei tecnici di Bruxelles sui piani del governo italiano: prevedono 0,4% di deficit pubblico in più nel 2011 (6 miliardi) e 0,8% nel 2012. Ci sarebbe tutto il tempo di verificare gli andamenti e di correggere durante l’anno prossimo nel caso risulti necessario. Ma non siamo in un momento normale. Il documento della Commissione è stato pubblicato nella tarda mattinata di ieri, poco dopo che per la prima volta il «contagio» dell’ansia sui Paesi deboli dell’euro aveva toccato anche l’Italia. Un’asta di titoli di Stato non del tutto favorevole, dove i tassi che il Tesoro paga si sono rialzati di oltre mezzo punto, ha dato esca a voci false che per qualche decina di minuti hanno ingigantito il problema.
Nell’analisi dei tecnici di Bruxelles non è credibile per intero il forte aumento del gettito tributario che il governo italiano ha messo in bilancio come recupero dell’evasione. Sarebbe meglio, secondo loro, non vendere la pelle dell’orso prima di averlo acchiappato. Per giunta le modifiche in corso alla «legge di stabilità» in Parlamento - non ancora esaminate a Bruxelles - potrebbero renderla più fragile.
In una situazione tanto delicata, è meglio non rischiare. Ai bilanci degli Stati deboli dell’euro i mercati stanno dedicando una attenzione esasperata. Le previsioni economiche della Commissione europea non hanno contribuito molto al nervosismo di ieri, perché nel complesso dell’Unione abbastanza positive; ma se l’Italia capita nel mirino, diventeranno visibili anche aspetti prima trascurati.
Tra gli economisti si discute se ulteriori strette ai bilanci, da gettare in pasto al Moloch dei mercati, non rischino di essere controproducenti. Ideale sarebbe avere solidi programmi pluriennali di risanamento e di riforme, credibili senza concentrare tutti i sacrifici subito. Ma proprio nel momento in cui nella politica italiana tutti usano la parola «futuro» trovare un accordo del genere pare più lontano che mai.

Soccorso congiunto UE - Fmi per Irlanda

Torino, 28 novembre 2010

Come detto ieri dal Presidente Napolitano bisogna che le Istituzioni europee e i Governi non indugino nel sostenere l'euro contro le speculazioni. A mio avviso i fondamentali (debito e deficit pubblici - e privati - europei aggregati, pur nelle diverse accezzioni di interpretazione, rimangono a favore dell'euro contro dollaro). Ecco perchè le annotazioni quotidiane dei media non "spostano" le analisi sui fondamentali al di là delle pur  critiche situzioni del momento. Bisogna essere capaci di guardare al di là del contingente e valutare  tre aspetti fondamentali se si vuole essere dei buoni analisti economici (macroeconomici e finanziari):
1) Lo status quo e la dinamica dei conti pubblici e dei debiti privati di uno Stato (di cui  ho già detto).
2) Le dinamiche del Pil (la Fed ha appena rivisto al ribasso le previsoni future)
3) Le politiche monetarie, di cambio e valutare la liquidità in circolazione nei Paesi più importanti (ormai è assodata la volontà di diversificazione del rischio cambio dei Paesi ricchi emergenti)
4) Le novità di new and core/old business rivisitati a fine "consumer"sullo scenario mondiale e trarre conseguenze sugli asset allocation (compresi Hedge Foud e Fondi Sovrani). Aspetto più instabile e di difficile individuazione di un trend. Tipico da "predator", "Hit and run" vista la diversificazione possibile degli investimenti.
Tornando all'Europa e all'Euro ecco un riferimento esauriente sull'attuale situazione di soccorso all'Iranda tratto da La Stampa online di oggi:
Pronto un prestito di 85 miliardi
Si terrà a Bruxelles a partire dalle 13 con la presenza fisica dei ministri delle Finanze dei 16 paesi della moneta unica la riunione straordinaria dell’Eurogruppo per varare il piano di aiuti all’economia irlandese. L’annuncio ufficiale è stato dato questa mattina, dopo che per tutta la giornata di ieri si sono rincorse le ipotesi contrastanti sull’eventualità che la decisione fosse o no presa in teleconferenza.
Già ieri in tarda serata la presidenza belga aveva confermato la convocazione di un consiglio «informale» Ecofin, allargato quindi ai 27 paesi dell’Unione europea, che si riunirà subito dopo l’Eurogruppo. L’Italia sarà rappresentata a entrambe le riunioni dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Secondo le ultime indiscrezioni circolate a Bruxelles, i partner europei dell’Irlanda, il Fmi e la Bce avrebbero raggiunto con le autorità irlandesi, che mercoledì scorso hanno presentato un piano di tagli e nuove entrate per i prossimi 4 anni, l’accordo per un aiuto di circa 85 miliardi.
Fino a ieri in tarda serata però i dettagli del piano di salvataggio, in particolare gli impegni che Dublino dovrà garantire per ottenerlo, erano ancora in fase di negoziazione, così come non era ancora stato deciso se i ministri Ue si sarebbero incontrati personalmente a Bruxelles o per teleconferenza, come avevano fatto la scorsa domenica quando avevano esaminato la richiesta di aiuti del governo irlandese. Secondo l’ipotesi rilanciata ieri sera da una rete televisiva irlandese, il tasso di interesse degli aiuti finanziari potrebbe arrivare al 6,7% (quelli concessi alla Grecia la scorsa primavera erano a un tasso del 5,2%).
Le misure di austerità annunciate dal governo mercoledì scorso prevedono 15 miliardi di tagli e aumenti delle tasse, per arrivare entro il 2014 al 3% del rapporto deficit/Pil, un decimo dell’attuale (32%). Gli aiuti della comunità internazionale proverranno in parte dall’European financial stability facility, il fondo da 440 miliardi creato l’estate scorsa per far fronte a rischi di stabilità per la zona euro dopo il caso greco, in parte dal Fondo monetario internazionale e ancora da prestiti bilaterali da parte di Regno Unito, Svezia e Danimarca, che pur essendo fuori dall’Eurozona sono particolarmente esposti verso l’economia irlandese.

Euro giù ma non tutto è perduto !!

Torino, 24 novembre 2010

Al di là dell'enfasi (abbastanza giustificata ma non nuova !!) sul momento NO dell'Euro che leggiamo sui giornali in questi giorni le provocazioni della Merkel sulla possibile uscita dall'euro di Paesi che non sono in  grado di controllare i conti pubblici sono, quasi per paradosso, un bene per i mercati e per il futuro dell'Europa. Infatti come si dice nell'articolo sotto riproposto ripreso oggi dal Corriere della Sera online di Danilo Taino  il Patto di stabilità deve essere una "cosa seria" !!
Ecco un inciso che troveremo più tardi ma che  è il succo di cosa DEVE FARE L'EUROPA PER ESSERE UN 'IDENTITA' DEL FUTURO NEL PANORAMA GEOECONOMICO E GEOPOLITICO MONDIALE.
" Berlino vuole che i mercati si rendano conto che non tutti i titoli di Stato emessi dai 16 Paesi dell'Eurozona sono uguali, pretende che ogni governo si assuma le responsabilità del suo bilancio pubblico. Se questo crea instabilità sui mercati - dicono in queste ore i funzionari del governo tedesco- pazienza o forse meglio: per sopravvivere l'euro ha bisogno che il Patto di stabilità che lo sostiene funzioni davvero"
Ciò non potrà che rafforzare e OBBLIGARE I PAESI EURO A DAR CORSO A DURE POLITICHE DI RISANAMENTO !! A mio avviso, pur nella gravità e complessità della crisi, è un 'operazione più di "moral suasion" l'atteggiamento tedesco.
Ecco il testo interessante dal Corriere on line di oggi:
BERLINO - Se qualcuno aveva dubbi sulla gravità delle crisi dell'Eurozona, ecco Angela Merkel. «Siamo in una situazione straordinariamente seria per quel che riguarda lo stato dell'euro», ha detto ieri la cancelliera di fronte all'assemblea annuale degli imprenditori tedeschi. Nel parlamento di Berlino, intanto, parlava il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: di fronte alla crisi finanziaria dell'Irlanda, diceva, «vorrei rendere chiaro che è in gioco la nostra moneta comune. Se non riusciamo insieme a difenderla stabilmente le conseguenze economiche e sociali sarebbero incalcolabili». I mercati, già sotto pressione perché il pacchetto di aiuti europei a Dublino non li ha affatto calmati, si sono ulteriormente innervositi.
A Berlino la preoccupazione per quello che sta succedendo cresce di giorno in giorno. Il fatto che le decine di miliardi promesse all'Irlanda non abbiano tranquillizzato i mercati e anzi abbiano spostato le attenzioni sulle difficoltà del Portogallo fa temere che sia iniziato un effetto domino difficile da controllare.
La convinzione che si sta facendo strada è che i pacchetti di salvataggio - in primavera la Grecia, ora l'Irlanda - non possano bastare. Molti commentatori diranno che il governo di Berlino sbaglia nel chiedere che i governi nazionali siano messi di fronte alle loro responsabilità, non più coperti dall'ombrello di un euro indifferenziato, attraverso la possibilità che chi non ha i conti in ordine possa dover ristrutturare i suoi debiti, cioè ammettere un fallimento. E diranno che Frau Merkel non si rende conto di quanto pesino le sue parole sui mercati.
In realtà, la cancelliera sa quello che dice. Lo stesso vale per il ministro Schäuble, uno dei politici più esperti d'Europa. La realtà è che il governo tedesco non crede che la crisi che sta attraversando l'Eurozona possa essere controllata con interventi contingenti. E non esclude che alla fine di questa fase drammatica qualche Paese possa essere costretto ad abbandonare l'euro, per quanto complicato potrebbe essere: la signora Merkel aveva accennato a questa possibilità in primavera, durante la crisi greca, e a Berlino l'ipotesi continua a non essere data per esclusa. Il Paese che non è in grado di avere conti pubblici stabili - è il ragionamento - mina la solidità dell'euro. Infatti, sempre ieri, Frau Merkel ha ribadito che «se l'euro dev'essere una valuta stabile, il Patto di stabilità e crescita va mantenuto», anche con la clausola del possibile default di un Paese con i conti fuori controllo.
Berlino vuole che i mercati si rendano conto che non tutti i titoli di Stato emessi dai 16 Paesi dell'Eurozona sono uguali, pretende che ogni governo si assuma le responsabilità del suo bilancio pubblico. Se questo crea instabilità sui mercati - dicono in queste ore i funzionari del governo - pazienza o forse meglio: per sopravvivere l'euro ha bisogno che il Patto di stabilità che lo sostiene funzioni davvero. In più, il governo di Berlino deve fare attenzione ad aspetti apparentemente formali ma in realtà potenzialmente decisivi. In Germania, per dire, alcuni economisti - ieri il rispettato Max Otte sulle colonne del giornale finanziario Handesblatt - cominciano a sostenere che il pacchetto di salvataggio all'Irlanda viola le regole del Trattato di Maastricht perché sposta le passività di un Paese sui partner. Se così ritenesse anche la Corte Costituzionale tedesca, tutto finirebbe nel caos: la Germania non potrebbe partecipare al salvataggio e quindi quest'ultimo fallirebbe. Situazione «straordinariamente seria», in effetti.

Equilibri geoeconomici sempre più a favore della Cina

Torino, 16 novembre 2010

Se sempre più spesso ci si chiede dove va l'economia mondiale, se e quando ci saranno ancora turbolenze sui mercati, se la ripresa mondiale si confermerà presto in modo forse più o meno uniforme in tutto il mondo ma almeno in modo costante, per capire cioè cosa può succedere a chi ha più  debiti o crediti guardando alle riserve, alla situazione dei Fondi sovrani, alla liquidità internazionale, alla bilancia commerciale e dei pagamenti, non si può che guardare alla Cina. Oltre ad essere la nazione leader in Africa detiene un cospicuo "gruzzolo" del debito Usa condizionando non poco la sua politica monetaria. Ma con  la stessa logica è difficile dire se sui mercati delle valute prevale l'analisi tradizionale sui fondamentali se si ragiona dal lato del singolo governo (per esempio Spagna e Grecia che porterebbero giù l'Euro ...con il Portogallo e l'Irlanda) o una diametralmente opposta in quanto Pechino va in loro soccorso comprandosi un "bel tot" di debito pubblico (cos'è la Cina ...il nuovo Fmi del nuovo millennio ???)
..ecco le ultime news. Ho trovato davvero stimolante quanto scritto oggi su miaeconomia.leonardo.it a tal proposito e ve lo ripropongo volentieri perchè se punti fermi sullo scenario internazionale non c'è ne sono molti forse uno c'è di sicuro. La Cina si sta comprando mezzo mondo e questo con che conseguenze ????
Ecco il testo di miaeconomia.leonardo.it di oggi:

Gli annunci spettacolari si stanno ripetendo sempre piu' spesso. La Cina ha imparato molto bene certe regole della comunicazione in salsa postmoderna, a cominciare dalla dichiarazione di sostegno al debito pubblico della Grecia, in un momento critico come quello attuale.
La recente visita del premier Hu Jintao alle capitali europee non ha fatto altro che confermare questo scenario, con i capi di governo a fare la fila a chiedere aiuto. e infatti la Cina ha promesso contratti alle imprese francesi e, dopo la Grecia, ha aperto le porte anche a un sostegno al Portogallo, a sua volta in bilico davanti alla crisi. Del resto l'Europa e' ormai il primo partner commerciale della Cina e ha ormai in questo senso superato gli Stati Uniti.
Allo stesso tempo i muscoli del colosso cinese non si sono ancora mostrati. Intanto niente di strano se Pechino si e' comprata anche 625 milioni di euro di debito spagnolo, ha lanciato la proposta di investire nella costruzione di una nuova autostrada in Polonia, mentre una societa' cinese - la Cosco - sta allargando il porto di Napoli. Per non dimenticare la Hna, un gruppo specializzato nella logistica e nel turismo, che sta lavorando a un gigantesco air terminal a nord di Roma per gestire i carichi in arrivo dalla Cina.
E’ ovvio che l’obiettivo a questo punto non e’ piu’ solo essere presenti sul mercato europeo ma anche nei processi decisionali del Vecchio Continente. Un dato dovrebbe fare riflettere: nel 1914 la Gran Bretagna controllava qualcosa come il 45% degli investimenti diretti esteri mondiali, nel 1967 erano gli Stati Uniti ad avere in mano una quota del 50%. Oggi tutta la Cina - Hong Kong compresa - arriva a malapena a una quota del 6%. Da qui la sensazione ovvia che la quota non potra' che salire e anche di corsa.











Europa: il bilancio Ue alla resa dei conti !!

Torino, 15 novembre 2010

Non c'è solo il problema dell'euro e cioè di come i governi riescono a limitare il defict/debito pubblico. C'è anche il braccio di ferro tra Parlamento europeo e governi alla luce delle nuove applicazioni del Trattato di Lisbona che conferiscono al Parlamento UE titolo ad esempio per decidere tagli o meno nell'Agricoltura che rappresenta, da sempre, la maggior voce di spesa e cioè intorno al 40% dell'intera spesa. Al riguardo mi piace riproporre quanto letto su soldi-web.it di oggi.
Ecco il testo:

Ue, il bilancio è a rischio: oggi il d-day
di Matteo Chiamenti
A Bruxelles crescono i timori sulla finanziaria 2011. Oggi la resa dei conti…
È corsa contro il tempo a Bruxelles per evitare che lo scontro tra governi e Parlamento europeo sulla finanziarià Ue 2011 porti a qualche mal di pancia di troppo. Nel Berlaymont (palazzo della Commissione europea), così come nella sede della presidenza Belga del Consiglio, come ripreso da Ansa, hanno lavorato per tutto il week end di un lungo ponte vacanziero belga, per preparare una proposta sulla quale sia possibile che domani si trovi un accordo dopo la frattura istituzionale scattata giovedì scorso.
La conseguenza, in caso di fallimento nell'ultimo giorno disponibile previsto dalle norme Ue, sarebbe l'avvio dell'esercizio provvisorio. Il meccanismo implica che la Ue proceda per dodicesimi dell'esercizio precedente: di mese in mese a partire da gennaio ci sarebbe a bilancio un dodicesimo di quanto previsto nel 2010. Dettaglio importante, non ci sarebbe riporto delle spese non effettuate. Quindi, ad esempio, non ci sarebbero fondi per i pagamenti della Pac che in genere si concentrano nel mese di febbraio: un dodicesimo delle risorse del 2010 non coprirebbero quei contributi. Men che meno ci sarebbero i soldi per il progetto Iter (ricerca sulla fusione fredda per la quale la Ue è impegnata con 1,4 miliardi) o per i fondi di coesione (quelli che l'Italia riscuote per il sud), che proprio dal prossimo anno dovrebbero essere erogati per la maggior quota nel 'quadro finanziariò 2007-2013. E difficilmente i diplomatici assunti per il nuovo Servizio esterno della baronessa Ashton potrebbero ricevere lo stipendio, visto che nel 2010 il Seae non era neppure previsto se non per gli ultimi tre mesi dell'anno. Per non parlare delle authority per la governance economica lanciate dal Commissario Olli Rehn, che sono state inventate solo un paio di mesi fa.
“Il momento è pericoloso, ma dobbiamo trovare un accordo” ha ripetuto ieri il portavoce del commissario Lewandowski, che già venerdì scorso aveva messo in guardia contro i rischi di un nuovo fallimento. A far scattare la tensione sono le nuove regole previste dal Trattato di Lisbona. Grazie ad una delle sue tante novità, quest'anno per la prima volta il Parlamento ha piena voce su tutte le voci di bilancio. Fino al 2009 intere aree, come l'agricoltura (che da sola pesa per il 40%) e gli esteri, erano esclusivamente nelle mani dei governi. Che, come sottolineato dai parlamentari, non vogliono riconoscere il nuovo ruolo politico degli eletti dai 500 milioni di cittadini europei. È quindi scattato da un mese il braccio di ferro. Tutto politico. Perchè giovedì scorso i parlamentari guidati dal presidente Jerzy Buzek hanno accettato senza problemi il taglio agli aumenti di bilancio chiesto a gran voce dal premier David Cameron quando affermò, sostenuto tra l'altro da Parigi e Berlino, che non avrebbe ammesso aumenti superiori al +2,91%. Ma hanno puntato i piedi prima e sbattuto la porta poi, quando giovedì scorso i rappresentanti di Gran Bretagna, Svezia, Olanda, Danimarca, Lettonia, Austria, ma anche Francia e parzialmente Germania, hanno rifiutato la pretesa dell'Europarlamento di varare un piano politico che assicuri 'risorse propriè alla Ue (leggi nuove tasse se non eurobond) per le sue politiche di sviluppo nel quadro 2014-2020. Se salterà l'appuntamento di domani, l'esercizio provvisorio si potrebbe evitare con un intervento del Consiglio dei leader in programma a dicembre. «Ma non prenderei il rischio di mettere il bilancio annuale nell'agenda nel vertice di dicembre» ha detto Lewandowski, consapevole che ad alzare il tono dello scontro rischiano di “farsi male” tutti.

Guerra della valute: ancorarsi di nuovo all'oro ?

Torino, 10 novembre 2010

E' di una certa suggestione la sollecitazione che proviene dal Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick di ancorare "in un qualche modo" le valute all'oro.
Che da tempo si parli di una nuova "Bretton Woods" non è una novità ma il ritorno ad un "Gold Standard" cosa significherebbe? Un ritorno improponibile al passato in un epoca di globalizzazione dove fattori geoeconomici e geopolitici possono mutare velocemente i sottostanti fondamentali legati ai debiti  pubblici e privati? Paura di un yuan emergente negli anni? E a chi converrebbe? Allora si potrebbe anche proporre  un "Basket di valute rappresentative" più o meno come si fece con lo Snake, il Serpente monetario europeo degli anni '70 (stipulato nel '72 per l'esattezza) dove si poteva contare su bande di oscillazione tra valute europee e tra queste e il dollaro? Il concetto potrebbe essere allargato ad una serie di valute mondiali con pesi diversi in funzionie di opportunità maceoeconomiche e di politiche degli scambi.
Certo che da un lato c'è la necessità di "stabilizzare" le follie della finanza anomala che però ha tanti adepti (Fondi sovrani compresi) e per contro trovare regole compatibili con un mercato mondiale reale e finanziario talmente diverso e non più così correlato come in passato.
E' certamente la sfida di questi anni per coniugare rigore e sviluppo dove per rigore può trovare posto la parola piani di sviluppo per una crescita dell'economia reale e far sì che la finanza svolga un ruolo ad essa di supporto e sostegno e nulla più.
Comunque su questi argomenti in vista del G20 di Seoul è interessante riproporre quanto pubblicato ieri su La Stampa online a firma di Stefano Lepri.
Ecco il testo:
L’Ue bacchetta gli Usa. "Il piano Fed non va" e si preannuncia un G20 difficile: dollaro contro il resto del mondo. Trichet  è convinto che agli Stati Uniti interessa un dollaro forte. Comunque butta male per il prossimo G-20 se perfino il lussemburghese Jean-Claude Jimcker, presidente dell'Eurogruppo, alza la voce contro gli Stati Uniti. Per definire un successo il vertice dei capi di Stato e di governo giovedì e venerdì a Seoul è probabile che alla fine la propaganda inventerà qualcosa. Ma in sostanza la cooperazione è a zero: il mondo sta entrando nell'epoca dell'ognuno per sé. La ragione è semplice. Ieri a Delhi Barack Obama ha difeso la scelta di stampare dollari sostenendo che intende accelerare la crescita economica degli Stati Uniti, «cosa positiva per il mondo nel suo insieme». Non è più così. La novità è che il resto del mondo può crescere anche senza gli Usa. Lo stesso Obama dimostra di saperlo, quando in altre occasioni afferma che «il consumatore americano non può più essere il solo motore dell'economia mondiale». Nella crisi, il peggio è stato evitato mettendo a carico degli Stati una parte dei debiti che i privati hanno creato. Geithrter,  ministro americano, s'è detto fiducioso sul fatto che Pechino al G20 collaborerà perche non riuscirebbero a ripagare i debiti contratti con gli Usa. Ma si può continuare ancora con questo rimedio di emergenza? Juncker, ieri davanti al Parlamento europeo, per criticare la mossa americana «che non pare giusta» ha detto che «combattere il debito con ulteriore debito» pone solo «rischi inflazionistici». L'eccesso di dollari produrrà effetti negativi diversi sull'Europa (euro troppo forte) e sui paesi emérgenti (bolle speculative).Già adesso, nella parole del presidente dell'Eurogruppo, «il cambio dollaro-euro non è quello che dovrebbe essere», mentre sui paesi emergenti «si riverserà un eccesso di liquidità che essi potrebbero non essere in grado di riassorbire». All'ultimo momento, Obama con il viaggio a Delhi è forse riuscito a portare dalla sua parte l'India. Però dentro il G-20 quasi tutti criticano gli Stati Uniti, quasi tutti criticano la Cina. Entrambe le potenze maggiori vengono accusate di praticare politiche egoistiche, per certi aspetti simmetriche: Pechino distorce i mercati per mantenere basso il valoré dello yuan, Washington crea moneta (quantitative easing) per abbassare il valore del dollaro. Al G-20 ambedue offriranno falsità. Gli Stati Uniti insistono che vogliono «un dollaro forte», affermazione a cui nessuno crede (tranne, per un misto di tattica e di prudenza istituzionale, il presidente della Bce Jean Claude Trichet). Può aver ragione la Cina quando giudica rischioso mantenere i tassi di interesse bassi troppo a lungo, come vogliono fare gli Usa; ma nasconde che ne soffre proprio perché lega lo yuan al dollaro. Il dollaro, moneta principale del mondo, viene manovrato dagli Usa secondo proprie esigenze interne; la Cina vi aggancia lo yuan. Dal Sudafrica alla Germania al Brasile, questo non piace. Cercando una soluzione il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick ieri se ne è uscito con l'idea di «usare l'oro come un punto di riferimento», un ritorno al passato. Così il metallo ha superato per la prima volta i 1.400 dollari l'oncia. Stupiti o negativi i primi commenti: «Vuol concorrere per il premio mondiale della stupidità?» scrive ad esempio sul suo blog l'economista Brad De Long, già sottosegretario di Clinton. Peraltro, c'è di peggio: i più estremisti nel «Tea party» vorrebbero privatizzare l'emissione di moneta, un salto nel Medioevo.

Europa - Usa è al momento sull'1 a 0

Torino, 4 novembre 2010

Questo inizio novembre non fa che confermare alcune analisi già esposte da tempo in questo Blog con diversi Post.
1) La ripresa a macchia di leopardo premia un pò di più l'Europa che gli Usa se esaminiamo i dati macroeconomici finora disponibili e valutiamo quelli in prospettiva
2) I Fondamentali non sono cambiati ma se possibile migliorati più per l'Europa che per gli Usa visto la risoluzione sul "Nuovo Patto di Stabilità" UE che porterà sì sacrifici ai cittadini ma "conti più in ordine" agli Stati menbri e ciò porterà maggior valore all'Euro.
3) Delle analisi a caldo su quanto deciso ieri dalla Fed e come gli analisti hanno valutato la decisione di immissione di liquidità mi è  molto piaciuto e mi sembra interessante riproporvi quanto scritto su Il Sole 24 ore online di oggi:
Ecco il testo a firma di Vittorio Carlini:
"Ben Bernanke, con un articolo sul Washington Post, ( http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2010-11-04/bernanke-agito-avere-occupazione-135621.shtml )  difende il piano d'acquisto di 600 miliardi in bond. «Con la disoccupazione così alta - dice - rischiamo la deflazione e la stagnazione». Il presidente della Fed, fors'anche sotto pressione dopo la sconfitta di Barack Obama nel mid-term, parla ai suoi, al popolo americano. Solo che, nella globalizzazione, non ci sono solo Mr e Mrs Smith.
Così la reazione dei governatori del Lontano oriente, e non solo, non si è fatta attendere. Non c'è da stupirsi. La Fed sta pilotando verso il basso il dollaro: il Baht Thailandese , nell'anno, è cresciuto di oltre l'11% contro il biglietto verde. Il coreano won è balzato del 6% mentre il peso filippino è salito dell'8 per cento. Per non parlare poi della debolezza dello yen giapponese. È il risultato dei movimenti di capitale verso le economie (soprattuto degli emerging market) a più alti tassi di crescita: con i treasury Usa (a breve) a zero e, in teoria, la curva dei rendimenti che si schiaccia, gli investitori cercano lo yield fuori dai paesi occidentali.
Solo che questo crea squilibri sui cambi monetari; porta volatilità sugli asset e obbliga gli emerging country a pensare contro-mosse per difendere le proprie economie. «L'allentamento quantitativo degli Stati Uniti e di altri paesi - dice la Banca centrale coreana - sta spostando masse monetarie verso gli emergenti, creando non poche preoccupazioni». Il risultato? «Stiamo pensando - dice una fonte del ministero delle Finanze - a mosse per contrastare questo trend». Traduzione: introdurremo altre misure alla limitazione dei capitali stranieri.
Non è solo la Thailandia. «Il lancio del Q2 - afferma Norma Chan, capo dell'autorità monetaria di Hong Kong - metterà pressione suoi nostri asset. Prenderemo misure specifiche per il mercato immobiliare». Anche qui: si stringe sulla circolazione dei capitali.
Un'impostazione che risuona anche nelle parole di Amando Tetancgo, banchiere centrale delle Filippine: «Rimarremo vigili per monitorare la situazione». Anche perché, il paese è un "magnete" per i corporate bond: basta ricordare, per esempio, l'emissione da 470 milioni realizzata da Pterno corp, la più grande società di raffinazione del paese.
La Boe non segue la Fed
Insomma, in molti non ci stanno a subire passivamente le mosse degli Stati Uniti e del suo banchiere centrale. Che, peraltro, non viene seguito dalla stessa Bank of England. La Banca d'Inghilterra ha deciso di mantenere i tassi d'interesse al minimo record dello 0,50%. Tuttavia, la Boe non aumenterà il suo programma di acquisto di bond da 200 miliardi di setrline. Cioè, non segue Ben Bernanke lungo la sua strada. La ripresa del mercato immobiliare e l'andamento dell'economia britannica non sono tali da richiedere sostegni supplementari.
La Bce lascia invariati i tassi all'1 per cento
A pochi minuti dall'intervento della Boe c'è stato quello della Banca centrale europea. Come ampiamente atteso i tassi di riferimento sono rimasti fermi all'1 per cento. Una scelta che, evidentemente, tiene conto di una ripresa in Eurolandia comunque sempre a rischio, mentre la disoccupazione è elevata. Non può dimenticarsi, poi, che l'euro è di nuovo salito a 1,4244 verso il dollaro. Rispetto a strategie di quantitative easing, invece, bva ricordato che l'Eurotower da tempo si è smarcata dalla Fed e da Ben Bernanke.
Il quale anche all'interno della riserva federale non ha l'unanime consenso. Il Wsj scrive che il capo della riserva di Kansas City, Thomas Hoenig, potrebbe essere «il canarino delle miniere di carbone». Come il simpatico volatile è (un po' crudelmente) usato per capire se ci sono fughe di gas nelle gallerie, così Hoenig potrebbe esere l'indizio di una crepa che si apre sempre di più sulle misure troppo espansive di Bernake.
Hoenig ha sempre votato contro nei Fomc di quest'anno. Il capo di Kansas city, sempre solo a livello ufficiale , nelle sue posizioni non è stato abile a sviluppare il dibattito in suo favore. Tuttavia, la rotazione dei mebri del Fomc nel 2011 porterà al voto i capi delle riserve di Chicago, Philadelphia, Dallas e Minneapolis. Ebbene, mentre New York e Chicago sembrano schierati a favore di Bernanke the "Helicopter", gli altri potrebbero portare un po' di sale nella discussione. E indebolire la strategia dell'attuale presidente della Fed.