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Euro con inflazione programmata? Potrebbe essere una soluzione

Torino, 25 luglio 2011
In questo periodo quasi vacanziero tre sono le letture che vale la pena  riproporre.
Rigiardano tutte e tre l' euro, il dollaro e/o il loro rapporto.
Per certi voci sembra di essere tornati a parlare di cambi fluttanti e/o legati all'oro come una volta.
Questo Blog ne ha parlato più volte in tempi anche non sospetti !!
Le chiameremo riflessione 1, 2 e 3 con tre Post diversi.
Riflessione 1
4/7/2011
Da La Stampa del 4 luglio 2011

All'euro serve un'inflazione programmata di Giorgio La Malfa e Piergiorgio Gawronski
La crescita economica è tornata. Tranne in Europa e in particolare nell’area dell’euro, dove c’è la disoccupazione più alta, la crescita più bassa e dove un certo numero di Paesi rischia l’insolvenza. Un passo dopo l’altro, l’Europa si avvicina pericolosamente all’abisso di una crisi finanziaria che, partendo dai Paesi più esposti a causa del loro debito pubblico, può finire per investire l’euro in quanto tale. Non siamo affatto convinti che le autorità europee si rendano pienamente conto di questo rischio. Esse insistono esclusivamente sulla necessità assoluta di politiche di riduzione accelerata del debito pubblico. In sé non hanno torto visto il livello del debito pubblico in molti Paesi. Per addolcire la pillola, il governatore della Banca Centrale Europea, Trichet, ha ripetutamente affermato che l’austerità «rafforza la fiducia del settore privato», e per questa via «i consumi e gli investimenti». Questo è solo un atto di fede neoliberista nelle virtù dell’astinenza. Non c’è alcuna prova che le cose stiano così. Anzi vi è evidenza del contrario: le politiche di austerità nei Paesi con alto debito, aggravando la depressione della domanda interna, generano la spirale negativa osservata in Grecia, Irlanda, Portogallo, e che ormai lambisce il nostro Paese, come mostra il peggioramento dei giudizi delle agenzie di rating. I tagli alla spesa pubblica riducono crescita ed entrate fiscali; le «riforme strutturali» non aiutano la domanda; la deflazione accresce il peso reale dei debiti. E difatti la crisi greca si aggrava di mese in mese, e il conto diventa più salato (più stremata la Grecia, meno potrà restituire ai suoi creditori). In Irlanda, addirittura, i mercati hanno spinto i tassi d’interesse alle stelle nel 2010 dopo l’avvio del programma di austerità, man mano che le sue conseguenze si manifestavano. Anche sull’Italia incombe una manovra da 40 miliardi che introdurrà altre spinte depressive. Una nuova recessione metterebbe fine al sogno del «pareggio del bilancio» e ci avvicinerebbe all’esito greco. Ma anche non fare la manovra ci trascinerebbe nel vortice. Sembra di essere in un vicolo cieco. È proprio vero che non c’è una via di uscita? Il punto dal quale bisogna partire è che la definizione di una buona politica economica è particolarmente difficile perché ci si trova di fronte a un «trilemma». Bisogna cioè realizzare contemporaneamente tre obiettivi: un recupero della competitività, una crescita dei redditi, la riduzione del debito pubblico. Se non si vuole stimolare la crescita attraverso il deficit pubblico, giacché il debito è alto, bisogna accrescere la competitività. Ma se ci s’illude di accrescere la competitività abbassando i salari, si rischia di vedere crollare la domanda di beni consumo. In queste condizioni, come si diceva un tempo, per centrare tre obiettivi servono tre cannoni. Oggi ve n’è uno solo: la politica monetaria ed essa agisce in direzione contraria al raggiungimento dell’obiettivo della competitività perché tende a tenere alto il corso dell’euro rispetto alle altre valute. Se si vuole sperare di affrontare con successo il «trilemma», non servono le formule: il neo-liberismo non basta, come non serve l’ideologia anti-capitalista dell’estrema sinistra. Occorre stimolare la domanda. Se la politica di bilancio dei singoli Paesi deve essere restrittiva, da qualche altra parte deve venire uno stimolo alla crescita, per esempio dalla politica monetaria e dal tasso di cambio e forse anche dal bilancio delle istituzioni europee. Il problema è che l’Europa dell’euro è stata costruita con un solo pensiero: impedire l’inflazione e il debito pubblico che spesso in passato ne è stato causa. Nella stesura del trattato di Maastricht, prevalse la filosofia della Germania. Ciò che è grave è che le sue istituzioni non siano in grado di reagire in modo adeguato quando il problema non è l’inflazione ma la deflazione. Non può esservi soluzione alla crisi senza un contributo positivo della Banca Centrale Europea. Essa invece sta alzando i tassi d’interesse per combattere un nemico che non c’è (l’inflazione core è da anni sotto al 2%). Solo in un ambiente europeo caratterizzato dalla reflazione i Paesi in difficoltà possono sfuggire al «vortice greco». Solo così si risolve il trilemma della politica economica. La strategia si chiama «quantitative easing» cioè, in termini espliciti, «inflazione programmata». Parole – ci rendiamo conto che suonano anatema alle orecchie dei sacerdoti dell’ortodossia monetaria.
Un tasso d’inflazione programmato per quattro anni (2013-2016) al 3,5% in Europa (4,5% in Germania), e tassi d’interesse fermi all’1%, consentirebbero:
1) A tutta la struttura dei tassi d’interesse di posizionarsi su livelli reali negativi, stimolando la domanda interna e l’occupazione.
2) All’euro di ridurre il suo corso rispetto alle altre grandi valute, e ai Paesi in difficoltà di recuperare competitività in Europa senza cadere nella deflazione – cioè senza aggravare il peso del debito pubblico.
3) Una riduzione del valore reale dei debiti pubblici e un aumento delle entrate fiscali che aiuterebbe il successo delle manovre di risanamento dei bilanci.
Accanto a questo servirebbe qualche investimento europeo ben studiato e finanziato facendo ricorso a livello europeo alla leva del debito. Naturalmente, queste politiche sposterebbero il peso dei sacrifici dai lavoratori alle rendite. E questo non è un male. Quanto alla Germania, avendo un basso tasso d’inflazione potrebbe alzare i salari reali e godersi il frutto della sua coerenza in un quadro di stabilità del sistema bancario.
Ovviamente, per fare tutto questo bisogna cambiare la filosofia deflazionistica che è così profondamente connaturata all’Europa monetaria. Ma questa filosofia giorno dopo giorno inesorabilmente alimenta la crisi. L’Europa è inchiodata alla croce dell’ortodossia monetaria, con conseguenze nefaste che riguardano tutti. Noi pensiamo che solo un atto di coraggio collettivo potrà salvare l’Europa e l’euro. È ora di cambiare strada.











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