Torino, 8 aprile 2010
Ho trovato davvero interessanti due articoli usciti oggi su La Stampa Web di politica estera che segnano in modo cruento alcune aree strategiche dell'Asia, zone importanti per gli equlibri mondiali tra fonti energetiche, religione (integralismo alle volte), sviluppo, democrazie veccchie e nuove. Per ragioni di spazio vi propongo solo l'articolo di Sisci senza dimenticare, con un breve cenno, l'altra area di crisi che è il Kirghizistan dove è fuggito il presidente e sciolto il parlamento. Dopo i violenti scontri di ieri che hanno insanguinato le strade della capitale Bishkek causando, secondo i dati ufficiali, 68 vittime e oltre 400 feriti, la leader dell'opposizione kirghisa Rosa Otunbayzeva ha dichiarato sciolto il parlamento e annunciato che guiderà un governo provvisorio della durata di sei mesi.
Camicie rosse sulla Thailandia di Francesco Sisci
I sostenitori dell'ex premier Thaksin assaltano il parlamento, il governo fugge in elicottero, vacilla il sistema thailandese e l'idea di democrazia per l'Asia
PECHINO -- Sembra una storia facile e semplice, come il colore sgargiante delle loro divise garibaldine. Infatti, anche le camicie rosse thailandesi vorrebbero prendere in pugno la situazione e davanti alle resitenze del governo in carica, ieri hanno rotto ogni indugio assaltando il parlamento. Chiedevano, come fanno da mesi, le dimissioni del governo e di andare alle urne.
I parlamentari sono scappati con l'elicottero, sfuggendo alle proteste e alla minaccia di ritornare ad affrontare gli elettori. Insieme la corte e il partito di governo temono di perdere le elezioni e cercano almeno il rinvio.
Dietro il dramma di piazza c’è però un complicato gioco politico. Le tortuosità della logica indiana e l'opacità dei ragionamenti cinesi si fondono ed esplodono nell'estrema potenza dell’apparente follia totale qui, secolare ponte tra le due civiltà. Gli attori in gioco in questa partita sono almeno tre. C’è innanzitutto l'ex premier Thaksin Shinawatra, miliardario, controverso, deposto con un colpo di stato nel 2006 e successivamente condannato per corruzione. Lui è sostenuto dalle camicie rosse e vuole il ricorso al voto perché ha fiducia nel suffragio popolare. Del resto Thaksin ha vinto a maggioranza assoluta o quasi tutte le elezioni a cui ha partecipato, comprese quelle in cui era assolutamente sfavorito, condotte sotto il governo militare alla fine del 2007. I suoi oppositori lo accusano di essere populista e demagogico, i sostenitori affermano che è solo popolare e democratico.Di certo per la prima volta nella storia della Thailandia, dalla fine della monarchia assoluta, con Thaksin un governo non si è retto su un equilibrio fragile che aveva bisogno del re per essere puntellato, ma aveva una maggioranza forte che poteva fare a meno dei favori della corte.
Questo gli ha inimicato la corona e suoi dignitari che dal 2004 sostennero più o meno direttamente la protesta contro di lui delle camicie gialle, colore scelto in omaggio al sovrano re Bhumibol.
Lui è l’idolo del paese e per non dimenticarselo la sua gigantografia a colori troneggia, come è giusto per un re, ad ogni angolo di strada
È il secondo personaggio del dramma in corso. Figura ultracarismatica, ieratica, quasi divina per la costituzione, è riuscito a reggere il paese scosso dai colpi da sinistra, per la minaccia comunista nella guerra del Vietnam, e da destra, visti i 18 golpe militari che hanno punteggiato gli ultimi 60 anni di storia thailandese.
Ora però re Bhimipol, classe 1927, sul trono dal 1946, è da mesi in ospedale. A Bangkok si mormora, ma solo con un fil di voce perché porta male e portare male al re è quasi crimine di lesa maestà, che sia in cattiva salute, si teme per la sua vita.
La sua morte potrebbe essere un rivolgimento completo per il paese. Mentre l’augusto genitore è contro Thaksin, l’affarista che si è comprato un posto in politica, il principe che gli succederebbe Vajiralongkorn, gli è sfacciatamente amico.
Lui è nato nel 1952, di appena tre anni più giovane di Thaksin, non fa mistero di questo rapporto neppure in questi mesi in cui l'ex premier è in esilio inseguito da un mandato di cattura dell’interpol.
Né è un mistero che la corte detesti il principe ereditario. Al suo posto vorrebbe una delle sue sorelle, pie e studiose come il padre. Lui invece è inseguito da una fama di debosciato e scavezzacollo.
Ma forse anche questo non è poi così vero. Il giovane Vajiralongkorn a 20 anni faceva il pilota militare e negli ’70, quando non gli era certo richiesto ed era molto pericoloso, ha combattuto in Vietnam accanto agli americani.
Il coraggio non è certo una qualità che gli manca, visto il suo passato, né gli manca l’astuzia, visto che è riuscito a sopravvivere ad anni di complotti di corte.
I cortigiani infatti vorrebbero cambiare la costituzione e passare l’eredità della corona a una sorella. Ma questo passaggio crea un cortocircuito della sacralità. I monarchici insistono che la figura del sovrano è sacra, in contatto con il divino, quindi gli umani non possono giocherellare con leggi e regolamenti terreni per modificare quello che il cielo ha scelto come prossimo re.
Così, quasi come in attesa di un verdetto divino, la Thailandia aspetta che il governo ceda alle pressioni di piazza, o che la polizia usi la forza contro i manifestanti o che un miracolo di un qualunque tipo accada.
In mezzo si sbriciola l’unità del paese, e questo è un dramma per la Thailandia, ma si sgretola ancora di più la fede nel continente per il sistema democratico. Se non si riesce a difendere nel bene o nel male, la scelta delle urne là dove la demoocrazia esiste, come si può imporre questosistema politico là dove non esiste, come per esempio nella vicina Birmania? E questo è il dramma dell’Asia.