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I titoli dei Post hanno un link di riferimento al tema trattato

Euro: c'è da temere o sono solo esercitazioni ?

Torino, 25 dicembre 2011
Sarà per i tempi di crisi che corrono soprattutto nell'Eurozona a causa della sostenibilità a medio lungo termine dei Debiti Sovrani dei Paesi Euro che si fa in fretta passare dai timori ai fatti. Ritorno ormai ineluttabile per alcuni Paesi alle monete originarie? Eccessivo pessimismo sulle capacità di risanamento? Calcoli da Paesi anglosassoni da sempre avversi alla presenza sui mercati dell'Euro piuttosto che di una Sterlina o di un Dollaro nella Storia "dominanti" a livello pratico e, forse, sopratutto simbolico???
Fatto è che leggendo la Stampa online di oggi scopriamo quanto segue:

Grandi banche si preparano al ritorno delle monete pre-euro

Anche passata la tempesta gravi danni a lungo termine. Il Wall Street Journal: gli istituti pronti ad effettuare transazioni con la lira, la dracma e l'escudo.
Almeno due banche di caratura mondiale «hanno preso delle misure» per ritornare ad effettuare transazioni in vecchie valute della zona euro tra cui lira, dracma e escudo. Lo scrive il Wall Street Journal citando fonti ben informate. Le banche in questione hanno già contattato Swift, l’azienda belga che gestisce i sistemi per le transazioni finanziarie internazionali, per avere la tecnologia e i codici necessari, riferiscono le fonti. Un portavoce di Swift ha detto al quotidiano finanziario che l’azienda è pronta a fare tutto quanto sarà necessario per garantire il regolare svolgimento delle transazioni, ma che «non è il caso fare commenti su questioni specificamente legate alla zona euro». Secondo il Wall Street Journal, le banche stanno studiando tutti gli aspetti del possibile impatto che avrebbe l’uscita di uno o più paesi dalla zona euro.

Come ha ragione Lagarde presidente FMI !!!

Torino, 17 dicembre 2011

Finalmente una presa di posizione sulla crisi dei Paesi industrializzati (area UE e Usa) autorevole, coscienziosa e soprattutto di buon senso.
I famosi  "MERCATI" CHE TUTTO POSSONO O MEGLIO VOGLIONO se da un lato interpretano le debolezzze dei bilanci pubblici o certe criticità delle imprese private (sopratutto banche) sono anche quelli che hanno in mano buona parte (con i vari Soros, Bilderberg & C.) Hedge Found e molti strumenti simili della finanza mondiale. Il solo volume dei derivati è 12 volte e mezzo il Pil mondiale e al di là del ruolo di  "Coscienza Critica" dell'economia giocano una loro  partita prevalentemente economica/speculativa se non anche "politica e di forte condizionamento". Ci ricordiamo Soros come mise in crisi la sterlina e poi la lira nel '92 ? Ed eravamo "solo" agli albori di questo potere diventato poi "S T R A P O T E R E".
E giusto che privati condizionino soprattutto "in così breve tempo" i destini del mondo (industrializzato prevalentemente) ????.
In una intervista al NYT la Lagarde parla sì di rischio "Recessione" stile anni '30 ma dice anche (tra le righe per chi legge bene ndr.) che senza nessun strumento efficace attualmente in possesso nelle "DEMOCRAZIE" nopn riusciremo a raggiungere una  NUOVA GOVERNABILITA' FINANZIARIA A LIVELLO MONDIALE.
Asserisce, e lo trovate al fondo dell'articolo ripreso dal Corriere della Sera, CHE I MERCATI DOVREBBERO "dare il tempo alle singole nazioni per compiere il processo politico necessario per arrivare a una soluzione. «Sarebbe ideale e piacevole dalla prospettiva dei mercati se un accordo non si firmasse ora, ma immediatamente, stanotte», ha detto la Lagarde. «Purtroppo però, per chi di voi ha il privilegio di appartenere a delle democrazie, le cose non vanno in questo modo e hanno bisogno di tempo per passare attraverso procedure parlamentari ».
PAROLE  SACROSANTE !!! 
Ecco il testo:
La Lagarde: «Prospettive economiche buie, i mercati devono dare tempo alle singole nazioni»
«Nessuna economia del mondo è al momento immune alla crisi». «Rischio depressione come negli anni '30»
Se le questioni non verranno affrontate con decisione l'economia globale potrebbe trovarsi ad affrontare le stesse minacce che hanno spinto il mondo nella Grande depressione degli anni '30. Lo ha detto la direttrice generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, in un intervento al dipartimento di Stato a Washington in cui ha fatto riferimento alla crisi del debito europea. La Lagarde ha aggiunto che le prospettive dell'economia globale per il momento sono piuttosto buie. «Nessuna economia al mondo - sostiene - sia dei paesi a basso reddito, dei mercati emergenti, a medio reddito, o delle economie super-avanzate sarà immune dalla crisi, che non si sta solo sviluppando ma è in escalation» ha spiegato la direttrice dell'Fmi.
APPELLO - La Lagarde ha poi raccomandato ai mercati finanziari di dare il tempo alle singole nazioni per compiere il processo politico necessario per arrivare a una soluzione. «Sarebbe ideale e piacevole dalla prospettiva dei mercati se un accordo non si firmasse ora, ma immediatamente, stanotte», ha detto la Lagarde. «Purtroppo però, per chi di voi ha il privilegio di appartenere a delle democrazie, le cose non vanno in questo modo e hanno bisogno di tempo per passare attraverso procedure parlamentari», ha continuato la direttrice Fmi

Tremonti e non solo lui da diverso tempo auspicano una NUOVA BRETTON WOODS !!
Ma da dove cominciare e le lobbies in questo settore sono così forti  come contrastarle ....!!!!
Infine un'annotazione contingente di come rilanciare la crescita: per l'Europa, in vista di NUOVI TRATTATI COMUNITARI, visto che la Germania si oppone che la Bce stampi moneta (non entro nel merito tecnico/conseguenze se giusto o sbagliato) non si era ventilato più volte che si poteva fare una deroga al Patto di stabilità europeo deficit/pil con L'ESCLUSIONE DEGLI INVESTIMENTI INFRASTRUTTURALI (da sempre volano delle riprese economiche) !!! ????

I Cinesi cercano investimenti nel settore auto in Piemonte !!

Torino, 10 dicembre 2011 
Da Ansa del 6 dicembre:
I responsabili acquisti di sei tra le più importanti case automobilistiche cinesi saranno a Torino il 13 e il 14 dicembre per individuare nuovi potenziali fornitori tra le aziende di From Concept to Car, progetto della Camera di commercio di Torino gestito dal Centro Estero per l'Internazionalizzazione (Ceipiemonte), ideato per promuovere all'estero le eccellenze del settore auto piemontese.
"Attraverso From Concept to Car - spiega Alessandro Barberis, presidente della Camera di commercio di Torino - fin dal 2004 abbiamo portato avanti un'attività di dialogo costante e capillare con la Cina, con l'obiettivo principale di promuovere le imprese del settore stile e ingegneria, dove la distanza tra Paesi è meno rilevante, nonché le imprese di componentistica che hanno avviato stabilimenti in Cina. Questa strategia, affiancata alla competenza delle nostre aziende, ci ha permesso di raggiungere risultati importanti. In breve tempo abbiamo guadagnato la fiducia di interlocutori di spicco, come quelli che accoglieremo la prossima settimana a Torino, e siamo riusciti a portare qui l'avamposto del colosso cinese di stato Beijing Automotive Group (Baic). A gennaio ci sarà poi l'avvio della nuova postazione di Sokon, altro importante costruttore privato". La delegazione cinese in arrivo a Torino è composta sai rappresentanti di Changhe, Faw Car, Great Wall Motors, Jac, ZX Auto, nonché Sokon (che a breve avrà appunto una postazione nella sede di Ceipiemonte al pari di Baic): "sono 6 grandi nomi dell'automotive del gigante asiatico - osserva Giuseppe Donato, presidente di Ceipiemonte - che hanno colto il valore del kow how piemontese. La volontà di venire a incontrare le nostre imprese ci offre un'occasione importante in termini di business, ma più in generale testimonia il riconoscimento del Piemonte come centro di eccellenza da parte di un mercato, quello cinese, in crescita costante, nonostante la crisi generalizzata del settore, e pertanto interlocutore imprescindibile per la nostra filiera automotive".

La Cina salverà i Paesi industrializzati ?

Torino, 10 dicembre 2011

E' di oggi la notizia che due Fondi Cinesi investiranno nei Paesi Industrializzati ben 300 mld di $.
Da La Stampa online di  oggi Marco Sodano:
Ora che la crisi dell’Occidente ha mutato segno e arriva a lambire anche i paesi emergenti, ecco che i paesi emergenti - senza troppa enfasi - si mettono a lavorare dietro le quinte per combatterla. è di ieri la notizia che la Banca centrale cinese sta studiando un nuovo veicolo finanziario. Gestirà due fondi di investimento per 300 miliardi di dollari con l’obiettivo di sviluppare investimenti sui mercati di Europa e Stati Uniti.
Pechino - scrive Reuters punta a ottimizzare i proventi delle sue riserve in valuta estera, che superano i tremila miliardi di dollari. Il nuovo veicolo di investimento dovrebbe assere collegato alla State administration of foreign exchange (Safe), braccio della banca centrale incaricato di gestire le riserve cinesi in valuta estera. L’istituto che lavora sulla politica monetaria internazionale, insomma.
Così, tra questa indiscrezione, i dati incoraggianti sulla fiducia dei consumatori Usa (decisamente migliori delle attese) e - soprattutto l’accordo raggiunto nella notte dal vertice salva euro le Borse europee, dopo una partenza stentata con qualche segno meno, hanno messo a segno una seduta in positivo. E mano a mano che i mercati sono stati in grado di metabolizzare la consistenza delle decisioni prese a Bruxelles, si sono consolidati anche i guadagni. Dopo l’abisso toccato giovedì, Piazza Affari ha guidato la corsa dei listini, trainata dal rimbalzo dei bancari. Questo anche perché il vertice ha messo in chiaro che è stata definitivamente accantonata la partecipazione dei «privati» (si legge «banche») alla ristrutturazione del debito dei paesi in caso di nuovi momenti di tensione: notizia che controbilancia abbondantemente le richieste di rafforzare il capitale fatte dall’Eba, il nuovo sceriffo europeo del settore.
Intesa Sanpaolo, Unicredit e Mpshanno chiuso con progressi superiori ai sette punti percentuali, facendosi notare all’interno dell’indice europeo di riferimento. A passo di corsa anche le altre piazze: Parigi (+2,5%), Madrid (+2,2%) e Francoforte (+1,9%), mentre l’euro ha recuperato terreno sia sul dollaro che sullo yen. Fanalino di coda Londra, che ha contenuto il rialzo allo 0,8% sull’onda della scelta isolazionista del premier Cameron (la Gran Bretagna è l’unico Paese che abbia rifiutato l’accordo intergovernativo sui vincoli di bilancio).
A sostenere le banche ha contribuito anche la riduzione dello spread tra i titoli di Stato europei e i bund tedeschi, anche se la frenata di ieri della Bce sull’acquisto dei bond ha mantenuto i rendimenti dei titoli di Stato italiani a cinque e dieci anni, rispettivamente, al 6,66% e al 6,36%. Il differenziale tra i Btp decennali e i bund tedeschi si è comunque ridotto a 421 punti, 23 in meno di giovedì. Le decisioni prese a Bruxelles, insomma, sembrano aver rassicurato i mercati, anche se è chiaro a tutti che ci sarà molta strada da fare per trasformare in concreto le decisioni prese (non si sa ancora, per esempio, come verranno fornite le risorse addizionali al Fondo monetario internazionale). Bene anche New York, con l’America che metabolizza la nuova europa. «L’accordo europeo raggiunto a Bruxelles per una unione fiscale è «segno di progressi», ha detto il portavoce del presidente Usa Barack Obama, Jay Carny. «Offriamo i nostri consigli, ma alla fine si tratta di un problema europeo che richiede una soluzione europea

Monti "dimezzato" dai vecchi metodi italiani: Giavazzi e Alesina dicono cose giuste

Torino, 4 dicembre 2011
Vale assolutamente la pena di riproporre in questo Blog le chiarissime dissertazioni dei professori Alesina e Giavazzi, senz'altro non teneri con il precedente Governo Berlusconi, per rendersi conto che si rischia di prendere di nuovo una via "all'italiana" con tanto di NIMBY (Not In My Back Yeatrd = non nel mio giardino ... i provvedimenti COSI ' INGIUSTI .... ma in quello degli altri SI' SI' !!).
MA IL MACHETE, Q U E L L O   G I U S TO,  DOV'E' ?
Ecco il testo che è un piccolo capolavoro di sintesi di politica economica !!!
Da Il Corriere online di oggi:

Caro presidente no, così non va

TROPPE TASSE E POCHI TAGLI

Caro presidente, Lei conosce perfettamente l'importanza storica per il nostro Paese e per l'Europa (oseremmo dire per il mondo intero) delle decisioni che il suo governo oggi assumerà. Dobbiamo confessarle, con tutto il rispetto per il compito difficilissimo che Lei sta svolgendo, che le indiscrezioni che leggiamo sui giornali ci preoccupano e speriamo davvero che Lei e il Suo governo le smentiscano con i fatti.

Quattro erano i punti che a noi parevano essenziali. Primo, per quanto riguarda i conti, ridurre le spese, più che aumentare le tasse. Secondo, preoccuparsi non tanto del saldo della manovra, ma della sua qualità, soprattutto guardando agli effetti sulla crescita. Terzo, dal punto di vista del metodo e del significato politico (anche questo importante) abbandonare la concertazione, perché comunque a quel tavolo non hanno accesso i giovani e chiunque non ha rappresentanza. Infine attaccare senza esitazioni i costi della politica e chiudere i mille canali che consentono di evadere le tasse. Insomma, dare un segnale netto.

Leggiamo invece che dopo i passi iniziali, che sembravano assai incoraggianti, la manovra si sta delineando secondo le solite modalità: aumenti di imposte, pochissimi tagli, incontri con le cosiddette parti sociali (cioè concertazione), nessuna riduzione dei costi della politica.

Punto primo. Tutti gli studi (sia accademici che del Fondo monetario internazionale che della Commissione europea) concordano sul fatto che gli aggiustamenti fiscali fatti aumentando le aliquote hanno creato recessioni più forti di quelli che hanno operato riducendo le spese. Non solo: la spirale di aumenti di aliquote, recessione, riduzione di gettito, tende a creare un circolo vizioso in cui l'economia si avvita in una recessione sempre più grave. Quella di cui leggiamo è una manovra fatta per tre quarti di maggiori tasse e solo per un quarto di minori spese.

Il peso delle imposte in Italia è sopra la media europea (già elevata). Se poi vogliamo considerare l'equità, gli aumenti delle aliquote Irpef colpirebbero anche le classi medie e si sommerebbero alla reintroduzione dell'Ici sulla prima casa. Non sono solo i super ricchi quelli colpiti dagli aumenti dell'Irpef che, a quanto leggiamo, Lei proporrebbe. 75mila euro lordi l'anno (la soglia oltre la quale inizierebbe l'aumento dell'aliquota) corrispondono a poco più di 3.800 euro netti al mese. Per ridurre il deficit, invece di alzare le aliquote, perché non tagliare un po' di sussidi alle imprese? La Tabella A1 della Relazione trimestrale di cassa al 30.6.2010 riporta 15,5 miliardi di trasferimenti a imprese pubbliche e private, cioè oltre 30 miliardi di euro l'anno. Sono tutti davvero necessari? Quanti premiano imprenditori più abili a muoversi nei corridoi dei ministeri che ad innovare?

E perché non agire coraggiosamente contro il peso di un impiego pubblico esorbitante e talvolta inutile? Fino a pochi giorni fa si pensava che l'intervento sulla previdenza avrebbe prodotto risparmi per oltre 10 miliardi. Ora siamo a 6, di cui metà provenienti dall'eliminazione dell'adeguamento all'inflazione, una misura che ridurrà i consumi.

Punto secondo: la crescita. Molto più di un saldo di 25 o 15 miliardi, ciò che conta è un segnale di svolta sulle riforme strutturali. Come Lei ben sa, il nostro problema non è il deficit, ma il rapporto fra debito e prodotto interno. Per ridurlo non basta mantenere un saldo positivo al numeratore: occorre che aumenti il denominatore, cioè la crescita. La riforma dei contratti di lavoro sembra scomparsa ed è invece condizione sine qua non per la crescita. E poi riforma della giustizia, cominciando da una riduzione drastica delle sedi giudiziarie, e liberalizzazione delle professioni. È fondamentale che domani Lei offra delle proposte concrete e credibili su questi temi e si impegni ad andare avanti anche a costo di affrontare le proteste virulenti di chi difende solo interessi di parte.

Punto terzo: il metodo. Con infinti e tediosi incontri con questa o quella rappresentanza si ritorna al solito problema italiano: viene colpito chi lavora e non evade le tasse, mentre nulla si fa per tagliare la spesa pubblica. Quante volte Lei stesso lo ha scritto su questo giornale? Infine non si dimentichi che i segni sono importanti. Sappiamo che non può eliminare i vitalizi, ma può tagliare in modo drastico i trasferimenti agli organi istituzionali: ad esempio Camera e Senato. Avrà contro mille parlamentari, ma avrà dalla sua parte 50 milioni di cittadini.

Le Sue immagini insieme alla signora Merkel e al presidente Sarkozy ci hanno riempito di orgoglio, come italiani, dopo tante umiliazioni. Il mondo ci sta guardando: non è più tempo di passi felpati. Ci vuole una risposta nuova, oseremmo dire «rivoluzionaria».

Alberto Alesina e Francesco Giavazzi



Pubblica Amministrazione: dove Monti deve cominciare a tagliare !!!

Torino, 14 novembre 2011
Ottimo l'articolo su Il Corriere della Sera di oggi dove Rizzo e Stella ricordano da dove il probabile governo Monti potrebbe incominciare a tagliare nell'ambito della P.A.
Ecco il testo:
L'agenda di governo di Mario Monti non può che cominciare dalla B. Berlusconi? No: Burocrazia. Racconta il progettista della stazione Tiburtina di Roma di una conferenza dei servizi, «decisa per accelerare», con 38 partecipanti: trentotto! Un delirio: i 456 mila euro per dare le fotocopie del progetto a tutti gli invitati sono o no un costo della politica? Sì.
Ed è lì che, per fare le altre riforme necessarie, il nuovo premier dovrà mettere mano. Anzi, proprio per toccare il resto, dovrà «prima» affondare il bisturi lì: nel grasso della cattiva politica.
Va da sé che in una situazione come la nostra, dove i veti incrociati sono un incubo e il governo non può imporre alle Regioni manco la cilindrata delle autoblu senza beccarsi un ricorso alla Corte costituzionale, la strada del nuovo premier non sarà in discesa. Anzi. Le resistenze saranno vischiose, le ostilità mascherate ma callose: meno funziona la macchina dello Stato più certi politici possono mettersi di traverso, sollecitare un aiutino che dovrà poi essere ricambiato, allargare la clientela. Al punto che, dice la Corte dei conti, il costo supplementare delle «bustarelle» pretese per oliare il sistema sarebbe di 60 miliardi l'anno. Una somma che prima del decollo dello spread fra i BtP e i Bund tedeschi sarebbe bastata a pagare gli interessi annuali sul nostro debito pubblico.
E forse non è un caso se la legge anticorruzione, approvata fra squilli di trombe dal governo Berlusconi il primo marzo 2010, giace da un anno e sette mesi sotto la polvere. Il premier incaricato potrebbe partire da qua. In ogni caso, come dicevamo, un punto è certo: incidere sui costi più offensivi della cattiva politica, gli consentirebbe di raccogliere nel Paese, tra i cittadini, quel consenso necessario non solo a scardinare le resistenze più corporative dentro il Parlamento, ma a spiegare poi a quegli stessi cittadini che qualche medicina amara andrà deglutita. Un'opera di convincimento possibile solo a una classe dirigente capace di recuperare la credibilità perduta. Partendo, magari, da questo abbecedario.
A Auto blu
«Le abbiamo già dimezzate!», ha detto la ministra della Gioventù Giorgia Meloni mercoledì a La7. Il ministero della Difesa, che ha un centinaio di auto blu e 700 auto «grigie» nonostante solo in 14 avrebbero diritto al privilegio aveva appena acquistato 13 Maserati quattroporte blindate: alla faccia della manovra di luglio, che aveva stabilito la cilindrata massima di 1.600. Se ha ragione Brunetta si potrebbe risparmiare un miliardo l'anno. Da subito.
B Bilanci
È la riforma più urgente: i bilanci di Stato, Regioni, Province, Comuni sono un caos. Voci diverse, capitoli diversi, strutture diverse: ognuno fa come gli pare. Il tutto nella nebbia volutamente più fitta. Cosa c'è nei 50 milioni di euro della voce «fondo unico di presidenza» di palazzo Chigi? I soldi per le operazioni «discrete» degli 007 o la tinteggiatura dei muri? Servono bilanci unici, trasparenti, che lascino piena autonomia politica ma siano leggibili da tutti (le fognature si chiamino fognature, le consulenze consulenze) dove si capisca quanti soldi si spendono e per che cosa. Così i cittadini potranno fare dei confronti innescando una spirale che porterà a risparmi veri.
C Conflitto d'interessi
L'Italia è diventata una Repubblica fondata sul conflitto d'interessi. Basta con presidenti del Consiglio proprietari di reti televisive, ma anche assessori alla salute titolari di aziende fornitrici della sanità pubblica, sottosegretari proprietari di società che gestiscono la pubblicità per i giornali, sindaci geometri che presiedono giunte che approvano i loro progetti, avvocati-assessori che fanno causa alla propria amministrazione.
D Doppio lavoro
Se valessero a Roma le regole americane, ci sarebbero 186 parlamentari «fuorilegge»: tutti coloro che, pagati per fare i deputati o i senatori fanno pure altri mestieri, moltiplicando i propri affari grazie alla politica. E sottraendo tempo al proprio impegno istituzionale. Ecco: copiamo gli americani.
E Europa
Con la manovra di luglio si è deciso di equiparare gli stipendi dei nostri parlamentari alla media europea, sia pure corretta in base al Pil e limitata alle sei nazioni più grandi. Anche i rimborsi elettorali andrebbero adeguati a quella media. È inaccettabile che un italiano spenda in media 3 euro e 38 centesimi l'anno per mantenere i partiti, contro 2,58 degli spagnoli, 1,61 dei tedeschi e 1,25 dei francesi.
F Fisco
Una leggina infame permette a chi finanzia un politico di avere uno sconto fiscale 50 volte superiore a quello di chi dà soldi a un ente benefico o alla ricerca sul cancro. Avevano giurato di cambiarla, non l'hanno mai fatto. E tutte le proposte di legge presentate per correggere questo abominio giacciono mestamente in parlamento. Vanno tirate fuori e approvate. Subito.
G Gettoni
Un consigliere comunale di Padova incassa per ogni seduta 45,90 euro, uno di Treviso 92, uno di Verona 160. Per non dire delle regioni a statuto speciale, dove con trucchi vari un membro del consiglio municipale di Palermo può prendere 10mila euro al mese. Stop. L'autonomia non c'entra e non può essere usata a capriccio: regole fisse per tutti, da Lampedusa a Vipiteno.
H High speed
I ritardi sulla velocità di download, dove nella classifica netindex.com siamo al 70° posto dopo Kazakistan e Rwanda, sono così abissali da far sospettare a una scelta inconfessabile: meno funzionano gli sportelli elettronici, più i cittadini dipendono dai «piaceri» della burocrazia e della politica. Con costi enormi, da tagliare.
I Indennità
Le «buste paga» devono essere trasparenti, commisurate alla media europea, per tutte le cariche: l'assessore alla sanità altoatesino non può guadagnare 6mila euro più del ministro della sanità di Berlino. Basta furbizie, come certi rimborsi esentasse a forfait (magari anche a chi non ha la macchina, come nel Lazio) o il contributo per i portaborse che troppo spesso, incassato dal parlamentare, è girato ai collaboratori solo in minima parte e in nero. Si faccia come a Strasburgo, dove gli assistenti sono pagati direttamente dall'Europarlamento.
L Limiti
Il governo Prodi nell'infuriare delle polemiche aveva fissato un limite massimo agli stipendi dei superburocrati: 289 mila euro. Quel tetto, tuttavia, non è mai stato applicato. Tanto che il presidente delle Poste Giovanni Ialongo nel 2009 di euro ne ha presi 635 mila. Urgono nuove regole.
M Municipalizzate
Le società miste dei servizi pubblici locali sono state troppo spesso usate per aggirare le regole su assunzioni e appalti causando paurosi buchi finanziari ripianati dalla collettività. Basta. È inammissibile che un comune, socio principale, approvi un bilancio in rosso senza risponderne. Le regole devono essere le stesse del settore privato: chi truffa paga.
N Nomine
Il «manuale Cencelli», in base al quale vengono ripartite fra i partiti le poltrone pubbliche, vada al macero. Le nomine devono obbedire esclusivamente a criteri di merito. Va fissata la regola che chi ha ricoperto una qualsiasi carica elettiva non può essere nominato in un'azienda pubblica almeno per cinque anni. Sennò ogni poltrona diventa merce di scambio per i riciclati o per comprare un'alleanza.
O Onorevoli
Una legge costituzionale che preveda il dimezzamento dei Parlamentari e il superamento del bicameralismo perfetto si può approvare in 90 giorni. Sono tutti d'accordo, come dicono da mesi? Lo dimostrino.
P Province
Quante volte destra e sinistra hanno promesso che avrebbero abolito le Province? Costano fra i 14 e i 17 miliardi di euro l'anno e alla fine aveva accettato il taglio, sia pure a malincuore, anche la Lega. Passino dalle parole ai fatti. Anche in questo caso basterebbero tre mesi.
Q Quadruplo
Il mercato dell'auto in Italia è sceso ai livelli del 1983. Da quell'anno preso ad esempio il Pil pro capite è cresciuto del 40% ma il costo della Camera e del Senato in termini reali è quadruplicato. Un delirio megalomane. Da ricondurre a una maggiore sobrietà. Anche mettendo fine al principio dell'autodichia, in base al quale nessuno può mettere becco sui conti di Camera, Senato e Quirinale. Un controllo esterno, visto quanto è successo, è obbligatorio.
R Regioni
È intollerabile che rispetto agli abitanti i consigli regionali della Lombardia o dell'Emilia-Romagna costino circa 8 euro pro capite, quello sardo 51 o quello aostano 124. Identici servizi devono avere identici costi. Il «parametro 8 euro» farebbe risparmiare 606 milioni l'anno. Tolto l'Alto Adige per l'accordo internazionale da rispettare, andrebbero riviste inoltre alcune regole delle autonomie: non possono essere occasione di ingiusti squilibri e privilegi.
S Scorte
Da decenni ogni ministro dell'Interno dice d'averle tagliate, ma è una bufala. A Roma il rapporto fra auto di scorta e volanti della polizia, lo dice il Sap ma il prefetto concorda, è di otto a uno. Di più: la benzina per le scorte non manca mai, quella per le volanti o le gazzelle devono pagarla talvolta di tasca propria i poliziotti e i carabinieri.
T Trasparenza
Facciamo come gli inglesi: prendiamo le loro stesse regole sulla situazione patrimoniale di parlamentari, consiglieri regionali, sindaci e altre cariche elettive. Tutto trasparente, tutto sul Web. A partire dai finanziamenti privati ai partiti, oggi non solo limitati alle somme sopra i 50 mila euro, ma inaccessibili on-line. In più, la certificazione dei bilanci dei partiti va resa obbligatoria.
U Uniformità
È la regola aurea della buona amministrazione. I costi devono essere uniformi: dalle «liquidazioni» ai deputati alle siringhe delle Asl. Per mantenere i suoi dipendenti la Regione siciliana non può far pagare a ogni cittadino 353 contro i 21 euro della Lombardia. E se si stabilisce il blocco delle assunzioni, questo deve riguardare, a maggior ragione, anche palazzo Chigi.
V Voli blu
Nel 2009 le ore volate per ogni membro del governo sono state del 23% superiori al record del 2005 e addirittura del 154,2% rispetto al 2007 (gabinetto Prodi). La recente norma voluta da Tremonti che limita i voli blu ai massimi vertici dello Stato va applicata subito. Con l'obbligo di pubblicare su internet i dettagli di ogni viaggio: nome dei passeggeri, destinazione, costo. Una disposizione che dovrebbe essere retroattiva, perché i cittadini si possano rendere conto di quello che è successo negli ultimi anni.
W Welfare
Prima di toccare le pensioni dei cittadini va radicalmente cambiato il sistema dei vitalizi, che oggi vede da 11 a 13 euro di uscite per ogni euro di contributi in entrata. Vale per il Parlamento, vale per le Regioni: 16 anni dopo la riforma Dini è scandaloso che qua e là si possa andare in pensione ancora a 51 anni con quattro di contributi.
Z Zavorra
Vanno tagliate subito sul serio tutte le spese esagerate. I dipendenti di palazzo Chigi sono attualmente più di 4.600 contro i 1.337 del Cabinet Office di David Cameron. La sola Camera paga per affitti 35 milioni di euro l'anno: 41 volte più che nel 1983. Una megalomania estesa alle Regioni. Dove negli ultimi anni gli investimenti immobiliari sono stati massicci. La Puglia «sinistrorsa» ha appaltato la costruzione della nuova sede per 87 milioni, la Lombardia «destrorsa» per il Nuovo Pirellone con un mega-eliporto ne ha spesi 400. Per non dire di certi contratti extra lusso: ogni dipendente medio del Senato costa 137.525 euro. Cioè 19 mila più dello stipendio dei 21 collaboratori stretti di Barack Obama.

Quando il genio non ha età !!!!

Torino, 12 novembre 2011
Ecco un bell'esempio di come valorizzare i nuovi talenti anche in chiave prospettica per l'intera società !!|
Dal "Corriere della Sera" online di oggi.
Piccoli Jobs crescono, arrivano i 12ennin, Thomas presenta le sue applicazioni alla conferenza
Ted dirige una società di software che si chiama CarrotCorp.

Thomas Suarez ha appena 12 anni. Non può ancora iscriversi a Facebook perchè l’età minima per aprire un profilo sul social network è di 13 anni. Ciò nonostante, il ragazzino di South Bay, in California, ha già fondato una sua società di software e sviluppa diligentemente applicazioni per iPhone, iPad e iPod touch. In questi giorni è stato invitato a parlare alla rinomata conferenza Ted. Una lezione divertente, coraggiosa e degna di nota.
MINI JOBS - Camicia azzurra, tablet in mano, auricolare con microfono al collo, padronanza del palco: alla vista di questa straordinaria presentazione è probabile che il fondatore di Facebook, Mark Zuckerberg, 27 anni, si senta già troppo vecchio. Capirà, forse, che ben presto dovrà farsi superare da uno dei tanti nuovi talenti della tecnologia. Tutti giovanissimi, come il dodicenne Thomas Suarez, già ribattezzato da qualcuno il «mini Jobs». La società che dirige si chiama CarrotCorp e due delle sue applicazioni si possono già acquistare dagli App Store di Apple. «Earth Fortune» è un programma gratuito che mostra differenti colori della Terra e offre agli utenti una previsione sulla fortuna della giornata; il divertente giochino arcade «Bustin Jieber» (a 99 centesimi), invece, è basato sul concetto di whac-a-mole e prende in giro il popolare cantante canadese idolo dei giovanissimi.
MESSAGGIO - La grande passione di Thomas sono sempre stati i computer. Sin dai tempi dell'asilo è impegnato a sviluppare nuove tecnologie. Il ragazzino non si tira indietro nemmeno quando c’è da parlare di fronte ad un vasto pubblico di adulti. E lo fa con grande capacità. Come peraltro dimostra la sua recente performance ad una conferenza TEDx a Manhattan Beach, uno di quegli eventi indipendenti che si propongono di riunire persone per condividere un'esperienza simile a quella che si vive con i noti TED (Technology, Entertainment, Design). Nel corso di questi appuntamenti i relatori sono invitati a raccontare le loro innovative idee in presentazioni di massimo 18 minuti. Il messaggio del giovane americano è chiaro: i bambini che vogliono imparare a suonare il violino, prendono lezioni di musica. I bambini che vogliono giocare a calcio, si allenano in una squadra di calcio. Ma cosa fanno quei bambini che vogliono programmare un’app? «Sviluppare i giochi è assai difficile - ammette il giovane - perchè la maggior parte dei ragazzi non sanno a chi rivolgersi». E sottolinea: «Non sono poi così tanti i genitori che hanno già sviluppato delle applicazioni».
CONDIVISIONE - Il suo grande idolo, e non poteva essere altrimenti, è Steve Jobs. Non a caso ha dato il nome CarrotCorp (carota) alla sua azienda. Sempre ispirandosi al guru della Apple ha fondato un club per sviluppatori di applicazioni nella sua scuola elementare. Durante il suo discorso il giovanissimo spiega di voler creare ancora molte applicazioni in futuro; oltre a iOS di Apple intende occuparsi anche del sistema operativo Android di Google. La cosa importante però, sottolinea Thomas, è che la conoscenza possa essere condivisa con gli altri studenti

Greenspan lucido saggio che dice cose chiare !!!

Torino, 11 novembre 2011

Merita davvero per sintesi e lucidità di analisi quanto riportato da La Stampa oggi da Greenspan  sulla situazione economica italiana ed europea.
Finalmente tante precise considerazioni  al di là di tanti giri di parole !!!

Alan Greenspan: "L'Italia si salverà se adotta misure fiscali molto pesanti. Sarà dura. Sapete cosa fare, ma troverete i voti per farlo?"

di Paolo Mastrolilli
Bob Woodward lo chiamava il Maestro, durante i 19 anni in cui ha regnato sulla Federal Reserve. Alan Greenspan continua a lavorare a tempo pieno con la sua compagnia di consulenza Greenspan Associates. E’ il caso di ascoltarlo, quindi, quando avvisa l’Italia: «Vi aspetta un lavoro molto difficile. Per troppi anni avete vissuto al di sopra delle vostre possibilità, senza accorgervi che il mondo cambiava. Ora, per venirne fuori, dovete prendere pesanti misure fiscali che avreste dovuto adottare 10 anni fa. Il problema è che in democrazia non basta sapere cosa è necessario fare: bisogna avere i voti per farlo».
La giornata di Greenspan è cominciata molto presto ieri. Alle otto e mezza di mattina era già nelle sale del Council on Foreign Relations, per parlare con Sebastian Mallaby della crisi del debito. Davanti a lui il gotha della finanza newyorchese, che per due decenni lo aveva venerato come il proprio figlio prediletto, ma poi lo ha criticato, perché non si era accorto in tempo della bolla dei mutui subprime.
Il Maestro attacca spiegando perché la crisi questa volta è diversa da tutte le altre: «Per anni abbiamo tutti accumulato debiti. Il problema è cominciato quando abbiamo introdotto il concetto di “too big to fail”, troppo grande per fallire, e sono iniziati i bail out in favore del settore privato finanziati con il denaro pubblico. Il debito aggregato è diventato confuso: cosa doveva lo Stato e cosa i privati? I mercati temono questa incertezza, e i rischi inerenti all’idea che gli stati devono intervenire in maniera illimitata per salvare tutti. Servirebbe un riallineamento: il fallimento di due o tre grandi istituzioni farebbe capire che facciamo sul serio»In sostanza nessun rimpianto per Lehman Brothers. Anzi. Questo però pone il problema di cosa fare ora con gli stati che rischiano di fallire, come l’Italia. La Banca centrale europea si trova davanti ad un dilemma: stampare soldi e salvare Roma a qualunque costo, oppure accettare i rischi del default? «Questa discussione origina negli Stati Uniti. L’Italia, però, è una cosa diversa. Tanto per cominciare, la Bce è l’unica istituzione che può gestire un meccanismo per il bail out, perché il Fondo di stabilità europeo è solo un intermediario. Solo la banca centrale può creare moneta, ma lo statuto dice che non può. Ma il Patto di stabilità, quando è stato creato, vietava tante altre cose che poi sono state fatte. Non possiamo dimenticare che i primi a violare i parametri di rapporto tra pil e debito sono stati proprio la Francia e la Germania. Quando questo avvenne, le penalità non furono applicate. Perciò io mi preoccupai, e giustamente, di cosa sarebbe diventato il sistema dell’euro».
Il funzionamento auspicato, era che «con l’euro gli italiani avrebbero cominciato a comportarsi come i tedeschi. Prima del 1999 i paesi deboli svalutavano la moneta per restare competitivi: dopo avrebbero dovuto cambiare. Ma non è mai successo. Si è creata una spaccatura tra il nord virtuoso dell’Europa, e il sud che continuava a spendere, con la Francia nel mezzo, ma più incline alle politiche del “Club Med”. Questo è il motivo per cui l’euro non funziona. E ora i mercati, attraverso l’allargamento dello spread, stanno dicendo che alcuni paesi non sono più competitivi». L’opinione pubblica tedesca, comprensibilmente, sarebbe portata a scaricare i pesi e lasciare che il “Club Med” faccia la fine che merita.
Secondo Greenspan, però, non sarebbe saggio: «In questo momento il cambio del “marco ombra” è molto più alto di quello dell’euro. La moneta unica ha favorito le esportazioni e la crescita dell’intera economia tedesca. Tornare indietro provocherebbe un duro contraccolpo in Germania, costerebbe caro anche sul piano dell’occupazione. La cancelliera Merkel dovrebbe spiegare questo ai suoi cittadini: salvando il “Club Med” non regaliamo soldi, ma paghiamo il costo del sistema che ha favorito la nostra crescita».
Sono argomenti sostenuti anche dal governo Usa, per ragioni che Greenspan spiega in chiaro: «Il problema più grande per la ripresa americana è l’Europa. Ogni mattina mi sveglio, e guardando all’altra sponda dell’Atlantico posso prevedere cosa accadrà poche ore dopo a Wall Street. I nostri fondamentali sono buoni, la produttività anche. Quando si solleveranno le nubi dall’Europa ripartiremo, a patto che l’amministrazione Obama continui a fare ciò che sta facendo ora: nulla».
Ma cosa dovrebbe fare l’Italia per aiutare a sollevare le nubi: «Per troppi anni avete vissuto a livelli che non vi potevate permettere. Andava bene fino a qualche anno fa, perché c’erano scappatoie e i mercati vi perdonavano. Ma nel frattempo il mondo è cambiato e l’Italia no». Quando gli chiediamo se possiamo cavarcela, la faccia del Maestro assume quasi un’espressione di compatimento: «E’ dura. Quello che dovete fare è chiaro, ma il governo avrà i voti per farlo?».

La vendetta degli anglosassoni !!!!!!!!!!

Torino, 5 novembre 2011

A dispetto della dietrologia non è un fatto "misconosciuto" che i Paesi anglosassoni hanno mal sopportato da sempre la nascita dell'Euro. Dalla spocchiosa Inghilterra agli Usa con il venir meno della loro leadership mondiale (causa debito pubblico gigante, Pil in calo causa globalizzazione come d'altronde negli altri Paesi industrializzati, mancanza di leadership sopratutto internazionale da parte di quel bravo ex studente, quasi giovanotto e tecnico/burocrate ma non politico che è Obama). E proprio in questi giorni di turbolenza finanziaria mi è venuto in mente un articolo uscito a fine luglio ma più che mai attuale.
Stando così le cose diciamo questo:
1) I BRIC (Brasile, Russia, India e Cina e diciamo pure gli altri che formano il G20 esclusi gli industrializzati) hanno in mano in buona parte, in questo momento e chissà per quanto, le sorti della CRESCITA del mondo
2) Quindi per "I Ricchi"  anglosassoni (ricordiamoci quanto sta male sul piano del debito pubblico anche l'UK e Cameron è ancora inguiato dai casini preferie ... molti lo attendono al varco ... mentre Obama ha la rielezione in pericolo) quale miglior terreno di confronto/scontro se non far fuori come e dove e possibile l'Euro e "sputtanare" anche l'Europa nel suo insieme. 
3) Visto che l'economia reale ha come detto un suo corso con Paesi sovrani terzi possessori in tutto il mondo di importanti assets reali, monetari e finanziari (Cina in primis che detta legge anche non detta ...) la voglia di riscatto del dollaro e delle lobbies che lo sostengono è molto forte ed ecco quindi che vi ripropongo quanto scritto su Wallstreetitalia.com su cosa pensa l'Associazione dei Potenti "BILDERBERG"
N.B. Anche se vecchio di tre mesi è sempre attuale...
4) Ma  forse non andrà in porto un bel niente perchè il VALORE CULTURALE DELL'IDEA EUROPA E DEI SUOI CONCITTADINI (INTESI COME VALORI CULTURALI) E' SUPERIORE AGLI SPOCCHIOSI E PRAGMATICI (ma non e' tutto nella vita !!!) ANGLOSASSONI.
Già ai tempi di Cavour andava bene tutto ...ma non toccategli gli affari. BUSINESS IS BUSINESS.
Buona lettura.
Da WSI.com
Uno degli argomenti principali trattati nell'ultima riunione della societa' quasi segreta dei potenti di Bilderberg, una delle piu' ambiziose elite del mondo (vogliono il controllo globale), pare sia stata "la liquidazione dell'Europa".
Ecco come sono andate le cose, punto per punto, sulle Alpi Svizzere il 9-12 giugno 2011, secondo i racconti di diversi analisti, il cui contenuto va letto e interpretato con il dovuto distacco e senso critico. WSI ne aveva gia' offerto un primo resoconto due mesi fa.
A Saint Moritz non si e' parlato solo del disastro di Fukushima e delle rivolte della primavera araba, ma anche della chiusura degli impianti nucleari in Germania, dei presunti problemi legati alle attivita' su Internet e (come reso noto dal direttore generale della Deutsche Bank J. Akkerman, tra i membri fissi della lobby che punta a istaurare un nuovo ordine mondiale) del "prolungamento artificioso della crisi allo scopo di indebolire le economie nazionali.
Una delle colpe maggiori del continente e' avere 400 milioni di persone che vivono con standard di vita troppo alti e costosi per lo stato (vedi sistema di sussistenza e servizi sociali). Per annullare tali privilegi, l'idea e' scatenare "un caos gestito" che sarebbe "utile non solo per screditare i politici, ma l'istituzione della statualita' come tale", che la plutocrazia considera il suo nemico principale.
Non si potra' arrivare a un nuovo sistema di governance, senza prima provocare la demolizione della fortezza Europa. Per farlo vanno colpiti i settori finanziario, politico e sociale.
Gli obiettivi principali per scardinare i tre pilastri sono: 1) minare le economie nazionali, 2) provocare la rottura dell'Unione Europea e 3) scatenare un "caos gestito" esportando le rivoluzioni, i flussi migratori di rifugiati musulmani e la dipendenza da sostanze stupafecenti.
Per raggiungere il primo obiettivo, il piano ambizioso si propone non solo di minare la credibilita' dell'euro, ma provocare anche un default del debito di paesi che non fanno parte dell'area della moneta unica. Un default che sarebbe la conseguenza di una crisi finanziaria iniziata quattro anni fa e che riguarda tutti i membri della piramide mondiale, compresa la Federal Reserve.
Il collasso del sistema della banca centrale americana finira' per pesare sulle spalle della popolazione statunitense e sara' l'inevitabile e logica fine dei 40 anni di dominio dei soliti noti delle forze mondiali, che e' stato redditizio per gli organizzatori del sistema e penalizzante per tutti gli altri.
Grecia e Piigs sono diventati i capri espiatori solo perche' non sono riusciti a resistere alle pressioni esercitate dal "casino' globale" e hanno perso sempre piu' fonti di risorsa interne. Dalla riunione di due mesi fa e' emerso inoltre che la solidarieta' politica della Ue non assicura per forza l'integrita' della stessa unione.
E' una situazione in cui tutti preferiscono morire soli. All'inizio della crisi greca si parlava di "effetto domino" e della catastrofe che avrebbe rappresentato l'uscita di Atene dall'Ue. Ma a fine giugno ormai il crack di un solo paese era diventato un'opzione a breve termine presa in considerazione come la pillola meno dolorosa da ingerire. Al contempo sono aumentate le richieste di espulsione di tutti i paesi insolventi dalla confederazione europea.
Per quanto riguarda l'attacco all'economia, portera' da un lato alla disintegrazione dell'Unione Europea e alla riduzione dei finanziamenti per i programmi di assistenza e servizi sociali con il conseguente inevitabile ampiamento del gap tra ricchi e poveri, dall'altro creera' la prima ondata di caos, i cui primi sintomi gia' si possono notare in questa fase.

Incertezza sui mercati delle valute

Torino, 3 novembre 2011
Euro con o senza Grecia: quali conseguenze ?
Se La Grecia dovesse uscire dall'euro è la fine stessa dell'euro o sarebbe un bene, come molti da almeno un anno vanno preconizzando, con un 'Europa a due velocità. I Paesi forti dentro e quelli deboli fuori.
Sembra semplice a dirsi ma ci sono due motivi che sono assai rilevanti:
1) L'idea stessa di Europa verrebbe intaccatta nella sua essenza storica
2) La Banche francesi e tedesche piene di titoli greci verrebbero svalutate nei loro assets in modo grave. Ma forse con operazioni opportune le cose potrebbero aggiustarsi e sarebbe il male minore anche se gli importi sono così rilevanti che è difficile capire come salvare le prime 2 banche per nazione di Francia e Germania.
Davvero un bel problema.
Uno contingente e un altro di prospettiva storica !!!
Al vertice di Cannes del G20 c'è tutto il mondo davvero !!!!!
I Paesi Ue (in particolare Francia e Germania), Usa, gli emergenti, il Fmi e la Bce che dovranno trovare la via di uscita a questo problema.
Ce la faranno a trovare accordi comuni ma che nella sostanza sono divergenti per questioni di politica interna o di lobbies?
Credo che finchè non verranno ridisegnati nuovi assetti nella regole della finanza mondiale ben poco potremo aspettarci da un andamento equilibrato dei mercati !!!!

Euro in auge ma ancora un pò di incertezze

Torino, 23 ottobre 2011

L'euro dopo un minimo di 1,3145 il 4 ottobre ha corso in modo quasi inarrestabile nei pressi venerdì 21 ottobre di 1,39.
Ora dato per scontato che l'accordo in corso per la ricapitalizzazione delle banche e altro è a buon punto c'è da pensare che ci risoffermi sui fondamentali dell'economia reale che non sono ancora buoni anche se quà e là qualche segnale incoraggiante c'è ma attende ovviamente conferma come l'aumento della produzione industriale e del fatturato in Italia.
Determinanti saranno gli indicatori macroeconomici delle prossime settimane !!
Dal sito Wallstreetitalia.com che riprende a sua volta notizie ANSA riportiamo i tratti salienti dell'accordo di ieri e alcuni cenni delle aspettative dai prossimi giorni:
Merkel e Sarkozy appaiono ormai gli unici leader a tirare le fila di un'Europa asfissiata dal debito e dalla mancanza di strategie.
I ministri delle Finanze Ue hanno raggiunto un accordo di massima sulla ricapitalizzazione nelle banche. Lo si e' appreso da fonti europee che non hanno pero' precisato le cifre alla base dell'intesa. Secondo indiscrezioni, l'intesa avrebbe come base l'aumento al 9% del coefficiente patrimoniale degli istituti di credito. Sull'ammontare complessivo delle ricapitalizzazioni da effettuare, le cifre che circolano indicano una cifra tra i 107 e i 108 miliardi rispetto agli 80-100 indicati dall'Eba. Per conoscere i 'numeri' dell'intesa, secondo le fonti europee interpellate, occorrera' pero' aspettare quanto meno il vertice di domani.
La riunione dei ministri dell'Economia e delle Finanze dei 27 (Ecofin) e' finita senza alcuna decisione sulla ricapitalizzazione delle banche, e ora la parola passa ai leader nel summit di domani. ''L'Ecofin ha avuto uno scambio di vedute sulla ricapitalizzazione delle banche come parte di una strategia piu' ampia che sara' decisa dai leader domani e mercoledi''', si legge nel comunicato finale dei ministri.
MERKEL; NEGOZIATI DIFFICILI, VERE DECISIONI MERCOLEDI' - Entro mercoledi' ''troveremo i mezzi per proteggere la zona euro'', ma saranno ''negoziati difficili'' ed e' ''importante'' che Francia e Germania siano attive nel preparare le trattive. Lo ha detto la cancelliera tedesca Angela Merkel arrivando alla cena dei leader Ue appartenenti alla famiglia del ppe. Merkel, i ministri delle Finanze ''hanno fatto progressi e penso che si possano raggiungere obiettivi veramente ambiziosi da qui a mercoledi'''. Ora, ha aggiunto, ''abbiamo idee piu' precise sulla situazione in Grecia''. La cancelliera tedesca ha quindi ripetuto che non e' il caso di attendersi dal vertice di domani ''decisioni definitive: le avremo mercoledi''.
A poche ore dal suo incontro con Nikolas Sarkozy, in vista del vertice di domani a Bruxelles, la cancelliera tedesca Angela Merkel ha nuovamente insistito sulla necessita' di inasprire le sanzioni per i paesi indebitati dell'Ue. La cancelliera ne ha parlato a Braunschweig, partecipando a un incontro con i giovani dell'Unione (Cdu-Csu). ''Bruxelles finora non ha nessuna competenza per agire su questo'', ha detto. Secondo la Merkel, se un paese ha trasgredito il patto di crescita, nonostante l'autonomia di bilancio, deve poter essere giudicato davanti alla Corte di giustizia europea. ''Su questo serve piu' Europa'', ha concluso.
BARROSO FIDUCIOSO, APPELLO A RESPONSABILITA' LEADER - ''Sono fiducioso'' sul fatto che ''una soluzione complessiva sia a portata di mano. Oggi i ministri delle finanze hanno fatto progressi, ma la decisione cruciale sara' presa da summit''. Lo ha detto il presidente della Commissione europea Jose' Manuel Barroso al suo arrivo alla cena tra i leader del Ppe. ''E' anche una questione di volonta' politica'', ha aggiunto Barroso. ''Spero che tutti i leader siano all'altezza delle loro responsabilita'''
TREMONTI LANCIA EUROPIANO PER MEZZOGIORNO - Un programma straordinario per lo sviluppo del Mezzogiorno, che si chiamera' Eurosud e che prevede una revisione strategica dell'uso dei fondi strutturali europei: e' quanto ha presentato il ministro dell'economia Giulio Tremonti al presidente della Commissione Ue Jose' Barroso, nel colloquio telefonico di oggi
JUNCKER, SE BANCHE DICONO NO, VANNO OBBLIGATE - Se le banche non saranno d'accordo a subire perdite maggiori in Grecia, bisognera' procedere con una forma di imposizione: e' quanto ha detto oggi il presidente dell'Eurogruppo Jean Claude Juncker, alla tv lussemburgese Rtl. ''La partecipazione delle banche deve essere volontaria ma se non saranno d'accordo, si dovrebbe arrivare ad una soluzione obbligatoria'', ha detto Juncker.



Con che criteri affrontare le crisi valutarie prossime venture ?

Torino, 31 luglio 2011
Sulla questione delle valute ed in specie di euro e dollaro ma non solo (yuan in primis) in rapporto alle lore economie e debiti pubblici e la loro posizione sugli scenari mondiali (in sensio di peso relativo) sentiremo parlare spesso nelle prossime settimane, mesi e forse anni.
La questione rimanda a quello che  ormai da un pò si va predicando sulla possibilità di un nuove ordine mondiale da quando si è affernmata la globalizzazione. Saltantando (più del solito) schemi di regole scritte e non di teoria e politica economica e soprattutto tra quella finanziaria e l'economia reale si sono persi paradigmi su cui era quasi "convenzionale" fare i policies makers.
Troppo disordine tra regole vecchie ed etica nel cestino tra new assets allocation e risorse e distribuzione delle stesse, aspetti ambientali e di fonti energentiche (approvigionamento, distribuzione, new business).
Chi fa che cosa dove  e con che prospettive nel mondo dell'economia, della finanza e della produzione in generale ?? Con che strumento e soprattutto quale "metro" monetario (e finanziario) usare ?
Dunque l'articolo odierno apparso su La Stampa online di Mario Deaglio sulle possibili conseguenze di una precarietà in aumento a livello valutario mi sembra un buon "passaggio" per discutere  di un argomento che si ripropporrà, come detto, spesso nel prossimo futuro.
Per fare una previsione economica credo proponibile un "periodo di salvezza mondiale" con un ritorno a cambi flessibili legati a un qualcosa in modo da porre le condizioni, in una prima fase per la  riscruttura di regole e in una seconda fase, a mercati di nuovo ristabilizzati grazie ad un assetto mondiale riordinato, di lasciare al mercato stesso di portarci dove vuole seconde le regole tradizionali fin qua conosciute.
Da La Stampa online di oggi a cura di Mario Deaglio:
Il volto teso del presidente Obama che si rivolge ancora una volta ai suoi concittadini perché facciano pressione sul Parlamento e consentano, con una legge, all’amministrazione pubblica di funzionare normalmente può essere ben considerato come l’icona del possibile tramonto degli Stati Uniti quale Paese leader dell’economia mondiale. E, al tempo stesso, dell’incapacità della politica nei Paesi avanzati di fornire all’economia il supporto necessario per tornare a crescere, fornire sufficiente ricchezza e rilanciare la speranza nel futuro.
Il vuoto legislativo creato dalla risoluta volontà di una minoranza di parlamentari repubblicani di impedire l’innalzamento del tetto del debito che il governo americano è autorizzato a contrarre è infatti molto più che un tatticismo da guardare con indulgenza. Altre volte in passato quest’arma è stata usata nelle schermaglie americane di Washington, ma ora segnala un non riconoscimento o uno stravolgimento della posizione internazionale degli Stati Uniti, una grave, colpevole noncuranza per il ruolo del dollaro nel sistema internazionale. Se anche alzeranno il «tetto» del debito che il governo federale è autorizzato a contrarre, i  parlamentari repubblicani pensano di alzarlo di poco, in modo da poter tornare di qui a qualche mese a riproporre fortemente la loro concezione - si potrebbe dire il loro «ricatto» - di uno Stato minimo e di una ricchezza privata quasi priva di imposte. Siamo così di fronte al paradosso per cui il resto del mondo non avrebbe difficoltà ad acquistare, come ha sempre fatto, titoli del Tesoro degli Stati Uniti nonostante il deficit stia aumentando molto velocemente; tranne il piccolo particolare che una legge potrebbe impedire al Tesoro degli Stati Uniti di pagare gli interessi e rimborsare il prestito. Un brivido scuote così nuovamente, in questo agitato fine settimana, il castello di carte della finanza internazionale. Il paradosso si aggrava considerando che il resto del mondo ricco non è in condizioni di dare alcun aiuto. Quasi in contemporanea al discorso di Obama, il primo ministro spagnolo Zapatero annunciava lo scioglimento del Parlamento e le elezioni anticipate. Tra i leader europei Zapatero era quello che, con maggior coerenza, lucidità e determinazione si era impegnato contro la crisi. Il ricorso alle urne, e la sua contemporanea dichiarazione di non volersi ricandidare, è un’ammissione chiara di sconfitta di fronte al malumore degli spagnoli per i sacrifici da affrontare.  Nel resto d’Europa, il governo inglese è alle prese con una delle crisi peggiori degli ultimi decenni che chiama in causa istituzioni sacrosante quali la stampa e la polizia; il Cancelliere tedesco e il Presidente francese devono affrontare una crescente impopolarità che li ha portati a una sconfitta dopo l’altra nelle elezioni locali e a una clamorosa perdita di consenso nei sondaggi di opinione. Per non parlare del Belgio senza governo, dei Paesi Bassi e della Svezia con governi di minoranza, del «pasticcio» libico, del terrorismo norvegese.
In quest’impotenza generale si colloca la specifica impotenza italiana che è inutile ricordare nei dettagli a lettori che la vivono quotidianamente. Ci si sarebbe potuti aspettare una vibrante presa di posizione del ministro dell’Economia che denunciasse le massicce vendite, di marca chiaramente speculativa, di titoli del debito pubblico italiano da parte di pochi grandi operatori, tra cui alcune banche tedesche. Grazie a queste vendite, si assiste a un secondo paradosso, ossia che il debito pubblico italiano, da tutti definito solido fino a un paio di mesi fa, sia divenuto debolissimo sui mercati senza che nulla sia cambiato nella struttura e nella congiuntura dell’Italia. La denuncia - che è mancata anche per le difficoltà personali del ministro - avrebbe dovuto essere accompagnata da forti limitazioni, da attuare di concerto con gli altri Paesi della zona euro, nel tipo di contrattazioni ammesse, magari circoscritte ai soli contanti. C’è stato invece un quasi completo silenzio italiano: le meschinità della politica spicciola hanno monopolizzato l’attenzione di tutti e azzerato la nostra azione internazionale. I Paesi non toccati dalla paralisi della politica, come la Cina e l’India, non hanno forza sufficiente per avviare un’azione di contrasto alla crisi. La Cina vede con timore la propria economia andare fuori controllo, non rispondere più ai freni monetari, più volte azionati senza successo negli ultimi mesi, e teme lo scoppio di una bolla edilizia che metta fine a una crescita che, per oltre un decennio, è stata guardata dal resto del mondo con meraviglia e con invidia. L’India è alle prese con corruzione e inflazione, entrambe elevate. Brasile, Russia, Turchia e Sudafrica, Paesi dove l’economia e la politica sembrano «tenere», sono complessivamente troppo piccoli per fare massa critica.
In queste condizioni il rischio di un disordine monetario globale che porti con sé una grave debolezza dell’economia globale è sicuramente elevato, anche se vi sono ancora margini per azioni di contrasto. Come atto di normale prudenza, le banche centrali, i governi più lungimiranti e l’Unione Europea dovrebbero cercare di mettere a punto un «piano B», ossia un piano di emergenza da tenere nel cassetto. Nel caso di gravi perturbazioni nei mercati finanziari, tale piano potrebbe comportare la graduale e parziale sostituzione del dollaroccon una moneta «artificiale», un «paniere» di monete di cui il dollaro costituisca la parte prevalente ma senza l’indipendenza e la libertà di manovra di oggi. Naturalmente, le regole valutarie mondiali dovrebbero essere riscritte; del resto, successe nell’agosto di quarant’anni fa, quando gli Stati Uniti sganciarono il dollaro dall’oro senza alcuna consultazione. Potrebbe essere giunto il tempo di «riagganciarlo» a qualche cosa, di metterlo dentro un paniere, appunto.

Default Usa: pericolo ma non è la Grecia !!

Torino, 25 luglio 2011

Da La Stampa online di oggi di Alberto Bisin
Riflessione 3

Il presidente Obama sta negoziando coi repubblicani al Congresso un accordo su spesa e debito pubblico. Le negoziazioni procedono febbrilmente perché, in mancanza di un accordo in tempi brevissimi, il governo federale potrebbe non essere in grado di pagare i dipendenti pubblici, i creditori, e gli interessi sul proprio debito in esistenza. In questo caso, da un punto di vista letterale, gli Stati Uniti non farebbero fronte ai propri debiti e sarebbero quindi «in default». Come la Grecia.
Per quanto noi europei troviamo rassicurante immaginare gli Stati Uniti mentre nuotano in acque turbolente quanto le nostre, la situazione reale è ben diversa. Il default degli Stati Uniti, qualora avvenisse, sarebbe dovuto all’impossibilità di sorpassare un tetto legale all’indebitamento che il Congresso ha posto e che il Congresso può alzare con un voto e un tratto di penna: sarebbe quindi una questione legale, puramente contabile e avrebbe un significato soprattutto simbolico. I mercati non si sognano nemmeno di limitare il credito agli Stati Uniti, né di richiedere tassi elevati o crescenti per sottoscriverlo. Infatti i tassi sui titoli del Tesoro Usa sono stabili da tempo a livelli storicamente bassi; i tassi sui titoli a 6 mesi e oltre sono addirittura scesi nell’ultimo mesLa ragione dell’impasse legislativa sta nel fatto che il Congresso a maggioranza repubblicana è in una posizione di forza contrattuale notevole: rifiutandosi di votare l’innalzamento del tetto costringe l’amministrazione ad affrontare una crisi fiscale e un potenziale default che, per quanto simbolico, rappresenterebbe una figuraccia per Obama. In altre parole, i repubblicani stanno essenzialmente ricattando l’amministrazione Obama per ottenere che il governo si vincoli a quei tagli di spesa che essi considerano fondamentali per la crescita del Paese. In realtà un innalzamento del tetto sul debito pubblico tale da evitare il default fino al 2012 è già sul piatto della contrattazione, essendo stato offerto ieri dal presidente della Camera Boehner. Ma è un boccone avvelenato perché se Obama lo accettasse si aprirebbe una nuova stagione di negoziazioni proprio prima delle prossime elezioni presidenziali.
Gli Stati Uniti non sono la Grecia, quindi. E nemmeno la Spagna o l’Italia. I problemi di bilancio di questi Paesi sono infatti reali ed imminenti, nel senso che essi non trovano investitori disposti a finanziare il proprio debito, se non a spread elevati rispetto a Paesi i cui conti siano in ordine, come la Germania. Ciò non toglie però che gli Stati Uniti abbiano un problema fiscale serio ed importante, in parte dovuto alle spese militari e ai tagli fiscali dell’ultimo decennio così come alle spese per lo stimolo fiscale dopo la crisi del 2008. Inoltre, in prospettiva, la spesa per pensioni e sanità (dovuta quest’ultima sia al pre-esistente sistema sanitario per gli anziani che alla nuova riforma Obama) appaiono fuori controllo. Ma proprio il tetto legislativo al debito pubblico costringe gli Stati Uniti ad affrontare il loro problema fiscale oggi, ben prima che i nodi vengano al pettine. Qualunque cosa si pensi del ricatto a cui i repubblicani stanno sottoponendo l’amministrazione Obama, e qualunque cosa succeda nei prossimi giorni, gli Stati Uniti usciranno da questa crisi con un accordo che limiterà l’eccessiva spesa pubblica di qui a due anni almeno. Una soluzione politica ad un problema economico, che medierà tra le esigenze e le preferenze delle diverse classi di cittadini rappresentati da democratici e repubblicani, ben prima che i mercati operino pressione sul governo perché questo avvenga. Per quanto il meccanismo istituzionale del tetto al debito pubblico generi queste crisi un po’ fasulle, più contabili che altro, esso sembra in grado di raggiungere un obiettivo importante: costringere le parti a ridurre la spesa sedendosi ad un tavolo negoziale prima dell’emergenza.
E’ proprio questo che è mancato e ancora manca all’Europa

Euro dollaro: uno con il raffredore l'altro con la polmonite !!

Torino, 25 luglio 2011
Da La Stampa online di ieri a firma di Mario Deaglio
Riflessione 2
A Bruxelles un vistoso rattoppo che terrà per un poco ma che rischia di rendere necessari altri interventi. A Washington un vistoso strappo tra Camera e Presidente che fa sorgere interrogativi sulla tenuta del dollaro. Se ne ricava l’impressione di una crescente incapacità dei Paesi ricchi di governare il sistema monetario mondiale, il che getta ombre lunghe sui meccanismi della globalizzazione. Il sofferto accordo sul debito greco, raggiunto giovedì sera a Bruxelles dopo una trattativa difficile ed estenuante, è ricchissimo di codicilli e molto povero di idee, un accordo senza vincitori, dal quale tutti escono un po’ sconfitti. Non possono esserne soddisfatti i greci, i quali, pur avendo ottenuto sconti sugli interessi da pagare e un paracadute sul loro enorme debito, vedono nel comunicato finale la conferma della condanna della loro economia, non certo florida, a un lungo periodo di stagnazione e difficoltà. E neppure le banche creditrici, costrette a sottoscrivere «volontariamente» i nuovi titoli del debito pubblico greco man mano che quelli vecchi giungeranno a scadenza, con una correzione al ribasso degli utili previsti. Non esultano i tedeschi sui quali, indirettamente, ricadrà una parte del peso della manovra, e non sono allegri neppure i francesi che non sono riusciti a far passare l’idea di una tassazione europea.
I mercati internazionali rimangono scettici e l’opinione pubblica nervosa.
L’accordo avviene all’insegna di una ampia politica di tagli, che si tradurranno in un freno aggiuntivo all’economia, proprio mentre l’Europa ha bisogno di stimoli alla crescita.Non è solo la Confindustria a delineare la prospettiva inquietante di una produzione nuovamente stagnante nel terzo trimestre del 2011, in Germania gli indici di fiducia delle imprese sono bruscamente scesi ai valori di fine 2010 e analoghe cadute di fiducia si registrano tra le imprese francesi. Ottenere la stabilità dell’euro al prezzo di una stagnazione non sembra certo la più lungimirante delle politiche; anzi, non è neppure una politica, bensì una sorta di ondeggiamento continuo, senza una direzione precisa, da parte di un’Europa che non riesce a darsi una strategia per il proprio futuro.In realtà, l’Europa è su un piano inclinato. Può uscirne verso l’alto con la rinuncia dei vari Paesi dell’euro a una parte della loro sovranità in materia di politica economica a favore di un governo centrale, e quindi con l’europeizzazione di importanti capitoli nazionali di spesa pubblica e di importanti entrate fiscali; oppure può uscirne verso il basso, ricreando il sistema monetario europeo, con l’euro al centro e una moderata possibilità di fluttuazione delle valute nazionali. In ogni caso non può restare, e non resterà, perennemente immobile.La prospettiva risulta ancora più complessa in quanto le difficoltà dell’euro sono contestuali alle difficoltà del dollaro. A Washington è in corso ormai da mesi un incredibile braccio di ferro tra il presidente Obama e la maggioranza repubblicana della Camera dei Rappresentanti che si rifiuta di innalzare il tetto del debito pubblico (che negli Stati Uniti è stabilito per legge) senza ottenere in cambio imponenti tagli alla spesa pubblica. Venerdì sera i repubblicani hanno lasciato le trattative sbattendo la porta; se un accordo non verrà raggiunto entro il 2 di agosto, il Tesoro degli Stati Uniti potrebbe non disporre delle risorse per rimborsare i propri titoli in scadenza.Nessuno crede veramente a un simile scenario, che sancirebbe la fine ingloriosa del dollaro quale valuta internazionale: anche solo l’abbassamento della valutazione attribuita ai titoli pubblici americani appartiene più a uno scenario di fantaeconomia che a un serio esercizio previsivo. Eppure nessuno se la sente di escluderlo di fronte alla scarsa lungimiranza dei parlamentari americani, la cui attenzione, come per quelli europei, è pressoché totalmente concentrata sui giochi politici interni e sul brevissimo periodo. Ormai, sembrano esser solo i cinesi e i brasiliani a pensare in grande, ad effettuare analisi economiche e valutarie globali di lungo periodo.Anche ammettendo che i parlamentari americani non siano così folli e miopi da spingere il proprio Paese in un precipizio finanziario, la situazione degli Stati Uniti rimane debolissima per l’evidente fallimento della politica di stimolo monetario che fino a fine giugno per nove mesi ha «iniettato» nell’economia 2,5 miliardi di dollari al giorno. Con il solo risultato di far salire il prezzo delle materie prime, mentre la disoccupazione torna ad aumentare. A questo punto non si può non convenire con il premio Nobel Paul Krugman che, sul New York Times di giovedì, ha ammonito contro il pericolo di una «Piccola Depressione» che assomiglia alla «coda» della «Grande Depressione» degli Anni Trenta: nel 1937, il passaggio prematuro da una politica di stimoli fiscali a una politica fiscale restrittiva fece deragliare gli accenni di ripresa. E la depressione continuò fino a quando la Seconda guerra mondiale diede alla domanda lo stimolo che le politiche di pace non erano state in grado di fornire. Sappiamo bene a quale terribile prezzo.Fortunatamente siamo ben lontani dalle condizioni di allora. Sarebbe però opportuno che, sulle due rive dell’Atlantico, i banchieri centrali e i ministri economici quest’anno non andassero in vacanza. Per evitare di essere colti di sorpresa, nella quiete d’agosto, come successe nel 2007 e nel 2008, nel caso in cui una miope follia dovesse prevalere al Congresso americano o il «rattoppo» di Bruxelles non dovesse tenere.

Euro con inflazione programmata? Potrebbe essere una soluzione

Torino, 25 luglio 2011
In questo periodo quasi vacanziero tre sono le letture che vale la pena  riproporre.
Rigiardano tutte e tre l' euro, il dollaro e/o il loro rapporto.
Per certi voci sembra di essere tornati a parlare di cambi fluttanti e/o legati all'oro come una volta.
Questo Blog ne ha parlato più volte in tempi anche non sospetti !!
Le chiameremo riflessione 1, 2 e 3 con tre Post diversi.
Riflessione 1
4/7/2011
Da La Stampa del 4 luglio 2011

All'euro serve un'inflazione programmata di Giorgio La Malfa e Piergiorgio Gawronski
La crescita economica è tornata. Tranne in Europa e in particolare nell’area dell’euro, dove c’è la disoccupazione più alta, la crescita più bassa e dove un certo numero di Paesi rischia l’insolvenza. Un passo dopo l’altro, l’Europa si avvicina pericolosamente all’abisso di una crisi finanziaria che, partendo dai Paesi più esposti a causa del loro debito pubblico, può finire per investire l’euro in quanto tale. Non siamo affatto convinti che le autorità europee si rendano pienamente conto di questo rischio. Esse insistono esclusivamente sulla necessità assoluta di politiche di riduzione accelerata del debito pubblico. In sé non hanno torto visto il livello del debito pubblico in molti Paesi. Per addolcire la pillola, il governatore della Banca Centrale Europea, Trichet, ha ripetutamente affermato che l’austerità «rafforza la fiducia del settore privato», e per questa via «i consumi e gli investimenti». Questo è solo un atto di fede neoliberista nelle virtù dell’astinenza. Non c’è alcuna prova che le cose stiano così. Anzi vi è evidenza del contrario: le politiche di austerità nei Paesi con alto debito, aggravando la depressione della domanda interna, generano la spirale negativa osservata in Grecia, Irlanda, Portogallo, e che ormai lambisce il nostro Paese, come mostra il peggioramento dei giudizi delle agenzie di rating. I tagli alla spesa pubblica riducono crescita ed entrate fiscali; le «riforme strutturali» non aiutano la domanda; la deflazione accresce il peso reale dei debiti. E difatti la crisi greca si aggrava di mese in mese, e il conto diventa più salato (più stremata la Grecia, meno potrà restituire ai suoi creditori). In Irlanda, addirittura, i mercati hanno spinto i tassi d’interesse alle stelle nel 2010 dopo l’avvio del programma di austerità, man mano che le sue conseguenze si manifestavano. Anche sull’Italia incombe una manovra da 40 miliardi che introdurrà altre spinte depressive. Una nuova recessione metterebbe fine al sogno del «pareggio del bilancio» e ci avvicinerebbe all’esito greco. Ma anche non fare la manovra ci trascinerebbe nel vortice. Sembra di essere in un vicolo cieco. È proprio vero che non c’è una via di uscita? Il punto dal quale bisogna partire è che la definizione di una buona politica economica è particolarmente difficile perché ci si trova di fronte a un «trilemma». Bisogna cioè realizzare contemporaneamente tre obiettivi: un recupero della competitività, una crescita dei redditi, la riduzione del debito pubblico. Se non si vuole stimolare la crescita attraverso il deficit pubblico, giacché il debito è alto, bisogna accrescere la competitività. Ma se ci s’illude di accrescere la competitività abbassando i salari, si rischia di vedere crollare la domanda di beni consumo. In queste condizioni, come si diceva un tempo, per centrare tre obiettivi servono tre cannoni. Oggi ve n’è uno solo: la politica monetaria ed essa agisce in direzione contraria al raggiungimento dell’obiettivo della competitività perché tende a tenere alto il corso dell’euro rispetto alle altre valute. Se si vuole sperare di affrontare con successo il «trilemma», non servono le formule: il neo-liberismo non basta, come non serve l’ideologia anti-capitalista dell’estrema sinistra. Occorre stimolare la domanda. Se la politica di bilancio dei singoli Paesi deve essere restrittiva, da qualche altra parte deve venire uno stimolo alla crescita, per esempio dalla politica monetaria e dal tasso di cambio e forse anche dal bilancio delle istituzioni europee. Il problema è che l’Europa dell’euro è stata costruita con un solo pensiero: impedire l’inflazione e il debito pubblico che spesso in passato ne è stato causa. Nella stesura del trattato di Maastricht, prevalse la filosofia della Germania. Ciò che è grave è che le sue istituzioni non siano in grado di reagire in modo adeguato quando il problema non è l’inflazione ma la deflazione. Non può esservi soluzione alla crisi senza un contributo positivo della Banca Centrale Europea. Essa invece sta alzando i tassi d’interesse per combattere un nemico che non c’è (l’inflazione core è da anni sotto al 2%). Solo in un ambiente europeo caratterizzato dalla reflazione i Paesi in difficoltà possono sfuggire al «vortice greco». Solo così si risolve il trilemma della politica economica. La strategia si chiama «quantitative easing» cioè, in termini espliciti, «inflazione programmata». Parole – ci rendiamo conto che suonano anatema alle orecchie dei sacerdoti dell’ortodossia monetaria.
Un tasso d’inflazione programmato per quattro anni (2013-2016) al 3,5% in Europa (4,5% in Germania), e tassi d’interesse fermi all’1%, consentirebbero:
1) A tutta la struttura dei tassi d’interesse di posizionarsi su livelli reali negativi, stimolando la domanda interna e l’occupazione.
2) All’euro di ridurre il suo corso rispetto alle altre grandi valute, e ai Paesi in difficoltà di recuperare competitività in Europa senza cadere nella deflazione – cioè senza aggravare il peso del debito pubblico.
3) Una riduzione del valore reale dei debiti pubblici e un aumento delle entrate fiscali che aiuterebbe il successo delle manovre di risanamento dei bilanci.
Accanto a questo servirebbe qualche investimento europeo ben studiato e finanziato facendo ricorso a livello europeo alla leva del debito. Naturalmente, queste politiche sposterebbero il peso dei sacrifici dai lavoratori alle rendite. E questo non è un male. Quanto alla Germania, avendo un basso tasso d’inflazione potrebbe alzare i salari reali e godersi il frutto della sua coerenza in un quadro di stabilità del sistema bancario.
Ovviamente, per fare tutto questo bisogna cambiare la filosofia deflazionistica che è così profondamente connaturata all’Europa monetaria. Ma questa filosofia giorno dopo giorno inesorabilmente alimenta la crisi. L’Europa è inchiodata alla croce dell’ortodossia monetaria, con conseguenze nefaste che riguardano tutti. Noi pensiamo che solo un atto di coraggio collettivo potrà salvare l’Europa e l’euro. È ora di cambiare strada.











Un capitalismo dal volto umano ?

Torino, 28 giugno 2011
E' interessante riflettere su nuovi scenari dove un capitalismo "dal volto umano" possa far convivere crescita e opportunità per tutti indipendentemente da censo, età, regione geografica.
L'occasione è data da un articolo di Rampini pubblicato oggi su La Repubblica online che qui volentieri ripropongo.
Rifondare il capitalismo, “inclusivo”: ecco l’America visionaria
C’è chi lo battezza “capitalismo inclusivo” e chi preferisce “capitalismo democratico”. Non conta l’etichetta ma il contenuto: un cambio radicale di priorità, regole e valori, un nuovo umanesimo che comanda l’economia. Meno finanza, meno diseguaglianze, una diversa gerarchia nei luoghi di lavoro, un mondo imprenditoriale con finalità alternative al solo profitto. Non è un libro dei sogni, è il risultato di una vasta consultazione avvenuta in America tra imprenditori, innovatori, giuristi, studiosi di ogni disciplina, dalla finanza alla proprietà intellettuale. Il dibattito lo ha lanciato la rivista The Nation, laboratorio di idee della sinistra americana, con il titolo Reimagining Capitalism e questa domanda: “Immaginate di poter reinventare il capitalismo, da dove comincereste? Cosa si può cambiare per renderlo meno distruttivo, più centrato sui reali bisogni dell’umanità, per orientarlo a rendere le nostre vite migliori?” Le risposte potevano sbizzarrirsi ai confini dell’Utopia. Invece si sono mobilitati protagonisti dell’economia, esperti di rango, con un elenco di proposte concrete, 13 grandi idee, progetti per cambiare da subito. Il successo dell’iniziativa rivela una voglia di riforme ben più diffusa di quanto appaia dal dibattito politico tradizionale. “Tutti hanno in comune una caratteristica – commenta il caporedattore di The Nation, William Greider – è gente allenata a pensare nel lungo termine, con esperienze concrete dal business alla finanza, attivisti e ottimisti, capaci di sfoggiare un’inventiva sorprendente”. E’ la prova che l’America “è ancora viva e vitale, ricca di pensiero giovane, propensa a lanciarsi verso grandi cambiamenti”. Alcune di queste proposte innovative si stanno già facendo strada da sole, dentro la società civile, con un’esplosione di iniziative dal basso. Poche di queste idee circolano nei partiti, ancora prigionieri di schemi arcaici: la destra vuole “lo Stato minimo”, i democratici o sono sulla difensiva o si limitano a invocare “più Stato”. Mentre dalle 13 idee per cambiare il capitalismo emerge una certezza comune: c’è bisogno “di uno Stato più forte, non più grosso”, una distinzione importante visto che l’Occidente intero dovrà affrontare per diverse generazioni un risanamento delle finanze pubbliche. Gli esperti che hanno aderito all’iniziativa di The Nation non chiudono gli occhi di fronte a una delle contraddizioni della sinistra: “Non basta invocare più regole, visto che il fallimento delle regole è stata una delle cause dell’ultimo spaventoso tracollo del capitalismo”. E proprio dalla colonna portante del capitalismo, cioè l’impresa, partono alcune delle idee d’avanguardia raccolte su The Nation. “Benefit Corporation”, traduzione Impresa Benefica: è una società per azioni il cui statuto sociale e ragion d’essere sia diversa dal profitto. Non è un sogno, è un cambiamento delle normative già in atto in California, New Jersey, Maryland, Virginia e Vermont, tutti Stati che hanno modificato il codice civile per consentire la diffusione di aziende che costruiscono “un’economia di mercato ma non una società di mercato”. Jamie Raskin, giurista costituzionale e senatore del Maryland, elenca diverse Benefit Corporations che hanno come finalità obbligatoria “un impatto positivo sulla società e l’ambiente: alcune si occupano del risanamento di fiumi, altre operano nell’edilizia popolare, altre ancora combattono l’analfabetismo di ritorno”. E’ un movimento reale, il B Lab di Philadelphia ha già censito oltre 400 Benefit Corporations. E a differenza dello statuto generico di cooperative, il marchio delle Benefit Corporations si può perdere: “se l’azienda non tratta i propri dipendenti, la comunità locale e l’ambiente con lo stesso rispetto che ha per gli azionisti”. William Lerach, noto avvocato che ha vinto battaglie storiche in difesa dei consumatori e dei piccoli azionisti (ottenne 7,2 miliardi di rimborsi per i soci di minoranza Enron) spiega come introdurre “un poliziotto in ogni consiglio d’amministrazione, imponendo alle S.p.a. un amministratore indipendente che per legge protegga gli interessi dei dipendenti e del pubblico”, aggirando le costruzioni barocche e inutili della corporate governance. Kent Greenfield, giurista del Boston College, spiega perché va abolita la “responsabilità limitata”: nata per favorire gli investimenti imprenditoriali (isolando il capitale d’impresa dalle proprietà dei singoli azionisti) è diventata la causa di una dilagante irresponsabilità capitalistica. “L’imprenditore che rischia in proprio, che perde se sbaglia”: questa figura d’altri tempi, così lontana dall’impunità recente invalsa ai vertici del capitalismo, torna in auge grazie agli Employee Stock Ownership Plan (Esop): 11.000 aziende sono state comprate dai loro stessi dipendenti, in tutto 12 milioni di lavoratori. Il giurista Vincent Panvini estende la lezione a tutte le imprese: “Contro la figura del chief executive de-responsabilizzato, che si arricchisce coi paracadute d’oro anche quando rovina l’impresa, tutte le regole retributive del top management devono essere tassativamente allineate alla salute dell’azienda”. Joe Costello prevede gli enormi vantaggi per la collettività dall’estensione sistematica dei principi dell’”open information”, riducendo l’appropriazione privata delle scoperte e della proprietà intellettuale da parte delle multinazionali. Sarah Anderson dell’Institute for Policy Studies rilancia la tassa sulle transazioni finanziarie con un progetto concreto per risolvere i dissensi tra Europa e Stati Uniti. Robert Weissman che dirige il movimento Public Citizen prende ispirazione dal salvataggio statale di General Motors e Chrysler, e spiega tutte le leve d’influenza che il governo può mobilitare per orientare gli investimenti privati: a vantaggio delle energie rinnovabili, per la tutela della salute, la ricerca scientifica. Barbara Dudley racconta come sta prendendo piede nell’Oregon una nuova forma di microcredito, che aggira il potere delle grandi banche e garantisce finanziamenti a chi ne ha più bisogno: studenti universitari, piccole imprese, cooperative. Joseph Blasi, Richard Freeman e Douglas Kruse sono tra i più autorevoli esperti di relazioni industriali a Harvard e Rutgers: insieme firmano la proposta che rivoluzionerebbe gli incentivi fiscali per le imprese, limitandoli a quelle che riservano all’80% della manodopera (la parte bassa della piramide gerarchica) le stesse risorse che servono a pagare il 5% del top management. Una ricetta semplice per invertire la tendenza all’ipertrofìa dei superstipendi e al patologico aumento delle diseguaglianze. Tra gli imprenditori spicca Leslie Christian, chief executive di Portfolio 21 Investment: “L’attivismo dei risparmiatori può scavalcare i ritardi dei governi nel promuovere uno sviluppo sostenibile per l’ambiente. Aumentano i fondi che escludono sistematicamente dai loro portafogli d’investimento le energie fossili e vanno in cerca di opportunità di lungo termine solo in aziende che hanno una strategia di riduzione nei consumi di risorse naturali”. Ray Carey, che è stato chief executive di Adt, affronta il problema che assilla l’esercito delle “pantere grigie”, la generazione del baby-boom che comincia adesso ad andare in pensione senza garanzie sui propri redditi futuri: “Un sistema di retribuzione degli amministratori dei fondi pensione, che vincoli i loro stipendi ai risultati di lungo termine”. Le 13 idee sono riforme a costo zero, non richiedono nuove risorse pubbliche, spesso anzi le fanno risparmiare (come lo sfoltimento dei privilegi fiscali per la rendita finanziaria). Ignorarle significa rassegnarsi a “un’economia patologica, una finta ripresa, con salari declinanti, debito pubblico e debito estero in aumento, il ceto medio che s’impoverisce”. In comune, gli autori che hanno raccolto la sfida da The Nation hanno la caratteristica di pensare “out of the box”, fuori dalle consuetudini, ribellandosi alla pigrizia mentale. Sono a tutti gli effetti degli imprenditori sociali, pionieri dell’innovazione nella migliore tradizione americana. Il più grosso sforzo che si richiede per reinventare il capitalismo, è “immaginazione morale e spirituale”. Questo serbatoio mostra di essere ancora abbondante in America, non aspetta che arrivi il nulla osta dall’alto per mobilitarsi e sperimentare.

Per Soros monete deboli presto fuori dall'euro !!

Torino, 27 giugno 2011

Se fosse vero ... sarebbe traumatico ...ma non ci credo !!!!!!
Soros: quasi inevitabile uscita dall'euro dei paesi deboli. All'Ue serve un piano alternativo
(da il Sole 24ore online di oggi)
Ormai da più di un anno c'è chi vuole vedere il rapporto 1:1 euro/dollaro.
Troppa frenesia, troppo volontà di remare contro !!
Per molti media da mesi la musica è sempre la stessa. Ma a mio modesto avviso sono più forti le ragioni "politiche" dell'Europa nel tenere uniti gli Stati della zona euro (in previsione tra l'altro di nuove adesioni)  sottolineando che gli Usa a fronte di una crescita lenta continuano a far aumentare il debito. 
E alla fine parla di un Piano B che forse non è ancora nero su bianco sulla carta ma che è nel DNA dell'Europa che DEVE PER FORZA SOPRAVVIVERE A SE' STESSA !!!!
Ma vediamo la posizione di Soros:
L'Europa dovrà introdurre presto un meccanismo che consenta alle economie più deboli a uscire dall'euro. Lo ha detto il finanziere George Soros ieri a un panel a Vienna dove ha definito questa prospettiva «nelle attuali circostanze, probabilmente inevitabile», come riporta l'agenzia Bloomberg. Per Soros, 80 anni, creatore e presidente del Soros Fund Management con oltre 28 miliardi di dollari di asset, «siamo vicini a un disastro economico che dovrebbe iniziare, possiamo dirlo, in Grecia, ma che potrebbe facilmente espandersi. Il sistema finanziario rimane estremamente vulnerabile».
Sui mercati pesano i timori che la Grecia (terzo paese a ricevere gli aiuti internazionali oltre a Irlanda e Portogallo) non approvi il nuovo piano di austerità, necessario per ottenere nuovi fondi ed evitare il default. Una preoccupazione che ha spinto l'euro ai minimi storici contro il franco svizzero nella settimana appena trascorsa.  La Grecia tiene i mercati sotto pressione. Wall Street incerta. Tensione sui titoli di Stato: record nel divario tra Btp e Bund. Giù euro e petrolio. Asta Bot con rendimenti superiori al 2%.
Vedi tutti » «Credo che la maggior parte di noi sia concorde nel vedere nell'euro la crisi dell'Europa», ha precisato Soros. «È un tipo di crisi finanziaria in continua evoluzione. Un crisi attesa. Molti se ne sono accorti. Le autorità stanno cercando di prendere tempo, ma questo giocherà a loro sfavore»
Soros è diventato famoso oltre che ricchissimo per avere scommesso nel 1992 un miliardo di dollari contro la sterlina che in effetti, prima dell'arrivo ell'euro, ha dovuto uscire dall'allora sistema di cambi europeo. Quello di ieri non è stato il suo primo allarme. Già lo scorso gennaio al World Economic Forum di Davos in Svizzera, Soros aveva manifestato preoccupazione per la tenuta della moneta unica sollecitando le autorità europee ad affrontare il problema della loro economia a due velocità, pena il collasso dell'euro.
Il piano B
Se la Grecia non dovesse approvare il piano di austerità da 78 miliardi di euro, il rischio default con contagio a Irlanda, Spagna e Portogallo diventerebbe molto concreto. Ma siccome la sopravvivenza dell'euro, secondo Soros, «è vitale per tutti noi» per affrontare la crisi «è necessario un piano B alternativo che al momento non esiste» e che potrebbe richiedere «più tasse e garanzie per il sistema bancario da parte delle istituzioni europee».
Comunque Sorios, quello che nel '92 mise in crisi la sterlina, è figlio del famoso SISTEMA FINANZIARIO GLOBALE (HEDGE FUNDS IN PRIMIS E ALTRI) per il quale si invoca una riscruttura delle regole internazionali ..... ma quando e chi avrà la forza di combattare lobbies così potenti ???

Ancora in crisi l'economia Usa

Torino, 23 giugno 2011

Rischio deflazione negli Usa. Ecco quanto dichiara la Fed e riportato in un articolo de Il sole 24 ore online di oggi.
La Federal Reserve ha lasciato i tassi d'interesse invariati per sostenere la ripresa Usa, che continua a essere al rallentatore. Il Federal Open Market Committee, il comitato di politica monetaria della banca centrale, ha votato all'unanimità per lasciare i tassi tra lo 0 e lo 0,25 per cento «per un periodo esteso». Nella nota diffusa ai mercati la Fed ha affermato che «la ripresa continua a ritmo moderato, più basso delle attese».uanto ai rischi di una ripresa dell'inflazione la Fed ha reso noto che a suo giudizio «le aspettative di inflazione a lungo termine rimangono stabili». La Fed ha tagliato le stime sulla crescita e rivisto al rialzo quelle sull'inflazione "core" e sull'andamento dell'occupazione. Per il 2011, la Banca Centrale americana attende ora una crescita del prodotto interno lordo tra il 2,7 e il 2,9%, meno del range tra il 3,1 e il 3,3% stimato in precedenza. Quest'anno il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi all'interno di una forchetta tra l'8,6 e l'8,9%, più del range tra l'8,4 e l'8,7% precedente. Per quanto riguarda l'inflazione, il tasso si dovrebbe attestare tra il 2,3 e il 2,5%, contro il range tra il 2,1 e il 2,8% precedente, mentre per la componente "core", quella epurata dalle componenti più volatili come i prezzi di energia e generi alimentari, le stime sono ora per un range tra l'1,5 e l'1,8%, più della forchetta tra l'1,3 e l'1,6% precedente.



Quantitative easing

La banca centrale non ha indicato alcuna intenzione di rinnovare il programma di stimolo aggiuntivo all'economia tramite l'acquisto di buoni del Tesoro americani. Finirà quindi con il mese di giugno, senza essere rinnovato, il programma straordinario di acquisto di 600 miliardi di dollari di titoli del debito pubblico. Tuttavia, rimarranno a bilancio della Fed anche gli oltre 2.830 miliardi di titoli attualmente nel portafoglio. La banca centrale reinveste gli introiti da titoli in scadenza per acquistare buoni del Tesoro.



A tal proposito secondo Bill Gross, manager di Pimco, il fondo obbligazionario più grande del mondo (che oggi ha indicato il default della Grecia come inevitabile), la Fed dovrebbe lanciare ad agosto un piano di quantitative easing 3 per iniettare nuova liquidità nel sistema.



Il discorso di Bernanke

La crisi del debito greco potrebbe rappresentare «un rischio per l'economia globale». Lo ha detto il presidente della Federal Reserve Ben Bernanke, durante la conferenza stampa a commento della decisione della Banca Centrale di lasciare i tassi. Secondo Bernanke, la situazione in Grecia «è molto importante e molto difficile» e i Paesi europei «comprendono che è incredibilmente importante trovare una soluzione» alla crisi. Dal canto suo, la Fed è «molto ben informata» sulla situazione. Bernanke ha inoltre precisato che un «default della Grecia avrebbe un impatto limitato» sulle banche americane, che hanno «un'esposizione limitata al debito greco», ma gli effetti di un default sarebbero «abbastanza significativi»

Sulla situazione economica interna, il presidente della Fed ha sottolineato che la crescita negli Usa sta continuando «moderatamente«, che il tasso di disoccupazione, oggi al 9,1%, dovrebbe scendere, anche se lentamente, nei prossimi mesi. Ha aggiunto che che la ripresa «inizierà nel 2012, ma a un passo più lento di come avevamo previsto ad aprile»; che gli Stati Uniti non corrono più il rischio deflazione; che i tassi di interesse rimarranno a livelli eccezionalmente bassi per un periodo prolungato, ovvero almeno 2 o 3 riunioni del Fomc. Non ha escluso nuove azioni della Fed a sostegno dell'economia se sarà necessario ed ha ribadito l'urgenza di affrontare il problema del deficit e del debito americano.