Parlando di uno dei temi più trattati in questo Blog, quello delle valute, non si può fare a meno di sottolineare l'interressante articolo apparso su La Stampa online di oggi a proposito dell'attenzione del Brasile verso l'Europa e l'Euro.
Vi riprongo dunque l'articolo e buona lettura.
"Il Brasile è una samba insidiosa: pensi che si balli in un certo modo e un attimo dopo lui ha scartato ed è altrove, ti guarda e sorride con aria saputa. Oggi impariamo che è una ex colonia che si comprerà buona parte del suo ex padrone europeo, il Portogallo, l'ennesima dimostrazione che in terra carioca la giravolta è una delle cifre del mondo. Lo scoprì per primo Pedro Alvares Cabral, quando il 22 aprile del 1500 sbarcò a Porto Seguro: come Colombo puntava a raggiungere le Indie, sfruttando gli alisei. A differenza del genovese era consapevole che di mezzo avrebbe trovato un'altra terra, ma come lui fu costretto ad arrendersi al Nuovo mondo. Sbarcò, si fece aiutare a costruire una gigantesca croce da un gruppo di indigeni entusiasti - non della fede, ma degli attrezzi in metallo che non avevano mai visto - e diede una svolta alla storia del continente.
Anche lì era questione di equilibri economici. Il Portogallo di Re Joao era un paese povero che non riusciva a crescere per carenza di materie prime. La vicina Spagna aveva cominciato otto anni prima, le notizie sui presunti tesori che solcavano l'Atlantico avevano solleticato l’appetito della Corte di Lisbona. Obiettivo della missione procurare caffè, oro, argento e diamanti, e fare spazio per gigantesche piantagioni di canna da zucchero. Saremo ricchi, avrà detto Re Joao ai suoi, armiamoci e partite. Quelli partirono ma la storia dimostrò subito che stava andando per la sua strada. Un'altra. La popolazione del posto non si rivelò adatta al lavoro nelle piantagioni - preferiva lasciarsi morire di fame - e i portoghesi furono costretti a spendere una fortuna per portare in Brasile cinque milioni di africani schiavizzati (tanti attraversarono l'Oceano tra il 1500 e il 1850), trecentocinquant’anni sciagurati che hanno prodotto la popolazione brasiliana di oggi, tra le più mescolate del mondo: discendenti di europei, sudamericani ed africani intrecciati indissolubilmente. Coltivare si rivelò complicato, oro e argento se ne trovava poco, fino alla fine del Cinquecento tutto ciò che si poteva portare in madrepatria era il pau Brasil, legname da cui si ricava un colorante rosso.
Per trovare il tanto agognato oro bisognerà aspettare altri 100 anni, ma neppure questa storia andò secondo le previsioni. Nel 1690 esplose Minas Gerais, il grande giacimento aurifero che tolse il sonno a tutti i portoghesi do Brasil: l'Eldorado inseguito tanto a lungo, finalmente. Era oro, luccicava, ma gli effetti non furono dei migliori. L’agricoltura, che era appena riuscita a stabilire un equilibrio redditizio, ebbe un tracollo. I coloni portoghesi (grandi proprietari terrieri, diversamente dai loro colleghi spagnoli che erano invece nobili semidecaduti in cerca di riscatto) mollarono in massa zappe ed aratri e si buttarono nella corsa all’oro senza pensarci sopra. Le terre coltivate furono abbandonate al loro destino, e i prezzi dei beni alimentari andarono alle stelle: centocinquant’anni di fame durante i quali si consolidò il seme della rivolta che avrebbe sottratto il Brasile ai suoi padroni europei.
Anche l'indipendenza brasiliana si giocò tutta intorno a una giravolta. Correva l'anno 1808, e le armate di Napoleone si avvicinavano pericolosamente al Portogallo: il principe reggente Giovanni di Braganza imbarcò la corte e la trasferì a Rio de Janeiro. Il trono nelle colonie: fu un fatto straordinario per ragioni di costume e anche perché Giovanni stessi finì per lasciarsi influenzare dalle idee liberali che a quel tempo si diffondevano nel continente, aprì nuovi porti e incoraggiò l'industria.
Nel 1821 la corte tornò a Lisbona, Giovanni lasciò il figlio Pedro I re del Brasile. L'anno dopo Lisbona pretese di riportare l’ex colonia sotto il suo controllo: Pedro, sostenuto dai patrioti, dichiarò l'indipendenza del Brasile, e dopo qualche mese fu incoronato imperatore del nuovo stato. Sotto re portoghesi ma indipendenti i brasiliani avrebbero vissuto fino al 1871, anno in cui il Paese si fece repubblica federale.
Ora la storia sembra fare dietrofront. Il governo brasiliano è disposto ad acquistare il debito dei portoghesi in difficoltà, aiutandoli a restare in piedi. Naturalmente aiuta anche se stesso: l’inflazione picchia duro (intorno all’8%), la bilancia commerciale è in rosso da due anni. Brasilia dovrà rassegnarsi a svalutare il real, di cui possiede riserve enormi.
Trasferire una fetta consistente di quelle riserve in euro (la moneta delle emissioni portoghesi) si rivelerà doppiamente conveniente quando il Brasile sarà costretto a svalutare la sua moneta. Tutto il valore perso sul fronte del real sarà recuperato con l'apprezzamento dell’euro. Nel frattempo, Brasilia avrà dimostrato di saper giocare un ruolo importante nel sostegno della governance finanziaria mondiale e ripreso una piccola rivincita coloniale. È la samba, bellezza.
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