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I titoli dei Post hanno un link di riferimento al tema trattato

Arriva il fondo anticrack per l'area UE !!

Torino, 31 maggio 2011
Una notizia, anche con un pò di giorni di ritardo, vale la pena di essere riproposta.
Da La Stampa online del 20 maggio:
"Arriva l’eurosalvataggio a listino fisso. Dal 2013, in caso di intervento d’emergenza per liberare una capitale dell’Eurozona dalle sabbie mobili dei conti in rosso profondo, il costo della flebo di liquidità sarà definito da una formula precisa e uguale per tutti. Gli Stati in crisi pagheranno il costo dell’approvvigionamento sostenuto dal nuovo fondo anticrac (Esm), più una commissione di 200 punti base per i prestiti inferiori ai tre anni, sovrapprezzo che salirà di 100 punti oltre questa soglia temporale.
È un principio utile. In futuro permetterà di evitare le discutibili trattative di questi giorni, con Irlanda e Grecia impegnate a chiedere sconti sui finanziamenti. Tra due anni, prezzo sarà automatico e indiscutibile. Le regole sono scritte nella bozza del Trattato che istituisce l’Esm, il meccanismo europeo di stabilità che avrebbe magari fatto meglio a chiamarsi Fondo monetario europeo, in fondo la sostanza è quella. Le 28 pagine del testo, di cui La Stampa è entrato in possesso, saranno discusse dai ministri economici di Eurolandia in giugno. Secondo le fonti, la struttura raccoglie consensi fra gli Stati, però la Germania chiede che al capitale partecipino anche le banche private, con diritto di presenza nel board dell’istituto. Ci sarà battaglia, ma Berlino è isolata.
Il Trattato sviscera il cosa, il come e il quanto dell’Esm. Cominciamo dai soldi, dal capitale fissato in 700 miliardi e ripartito in 7 milioni di azioni da 100 mila euro l’una. La dotazione sarà divisa in due parte, le azioni versate e quelle disponibili (“callable”). I paesi dovranno dunque sborsare sono parte del Tesoro, 80 miliardi in cinque tranche da un quinto l’una a partire da metà 2013, data in cui l’Esm prenderà il posto dell’attuale strumento salva Stati, l’Efsf, nato nel 2010 per durare tre anni. I conti sono presto fatti, le quote sono calcolate in linea col peso che ogni paese ha nel capitale della Bce. L’Italia è il terzo azionista, dopo Germania e Francia. Sarà responsabile per la copertura di 125,3 miliardi. La quota da versare sarà di 14, 32 miliardi in cinque anni, come richiesto e ottenuto dalla cancelliera Merkel, senza che nessuno avesse da obiettare, a Roma in particolare.
Ne risultata che fra due anni di questi tempo il Tesoro dovrà spedire in Lussemburgo 2,8 miliardi di euro, come primo contributo per il decollo del fondo. Un gesto che dovrà ripetere per cinque volte e dunque sino al 2017. Tutto questo se non ci saranno problemi, come si auspica. Lo statuto prevede che gli Stati debbano essere pronti ad aumentare la dotazione dell’Esm qualora necessario. Il che capiterebbe, ad esempio, se il rapporto fra capitale versato e gli impegni si trovasse sotto il 15%. È questa la misura indispensabile per la credibilità dello strumento.
Il resto è sulla linea delle cose annunciate, salvo la precisazione «quale eccezione» che accompagna la possibilità attribuita all’Esm di comprare titoli degli Stati in crisi sul mercato primario. Il legislatore europeo ha deciso di proporre che la possibilità non diventi la regola. È comunque un’arma che verrà data al Consiglio dei governatori (i rappresentati dei ministri economici dell’eurozona) e a quello dei direttori (l’emanazione tecnica dei precedenti). Essi faranno capo a un direttore generale, con tutta probabilità il tedesco Klaus Regling, già ora guida dell’Efsf. Il fondo monetario europeo si impegna a lavorare a stretto contatto con quello internazionale. Il suo compito principale sarà di raccogliere denaro con operazioni Tripla A (rating massimo) per girarlo a chi fosse nei guai col bilancio, così da permettere al disgraziato di turno di approvvigionarsi a un prezzo da relativo saldo e fisso, come visto. Fra un mese il verdetto dell’Eurogruppo. Il 24 giugno la parola al vertice Ue che, salvo colpi di scena, farà scattare il conto alla rovescia finale del fondo che deve dimostrare l’impegno dell’Ue a difendere ad oltranza l’euro".




Saremo 9 miliardi nel 2050 !

Torino, 27 maggio 2011
Ritorniamo sui temi demografici. Fa sempre impressione parla di 9 milardi di "cittadini del mondo" nel 2050.
Risorse naturali (aliemetari e acqua), spazi geografici, aree vivibili in seguito ai cambiamenti climatici, lavoro ...migrazioni ? lotte o integrazioni interculturali ? quale modello dis viluppo e dove ? Traguardi che sembrano lontani ma a cui si deve provvedere già da oggi.
La popolazione mondiale supererà quota 9 miliardi entro il 2050. La stima proviene dal rapporto dell‘Onu 2008 Revision, pubblicato nel marzo scorso (nel link del titolo lo studio in pdf di 87 pagine). Attualmente, vivrebbero sul pianeta 6,8 miliardi di persone, che arriveranno a essere 7 miliardi entro il 2012 e, appunto, supereranno quota 9 miliardi entro il 2050.
La quasi totalità dei 2,3 miliardi aggiuntivi arriverà dai paesi in via di sviluppo, che dagli attuali 5,6 miliardi passeranno, nel giro di 40 ann,i a 7,9. Ciò è dovuto, secondo il rapporto delle Nazioni Unite, essenzialmente a due fattori: innanzitutto un maggiore tasso di fertilità, che oggi arriva nei paesi in via di sviluppo a 2,73 figli per donna, con punte del 4,39 nei paesi meno sviluppati. Questi valori sono comunque destinati a scendere fino a 2-2,5 figli per donna entro il 2050, grazie alle politiche per la programmazione delle nascite.
In secondo luogo, la popolazione mondiale crescerà di più nei paesi in via di sviluppo perché essi godono di un’età media molto più bassa: basti pensare che i bambini sotto a 15 anni sono il 29% del totale, con un ulteriore 19% di giovani tra i 15 e i 24. In numeri assoluti ciò vuol dire che in quei paesi vivono all’incirca 1,7 miliardi di bambini e 1,1 miliardi di giovani.
Nei paesi più sviluppati la situazione si capovolge. Nei prossimi quarant’anni la popolazione rimarrà pressoché invariata, passando da 1,23 a 1,28 miliardi, e sarebbe addirittura decresciuta a 1,15 se non fossero previsti ingenti flussi migratori dai paesi in via di sviluppo. Ciò è dovuto alla bassa fertilità, solo a 1,60 bambini per donna, e a un’età media molto più alta, con i bambini al 17% e i giovani al 13%. Inoltre, se il numero di bambini sembra destinato a rimanere invariato intorno ai 2oo milioni, entro il 2050 il numero dei giovani potrebbe decrescere dagli attuali 160 milioni a 134.
Questo quadro pone sfide parallele e opposte ai due angoli del pianeta. Da un lato, i paesi ricchi dovranno prendere provvedimenti se vorranno evitare che la loro popolazione invecchi uteriormente. Dall’altro, i paesi in via di sviluppo saranno chiamati a adottare politiche di programmazione delle nascite efficaci, anche perché, se così non sarà, le stime potrebbero essere riviste al rialzo, arivando a ipotizzare una popolazione di oltre 10 miliardi entro il 2050.



L'Ocse lancia l'indice della felicità

Torino, 27 maggio 2011
L'Ocse ha lanciato l'indicatore della felicità. Da tanti anni si cerca di dare importanza ad indicatori diversi dal Pil ma mai si è riusciti a validarlo ablivello delle Istituzioni Internazionali e dei governi. Troppo soggettivo per renderlo paragonabile ai conti veri della Contabilità Nazionale. Rimangono comunque utili esercizi di "dinamica sociale" atti a dar spazio ai "think tank" che possono condizionare le scelte di politica economica. Poichè male non fanno riproniamo la sintesi apparsa su Il Sole 24 Ore online del 24 maggio e con il rimando al sito Oecd (http://www.oecd.org/document/63/0,3746,en_2649_201185_47912639_1_1_1_1,00.html) per maggior dettagli.
Dal Pil al Bil e ora arriva il Bli. Per giunta fai-da-te (e naturalmente online). Una risposta concreta all'infinito dibattito sui parametri più appropriati per valutare e confrontare la vivibilità di un territorio. Ad averlo messo a punto è l'Ocse (l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) che lo presenta oggi a Parigi, insieme all'immancabile classifica, in occasione del 50° anniversario della fondazione.
Trentaquattro i Paesi passati al vaglio dal Better life index – quanti sono i membri Ocse – e undici gli ambiti esplorati: abitazione, reddito, lavoro, partecipazione civile, istruzione, ambiente, amministrazione, salute, soddisfazione personale, sicurezza, equilibrio tra lavoro e privato.
Grafici link: La pagella italiana nella Better life index dell'Ocse (http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-05-24/dove-vive-meglio-risposta-134525.shtml?grafici)
Dove vivere? Due italiani su tre mettono il lavoro davanti a una migliore qualità della vita
L'Italia da sei meno che raggiunge a malapena metà classifica nell'indice sulla qualità della vita dell'Ocse
Il tratto distintivo di questo nuovo misuratore della qualità della vita è l'interattività: sarà infatti consultabile e utilizzabile online e ciascuno potrà così costruire una pagella secondo quella che è la propria percezione (ed esigenza) di felicità e confrontarla con le performance degli altri Paesi. «Non è l'Ocse a decidere che cosa rende la vita migliore. Sei tu a decidere per te stesso»: così promette il sito dell'organizzazione.
Una volta c'era il Pil a esprimere il benessere di un Paese, poi a minarne l'intoccabilità fu Robert Kennedy con l'affermazione «il Pil misura tutto, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta». Negli anni 80 il testimone è passato al Buthan con la sua ricetta dell'Happiness gross index (indice felità interna lorda) e, nel 2008, alla commissione Stiglitz-Sen-Fitoussi incaricata da Sarkozy di definire la formula del Bli (benessere interno lordo). Ecco poi nel 2010 il premier britannico David Cameron con il suo Gwb (general wellbeing) o buon vivere generale. Ora sarà l'Ocse a giocare la sua carta in questa partita alla ricerca del "metro" della qualità della vita: e le risposte che promette si annunciano come un combinato di statistiche e di percezioni.  Qual è la busta paga media, quanti sono i laureati, che livello hanno raggiunto le polveri sottili, su che reddito può contare una famiglia: questi i numeri a portata di clic dall'Australia agli Usa. Ciascuno potrà costruirsi una classifica personale del benessere scegliendo tra le undici aree e i vari sottoparametri: ad esempio, chi giudica importante la tranquillità potrà mettere sul podio l'Islanda che ha il minor tasso di omicidi; chi l'abitazione, il Canada dove c'è il maggior numero di stanze per persona (2,5); chi la longevità i giapponesi visto che vantano la più alta aspettativa di vita (82,7 anni). Tutti dati che potranno essere combinati in una pagella più complessa e completa. Ma il Bli dell'Ocse non trascura il sentiment e indaga sulle opinioni dei cittadini: così possiamo già sapere che due terzi dei cittadini Ocse sono soddisfatti della loro qualità della vita. E che i messicani sono più felici dei polacchi, dei portoghesi e, anche, degli italiani.





Le energie alternative: un corposo studio dell'Onu

Torino, 27 maggio 2011
Per chi vuole discutere in miodo approfonditro delle energie alternative e della loro possibilià di impiego non come corollario ai carbon fossili ma come fonte primaria (anche se il targuardo è in pò in là nel tempo) è interessante il link in questione perchè porta ad uno studio assai corposo dell'Onu e che permette di ragionare sul "futuro ...forse non tanto prossimo" di una società planetaria tra sviluppo ecocompatibile e scarsità di risorse naturali.
Riprendiamo dal sito di tinnova.it:
Quasi l’80% del fabbisogno energetico mondiale potrà essere soddisfatto al 2050 dalle rinnovabili. Lo si legge nel rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) dell’Onu presentato oggi ad Abu Dhabi. Un volume di oltre 900 pagine dal titolo Special Report on Renewable Energy Sources and Climate Change Mitigation (vedi executive summary in allegato, il testo integrale verrà pubblicato il 31 maggio).
Il gigantesco studio esamina diversi scenari energetici e il loro effetto su emissioni e clima. Secondo il più ottimistico, comunque giudicato attuabile, al 2050 il mondo potrà contare sulle rinnovabili per soddisfare il 77% del suo fabbisogno energetico. Un balzo in avanti di proporzioni titaniche dato che nel 2008 le fonti rinnovabili fornivano circa il 13% del fabbisogno mondiale di energia primaria. Uno sviluppo che non si potrà fare senza politiche attive di supporto e senza puntare anche sull'efficienza energetica: in questo scenario virtuoso le rinnovabili al 2050 soddisfano il 77% di un fabbisogno contenuto a 407 exajoule all'anno; nel caso peggiore arriverebbero solo al 15% di un consumo annuo pari a 749 exjoule.

Grecia fuori dall'euro ...o no ?

Torino,  25 maggio 2011
Certo che questi giorni sono davvero concitati sulla Grecia dentro o fuori dall'euro se andiamo a leggere le notizie di agenzia assolutamente contradditorie nel giro di pochi minuti e visto anche il livello di chi si pronuncia. Ecco l'esempio di oggi ....di poco fa.  
Da La Stampa online (ore 18:17, TMNews)
Roma, 25 mag. (TMNews) - Ue Damanaki: Ormai possibile uscita da euro. "Lo scenario di un allontanamento della Grecia dall'euro è ormai sul tavolo". A dirlo, in un comunicato pubblicato sul suo sito internet greco, è stato il membro greco della Commissione Ue, la responsabile per la pesca Maria Damanaki.
Da La Stampa online (ore 18:29, TMNews)
25 maggio (TMNews) - Il futuro della Grecia è "solo nel quadro dell'euro". Lo ha dichiarato il portavoce del governo ellenico, Georges Petalotis, sottolineando che "è fuori di discussione" un'eventuale uscita del Paese dalla zona euro. (Fonte Afp)

Un commento ai dati Istat sulla disoccupazione giovanile

Torino, 19 maggio 2011
A) Il calo del numero dei giovani in età 15 - 34 anni (popolazione residente) è un fatto demografico. Ho in mano una statistica al 1° gennaio 2010 e al 1°gennaio 2002. Il totale è rispettivamente (maschi e femmine) di 13.793.850 e 15.119.986 cioè una differenza di 1.326.136 il 9,80% in meno. Curiosamente tra i 15 e 18 anni non c'è stato calo tra il 2002 e il 2010 anzi un aumento. Così nel periodo più recente nel 2009 c'è stato un incremento per quelli di anni 34: 918748 nel 2002 e 919467 nel 2010. Il fenomeno colpisce soprattutto la fascia 19 - 33 con punte in ordine di grandezza di circa 150.000 unità tra i 26 e 30 anni. Poca la differenza per esempio per i 21enni (-20.504) e di nuovo relativamente bene per i 33enni (-36.176). Sembra dunque un fenomeno a U dove il picco è concentrato nella fascia più mediana. Letti al contrario, cioè partendo dai più adulti e guardando a classi da inserire nel mercato del lavoro più in avanti i dati dei più giovani (15-18) in aumento potrebbero far ben sperare. Se infine confrontiamo la classe 1 - 14 anni c'è di nuovo un fenomeno positivo (+ 40.000 medio) per la fascia 1-9 anni mentre c'è un piccolo deficit (2010 rispetto al 2002) tra i 10 e 14 anni di circa - 8.800 medio.
B) Per quanto riguarda la non ricerca di lavoro ci possono essere due versioni entrambe valide. 1) il fenomeno di chi non ricerca lavoro è in effetti figlio della delusione per un mercato che non dà soddisfazione e si viene presi dalla frustrazione e si rinuncia 2) Studi dicono che il rapporto della famiglia italiana patrimonializzazione/numero figli in casa è tra i più alti al mondo, 5 volte gli Usa e superiore comunque ad altri Paesi europei. Questo vuol dire che si può sempre sperare per il contingente e/o per il futuro in qualche aiuto familiare che è una soluzione = protezione per il momento. E' come avere una polizza per il futuro forse più che per l'immediato. Infine c'è da tener presente che la globalizzazione ha indotto a notevolissime trasformazioni sul mercato del lavoro sia per quanto riguarda il numero dei "ricercati" sia la tipologia delle figure professionali con ampi divari tra, ad esempio, un laureato in ingegneria e quello in giurisprudenza.
Per ulteriori analisi visitare il sito del Censis al seguente indirizzo:
http://www.online-news.it/2011/05/17/censis-la-laurea-non-paga-indagine-sui-giovani-e-il-mercato-del-lavoro/

Cala la gioventù in Italia per l'Istat

Torino, 17 maggio 2011
Se si guarda in prospettiva oltre al basso tasso di diplomati e laureati oggi in Italia rispetto ai principali Paesi industrailizati del mondo e di quelli emergenti (India e Cina in primis) c'è da preoccuparsi anche di un'altra informazione correlata.
Da La Stampa online di oggi:
Meno 2 milioni in 10 anni: l'11% non studia né lavora
«I giovani sono in via di estinzione. Negli ultimi 10 anni, dal 2000 al 2010 abbiamo perso più di 2 milioni di cittadini di età compresa tra i 15 e i 34 anni». Lo ha detto il direttore del Censis, Giuseppe Roma, entrando all’audizione presso la Commissione Lavoro pubblico e privato della Camera che sta esaminato il tema dell’accesso al mercato del lavoro. «Sono una merce rara», ha aggiunto Roma, spiegando che i dati italiani sono i peggiori insieme a quelli tedeschi. In contrapposizione - ha aggiunto - nello stesso periodo sono invece aumentati di 1 milione 896 mila unità gli italiani over-65.
Secondo il direttore del Censis, inoltre, «l’Italia ha un sistema formativo ritardato rispetto agli altri Paesi dell’Unione Europea». «Abbiamo il maggior numero di ragazzi di 15-24 anni impegnati nella formazione, il 60,4%, eppure pochissimi laureati», ha spiegato Roma. Secondo gli ultimi dati del Censis, infatti, ha un laurea solo il 3,1% dei 15-24enni (la media europea è del 7,8%) e il 20,7% dei 25-34enni (a fronte di una media europea del 33%).
L’Italia ha infine il record di «inattività volontaria». L’11,2% dei ragazzi tra i 15 e i 24 anni «non sono interessati a lavorare o studiare». Nella classifica dei giovani Neet (dall’inglese Not in education, employment or training) il dato italiano è superiore di oltre tre volte alla media europee (3,4%) e molto peggiore di quello tedesco (3,6%), francese (3,5%) o inglese (1,7%). La Spagna è invece il paese con meno giovani «nullafacenti», sono appena lo 0,5%.




La guerra delle valute: oggi il debito pubblico Usa raggiunge 14.292 mld di $ limite max fissato per legge !!

Torino, 17 maggio 2011
Certo è una bella guerra tra euro e dollaro. Da un lato sono sempre dietro l'angolo le insidie per l'Euro se si guarda soprattutto alla Grecia. Si vuole evitare la parola "ristrutturazione" ma finchè lo "spettro" si aggira in particolare tra i mercati finanaziari non c'è da stare tranquilli anche, se come più volte qui ribadito, ci sono più ragioni per un duro e lungo rientro dei debiti di un pò tutti i Paesi di eurozona e questo è sempre ribadito da chi conta nelle Istituzioni finanziarie Ue e dai governi in quistione. Il dollaro patirà invece di più ed è proprio oggi un giorno significativo per gli Usa. Infatti come riportato da La Stampa online oggi è il giorno che il debito pubblico ha raggiunto il suo max stabilito per legge. Ripropongo dunque l'articolo:
Raggiunto il limite di legge - Geithner: «Misure speciali»
Entro oggi il debito pubblico degli Stati Uniti raggiungerà quota 14.292 miliardi di dollari, il limite fissato per legge all'indebitamento pubblico. Lo ha annunciato il segretario al Tesoro Timothy Geithner ricordando che a questo punto il governo farà ricorso a "misure speciali" -come quelle di "sospendere l'emissione del debito"- per consentire al governo di evitare il default del Paese almeno "fino al prossimo 2 agosto".
Tra le misure adottate, anche la sospensione temporanea di due fondi pensioni pubblici come il Civil Service Retirement and Disability Fund e il Governement Securities Inverstement Fund. La mossa dovrebbe concedere a Casa Bianca e leader congressuali il tempo necessario a raggiungere un accordo sulle misure per ridurre il deficit pubblico e rappacificare il clima politico in modo da consentire al Congresso d'innalzare il limite dell'indebitamento pubblico americano.
L'opposizione repubblicana concorda infatti sulla necessità di alzare il limite dell'indebitamento ma non ne intende approvare un nuovo senza avere prima ricevuto la garanzia che il governo terrà maggiormente sotto controllo la spesa pubblica. Il raggiungimento del tetto del debito "dovrebbe essere un campanello d'allarme per il sistema politico: è il momento di essere seri sul tutelare la fiducia e il credito", ha detto il direttore del National Economic Council, Gene Sterling al Wall Street Journal. Ci potrebbero volere alcuni mesi prima che le due parti raggiungano un accordo.
Casa Bianca e repubblicani stanno infatti inviando segnali contrastanti. Il vice presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, la scorsa settimana aveva dichiarato che democratici e repubblicani stavano trattando su una soluzione di compromesso. Dallo show della Cbs, "Face of the Nation", il presidente della Camera dei Rappresentanti, il repubblicano John Boehner, lo ha però smentito: "non vedo progressi".

Come sta l'euro secondo Bini Smaghi della Bce

Torino, 10 maggio 2011

Nel dibattito sempre acceso tra euro in buona salute (per merito della leadership soprattutto tedesca ed italiana) o pronto a scricchiolare sotto il peso del presunto "default" o leggi "ristrutturazione" del debito greco è utile riproppre in questa sede l'intervista apparsa oggi su La Stampa online a Bini Smaghi consigliere Bce.
La Banca centrale europea fa muro contro una ristrutturazione del debito greco. Eppure nei governi dell’area euro qualcuno comincia a pensarci; e i mercati restano convinti che prima o poi ci si arriverà. Sulla base dell’esperienza del Fondo monetario, alcuni ritengono che si possa fare senza traumi.
Lorenzo Bini-Smaghi, l’italiano che siede nel board Bce, non è d’accordo.
«Quello che molti analisti si dimenticano di esaminare - dice -, e che rappresenta la vera differenza rispetto all’esperienza passata, è l’impatto di un default o di una ristrutturazione sul Paese stesso. Da un lato il sistema bancario sarebbe in ginocchio, per le perdite registrate sui titoli di Stato detenuti nel portafoglio e perché perderebbe la possibilità di rifinanziarsi presso la Bce, non avendo più titoli di buona qualità da usare come collaterale. Infine, dato che non c’è la possibilità, come nel caso dell’Argentina, di finanziare lo Stato con moneta, il governo non avrebbe fondi sufficienti per pagare pensioni, salari, spesa corrente. Un vero e proprio tracollo economico».
Allora da chi è nata l’idea?
«La Grecia ha perso tempo a considerare questa possibilità per qualche mese, consigliata male da alcune banche d’affari e da studi di avvocati in cerca di provvigioni, che si erano però dimenticati di evidenziare gli effetti negativi che ho descritto prima. Si è fatta convincere che è possibile fare una “ristrutturazione ordinata”, prima di accorgersi che è una vera e propria favola. Il processo di riforme interne ha rallentato, in particolare per quel che riguarda l’amministrazione fiscale. Ci si trova cosi dopo un anno a dover rimettere mano al programma, per avere maggiori garanzie». Peggio ancora sarebbe un’uscita dall’euro, con la quale di sicuro la Grecia non ripagherebbe più nulla...
«Ho omesso naturalmente il contagio che un disastro greco produrrebbe per il resto dell’area, in particolare per quei Paesi che hanno appena avviato i loro programmi di risanamento».
L’Irlanda per una ristrutturazione del debito potrebbe vantare ragioni più presentabili rispetto alla Grecia. Comunque la crisi dei Paesi deboli dell’euro si è aggravata e pare difficile uscirne.
«Se si guarda con attenzione a ciò che non ha funzionato nel corso degli ultimi dodici mesi, individuerei soprattutto due aspetti. Il primo è che i Paesi che devono risanare i loro conti pubblici aspettano troppo, fino al punto in cui vengono messi nell’angolino dai mercati e perdono la capacità di rifinanziarsi. Questo è stato il caso della Grecia nella primavera dello scorso anno, poi dell’Irlanda nell’autunno e infine del Portogallo in questi giorni. Fortunatamente la Spagna ha agito d’anticipo, anche con riforme strutturali, il che ha consentito di distinguersi chiaramente dagli altri tre Paesi. Ma il rischio di contagio c’è sempre, come si è visto negli ultimi giorni».
Poi ci sono stati gli errori degli altri Paesi...
«Il secondo problema ha riguardato la discussione sulla ristrutturazione dei debiti sovrani e il coinvolgimento del settore privato nel finanziamento dei programmi di risanamento, che ha inquinato i mercati. Basta guardare ai differenziali d’interesse dei titoli di Stato più rischiosi per accorgersi che cominciano ad impennarsi a metà ottobre dello scorso anno, dopo l’accordo Merkel-Sarkozy a Deauville e poi nel Consiglio europeo per legare l’assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà a una forma di ristrutturazione del debito. Un tale meccanismo non esiste da nessun altra parte del mondo e mette l’area dell’euro in condizioni di fragilità rispetto ad attacchi speculativi. Negli ultimi giorni si è visto appunto che appena si parla di ristrutturazione del debito di alcuni Paesi i mercati impazziscono».
Entrare nell’euro è ancora vantaggioso? Forse un Paese debole se rimane fuori può avere credito a tassi più bassi.
«La settimana scorsa qualcuno ha fatto girare la voce che la Grecia sarebbe uscita dall’euro e immediatamente c’è stata una uscita di capitali dall’Europa e l’euro è scivolato. Ciò dimostra che a rimetterci dall’uscita dall’euro sarebbe quel Paese stesso, ma anche gli altri. A guadagnarci sono di sicuro quelli che mettono in giro queste voci, creando fibrillazione nei mercati finanziari. La nuova Autorità europea per il mercato, appena creata, dovrebbe indagare per verificare se non ci sono gli estremi di tentativi di manipolazione del mercato».
Sono piene di ostacoli sia la strada del rigore sia quella della solidarietà. Alla Bce temete che le nuove regole del Patto Euro-Plus non siano severe a sufficienza. Dall’altro lato ogni passo in avanti anche piccolo verso una più stretta cooperazione europea viene bocciato in Germania perché “dà incentivi sbagliati”.
«La Germania, e alcuni altri Paesi, non sono disposti a sborsare più fondi per aiutare la Grecia o altri Paesi in difficoltà, a meno che non ci siano maggiori rassicurazioni sul fatto che i programmi di risanamento siano rigorosamente rispettati o addirittura rafforzati; in particolare con privatizzazioni che consentono di ridurre il debito complessivo. Qui hanno senz’altro ragione. Non riesco invece a capire l’idea di condizionare maggiori aiuti a una qualche forma di ristrutturazione del debito del Paese che riceve gli aiuti, come sembra talvolta emergere da alcune fonti tedesche. È una posizione che si basa in teoria su principi giusti - ossia che i creditori che hanno fatto investimenti imprudenti devono subirne le conseguenze - ma applicata in questo modo incoraggia un comportamento perverso, consente cioè di non pagare parte dei propri debiti in cambio di maggiori debiti. È l’opposto di quello che richiede il buon funzionamento dell’economia di mercato, ovvero che i debiti vanno pagati altrimenti non si ricevono ulteriori prestiti».
Eppure in Germania sono molti a spingere verso una ristrutturazione del debito greco.
«È una posizione autolesionista perché i principali creditori risiedono proprio in Germania».