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Timori d'inflazione in Cina. La Banca centrale cinese interviene !!

Torino, 27 dicembre 2010
Segnalo, in questo fine anno, questo interessante articolo apparso su Il Sole 24 Ore online di oggi sulla Cina che rialza ancora i tassi per frenare l'inflazione e prevenire lo scoppio della bolla immobiliare
Buona lettura !!

Secondo rialzo dei tassi in Cina nel giro di due mesi, alla vigilia di un 2011 che secondo gli stessi annunci del comitato politico del partito comunista sarà caratterizzato da una politica monetaria «prudente» in sostituzione di quella «moderatamente libera» adottata fin qui. L'annuncio del nuovo rialzo, che segue quello deciso il 19 ottobre scorso, è arrivato il 25 dicembre con un comunicato della Banca del popolo cinese, che ha alzato di 25 punti base sia il parametro di riferimento per i prestiti (ora è al 5,81%) sia quello per i depositi (2,75%).
Allarmanti le parole di Wen Jiabao: «Inflazione pericolo concreto»
A motivare la decisione, come ha chiarito lo stesso premier cinese Wen Jabao, sono le fiammate inflazionisitiche che hanno caratterizzato gli ultimi mesi, e che sono un pericolo concreto in un paese ancora caratterizzato da bassi salari. A novembre l'inflazione cinese ha toccato il 5,1%, record negli ultimi 28 mesi, e il 2010 si potrebbe chiudere con un tasso annualizzato al 3,3%, cioè 30 punti base più alto rispetto al 3% previsto dal governo.
A preoccupare in particolar modo il governo di Pechino è l'impennata dei prezzi immobiliari, alimentata dall'iniezione massiccia di liquidità garantita negli ultimi due anni per far fronte agli effetti della crisi economica. Inflazione e aumento dei prezzi delle case sono infatti ritenuti estremamente pericolosi, perchè possibile causa di agitazioni sociali e rivendicazioni salariali. In questi mesi Pechino è intervenuta massicciamente anche alzando i coefficienti di riserva obbligatoria detenuti dalle banche.
Il rialzo dei tassi deciso a Natale rappresenta un nuovo capitoli di una strategia che Pechino sta mettendo in pratica da diversi mesi. La banca centrale aveva infatti già optato per un rialzo di un quarto di punto lo scorso 19 ottobre. Decisione presa a circa tre anni dal rialzo precedente (risalente alla fase pre-crisi, cioè al dicembre 2007) e a poche settimane dall'annuncio del comitato politico del partito comunista di voler adottare nel 2011 una politica monetaria «prudente» e non più «moderatamente libera».
Inoltre il governo cinese ha promesso di intervenire per frenare l'aumento rapido dei prezzi dei terreni.
La mossa della banca centrale sarà giudicata domani dai mercati, ma tra gli analisti c'è già chi prevede che sulle Borse internazionali non ci saranno grandi movimenti. La decisione, spiega Bank of America, era attesa e l'effetto sarà «limitato o comunque positivo». La stretta potrebbe infatti preludere anche ad un rafforzamento dello yuan, da sempre auspicato dagli Stati Uniti.






Chi uscirà prima dalla tenaglia del debito pubblico: Usa o Europa ?

Torino, 21 dicembre 2010

E' e sarà sempre più confronto tra le capacità di Usa ed Europa di far fronte ai rispettivi debiti pubblici.
Un'interessante analisi è quella svolta dal GEAB riportata dal Wallstreetitalia.com e qui riproposta.
I rimandi relativi alla bibiografia si ritrovano nel sito all'indirizzo:
http://www.wallstreetitalia.com/article.aspx?IdPage=1055831
Pubblichiamo l'analisi GEAB n.50 (Global Europe Anticipation Bulletin) il rapporto del think-tank LEAP/Europe 2020 per i PFG ("Poteri forti globali") che Wall Street Italia ritiene debba essere fatto conoscere a decine di migliaia di persone in piu', perche' faccia veramente presa. Infatti e' venuto il momento storico di tallonare senza tregua e richiamare alle loro reponsabilita' le poche persone della Casta (non eletta) che gestiscono il Monopoli mondiale a scapito e spesso contro il volere di noi cittadini "normali". Non e' giusto sia cosi'. Ed e' meglio che siamo molti di piu' a sapere.
GEAB N°50: Crisi sistemica globale: seconda meta' del 2011 - Contesto europeo, catalizzatore Usa - Esplosione della bolla dei debiti pubblici occidentali
Il secondo semestre 2011 segnerà il momento in cui l’ insieme degli operatori finanziari del pianeta finalmente capirà che l’Occidente non rimborserà una parte importante dei prestiti richiesti nel corso degli ultimi due decenni. Secondo LEAP/E2020, sarà infatti verso l’ottobre 2011 – a causa dello sprofondamento di un grande numero di città e di stati americani in situazioni finanziarie inestricabili in seguito alla fine dei finanziamenti federali dei loro disavanzi, mentre l’ Europa farà fronte ad una necessità molto importante di rifinanziamento dei suoi debiti (1) – che questa situazione esplosiva si rivelerà in tutta la sua ampiezza.
L’ amplificazione mediatica della crisi europea in materia di debiti sovrani dei paesi periferici di Eurolandia genererà il contesto di tale esplosione da cui il mercato americano "dei Munis„ (2) ha già portato un assaggio nel novembre 2010 (come previsto dal nostro gruppo fin dallo scorso giugno nella GEAB N°46 con un mini-crash che ha visto andare in fumo tutti i profitti dell’ nno in alcuni giorni. Questa volta il crash (compreso il fallimento del gruppo di ri-assicurazione "monoline" Ambac (3)) si è svolto con discrezione (4) poiché la macchina mediatica anglosassone (5) è riuscita a dirottare l’attenzione mondiale su un nuovo episodio della sitcom fantasiosa "la fine dell’ Euro o il remake monetario dell’influenza H1N1„ (6). Tuttavia, la sovrapposizione degli chocs negli Stati Uniti ed in Europa costituisce una configurazione molto inquietante, comparabile secondo il nostro gruppo allo choc di "Bear Stearn„ che precedette di otto mesi il fallimento di Lehman Brothers e il crollo di Wall Street nel settembre 2008. Ma i lettori del GEAB sanno bene che gli chocs importanti di rado finiscono in prima pagina con molti mesi d’anticipo, mentre i falsi allarmi quasi sempre (7)!
In questo numero 50 del GEAB, anticipiamo dunque l’ evoluzione di questo choc terminale dei debiti pubblici occidentali (in particolare dei debiti americani ed europei) come pure i mezzi per premunirsi. D’altra parte, analizziamo le conseguenze strutturalmente molto importanti delle rivelazioni di Wikileaks sull’influenza internazionale degli Stati Uniti e la loro interazione con le conseguenze globali del Quantitative Easing II, programmato dalla Fed. Questo numero di dicembre del GEAB è naturalmente l’occasione per valutare la pertinenza delle nostre anticipazioni per il 2010, con un tasso di successo che per quest’anno è del 78%. Sviluppiamo anche consigli strategici per Eurolandia (8) e gli Stati Uniti. E pubblichiamo l’indice GEAB-$ che permetterà ormai ogni mese di seguire sinteticamente l’evoluzione del dollaro US rispetto alle principali valute mondiali (9). In questo comunicato pubblico del GEAB N°50, abbiamo scelto di presentare un estratto di anticipazione circa l’esplosione della bolla dei debiti pubblici occidentali.
Così, la crisi dell’ indebitamento pubblico occidentale si accentua molto rapidamente per la pressione di quattro costrizioni sempre più forti:
. l’ assenza della ripresa economica negli Stati Uniti che strangola l’ insieme delle Comunità pubbliche (tra cui lo Stato Federale (10)) abituate in quest’ultimi decenni ad un indebitamento facile e ad entrate fiscali importanti (11)
. l’ indebolimento strutturale accelerato degli Stati Uniti tanto in materia monetaria, finanziaria che diplomatica (12) che riduce la loro attitudine ad attirare il risparmio mondiale (13)
. il prosciugamento mondiale delle fonti di finanziamento economico che accelera la crisi di sovraindebitamento dei paesi periferici europei (di Eurolandia come Grecia, Irlanda, Portogallo Spagna,… ed anche del Regno Unito (14)) ed inizia a toccare i paesi-chiave (USA, Germania, Giappone (15)) in un contesto di rifinanziamento molto importante dei debiti europei nel 2011
. la trasformazione di Eurolandia in un nuovo "sovrano„ che elabora gradualmente altre regole del gioco per i debiti pubblici del continente.

Queste quattro costrizioni generano fenomeni e reazioni variabili secondo le regioni/paesi.
Il contesto europeo: il cammino dal lassismo al rigore sarà in parte pagato dagli investitori
Dal lato europeo, si assiste così alla trasformazione laboriosa, ma incredibilmente rapida, della zona euro in un tipo di entità semi-statale: Eurolandia. La parte faticosa del processo non attiene soltanto alla debole qualità del personale politico interessato (16) come martellano in lunghe interviste "i precursori„ dell’Europa quali Helmut Schmidt, Valéry Giscard d’ Estaing o Jacques Delors. Non avendo mai dovuto far fronte ad una crisi storica di questa ampiezza, un po’ di modestia farebbe loro bene. Questo lato gravoso dipende anche dal fatto che le evoluzioni in corso nella zona euro sono di un’ampiezza politica gigantesca (17) e che sono effettuate senza alcun mandato politico democratico: questa situazione paralizza i dirigenti europei che passano il loro tempo a negare quello che stanno per fare, cioè, costruire un tipo di entità politica che si doterà di componenti economiche, sociali, fiscali,… (18) Eletti prima che la crisi scoppiasse, non sanno che i loro elettori (ed allo stesso tempo i soggetti economici e finanziari) sarebbero in gran parte soddisfatti di una spiegazione sul corso delle decisioni previste (19). Poiché la maggior parte delle grandi decisioni a venire è già identificabile, come noi analizziamo in questo numero del GEAB.
Infine, c’è il fatto che le azioni di questi stessi dirigenti sono dissecate e manipolate dai principali mass media specializzati nelle questioni economiche e finanziarie, di cui nessuno appartiene alla zona euro, e che tutti al contrario sono ancorati alla zona $/£ dove il rafforzamento dell’Euro è considerato come una catastrofe. Questi stessi mass media contribuiscono direttamente a imbrogliare le carte sul processo in corso in Eurolandia (20). Tuttavia, si può constatare che quest’influenza nociva diminuisce poiché, tra "la crisi greca„ e "la crisi irlandese„, la volatilità indotta sul valore dell’Euro si è affievolita. Secondo il nostro gruppo, nella primavera del 2011 questo diventerà un fenomeno trascurabile. Non resterà dunque altro che la questione della qualità del personale politico di Eurolandia che sarà profondamente rinnovato a partire dal 2012 (21); e, più fondamentale ancora, il problema considerevole della legittimità democratica dei formidabili avanzamenti in materia di integrazione europea (22). Ma in un certo modo, si può dire che da qui al 2012/2013, Eurolandia avrà istituito i meccanismi che le avranno permesso di resistere allo choc della crisi, anche se le occorrerà legittimare a posteriori la loro esistenza (23).
In materia, cosa che contribuirà ad accelerare l’esplosione della bolla dei debiti pubblici occidentali, e che interverrà in modo concomitante per il suo catalizzatore US, è la comprensione da parte degli operatori finanziari di ciò che si nasconde dietro il dibattito "delle Eurobligations„ (o E) (24) di cui si inizia a parlare da alcune settimane (25). A partire dalla fine 2011 (al più tardi) la sostanza di questo dibattito inizierà ad essere rivelata nel quadro della preparazione della perpetuazione del Fondo europeo di stabilizzazione finanziaria (26). Ma, cosa che apparirà bruscamente per la maggioranza degli investitori che speculano attualmente sui tassi esorbitanti debiti greci, irlandesi, ecc.…, è che la solidarietà di Eurolandia non si estenderà fino a loro, in particolare quando si porranno i casi della Spagna, dell’Italia o del Belgio, qualsiasi cosa ne dicano i dirigenti europei oggi (27). In breve, secondo LEAP/E2020 occorre aspettarsi un’operazione immensa di scambi di debiti sovrani (sulla base della crisi globale in materia di debiti pubblici) che vedrà offrire Eurobbligazioni garantite da Eurolandia a tassi molto bassi contro titoli nazionali a tassi elevati con una detrazione dal 30% al 50% poiché, nel frattempo, la situazione dell’ insieme del mercato dei debiti pubblici occidentali si sarà deteriorato. I dirigenti di Eurolandia nuovamente eletti (28) (dopo il 2012) saranno democraticamente legittimati ad effettuare tale operazione di cui grandi le banche (anche europee (29)) saranno le prime vittime. È molto probabile che alcuni creditori sovrani privilegiati come la Cina, la Russia, i paesi petroliferi,… si vedranno proporre trattamenti preferenziali. Non si lamenteranno poiché l’operazione avrà per conseguenza quella di garantire i loro importanti averi in euro.

«Pronti ad aiutare la stabilità finanziaria dell'Europa» lo dice la Cina

Torino, 21 dicembre 2010

Una buona ed interessante notizia: La Cina, anche per la più volte citata diversificazione nella "assets allocation", ha deciso di prestare aiuto all'Europa. Ecco il testo apparso oggi sulla vaersione online de Il Corriere della Sera:
La Cina è pronta a sostenere le misure che l'Ue e il Fmi hanno elaborato per assicurare la stabilità finanziaria in Europa. Lo ha detto martedì il vice premier cinese Wang Qishan in apertura dei colloqui bilaterali economici. Wang ha detto che Pechino avrebbe aiutato i Paesi membri della Ue a combattere la crisi del debito sovrano.
IL DEBITO - Wang Qishan invita l'Europa a tramutare le parole in fatti. «La Cina - dice - appoggia le misure prese da Ue e Fmi per stabilizzare i mercati finanziari e la Cina ha intrapreso azioni concrete per aiutare alcuni paesi europei a far fronte alla crisi del debito sovrano». «L'Europa - aggiunge - ha preso misure per affrontare la crisi, ci auguriamo che esse possano assicurare presto dei risultati». La Cina dunque si dice «molto preoccupata» per il «modo in cui la crisi del debito europeo può essere controllata». «Vogliamo vedere - aggiunge il ministro del Commercio cinese Chen Deming - se l'Unione europea è in grado di controllare i rischi sul debito sovrano e se il consenso si possa tradurre in azioni reali per consentire all'Europa di emergere presto e in buona salute dalla crisi finanziaria».
Intanto l'appoggio della Cina al piano di stabilità finanziaria della Ue ha stimolato il rialzo dell'euro che si è portato in apertura a 1,3190 dollari contro 1,3121 della chiusura di lunedì e in recupero da 1,3110 del minimo toccato martedì sulle piazze asiatiche. Contro lo yen la divisa comune è salita a 110,36 da 109,84 di ieri, mentre il dollaro quota 83,67 yen, invariato dai livelli finali di lunedì.



Accordo raggiunto all'Ecofin per proteggere l'Euro

Torino, 21 dicembre 2010

Poichè anche noi ne abbiamo parlato molto (nonostante la "momentanea" opposizione della Merkel agli Eurobond) è bene che riportiamo su questo Blog l'accordo per "la rete di protezione euro" messo in atto all'ultimo Ecofin.
Dal testo de Il sole 24 ore online:
I ministri delle Finanze della Ue hanno varato un pacchetto di misure per garantire la stabilità finanziaria in Europa, dopo una lunga maratona di 10 ore terminata a tarda notte. Frenetica l'attività diplomatica delle capitali europee. Nuove misure per Spagna e Portogallo
Maxi piano del'Unione Europea per salvare l'euro. Un pacchetto di misure per garantire la stabilità finanziaria in Europa è stato varato dall'Ecofin al termine di una lunga maratona di 10 ore terminata a tarda notte e mette in moto un meccanismo di assistenza finanziaria per aiutare i paesi della zona euro in difficoltà a pagare il debito pubblico o attaccati sui mercati dagli speculatori: il maxi-piano prevede prestiti bilaterali dagli Stati dell'eurozona per 440 miliardi, 60 di fondi del bilancio Ue e fino a 250 miliardi di contributi «sostanziali» del Fmi (pari a un terzo del totale). È inoltre previsto l'intervento della Banca centrale europea, che potrà agire sul mercato secondario dei titoli di stato acquistando obbligazioni pubbliche. Come ha spiegato al termine della riunione, alle 2,30 del mattino, il presidente di turno Elena Salgado, in conferenza stampa congiunta con il commissario Olli Rehn, l'Ecofin sostiene inoltre l'impegno di Spagna e Portogallo, i due paesi più a rischio dopo la Grecia, a prendere «significative misure aggiuntive di consolidamento dei bilanci» che saranno presentate in occasione del prossimo Ecofin del 18 maggio. Soddisfatto, al termine della trattativa notturna, il ministro delle Finanze Giulio Tremonti che ha detto che la soluzione è stata trovata anche grazie al ruolo importante giocato dal governo italiano.
Si tratta dunque della maggiore operazione finanziaria della storia della unione monetaria europea, siglata dopo un pomeriggio e una notte di complicate trattative, ma in tempo per l'apertura dei principali mercati finanziari asiatici. E l'accordo è stato accolto favorevolmente sul mercato di Tokyo, dove l'euro ha recuperato leggermente sul dollaro e lo yen e il Nikkei ha chiuso su terreno positivo, guadagnando l'1,6 per cento.
L'obiettivo è «difendere l'euro costi quello che costi», ha spiegato il commissario europeo agli affari economici e monetari, Olli Rehn, aggiungendo che il meccanismo segue lo schema di quello accordato recentemente con l'Fmi per salvare la Grecia. L'obiettivo è dissuadere gli speculatori, che da settimane puntano sul fallimento di un membro della zona euro.
Il pacchetto va inoltre ad aggiungrsi ai 110 miliardi di euro già decisi per il salvataggio della Grecia, che i paesi europei e il Fmi cominceranno a sborsare immediatamente.
L'intesa è stata preceduta da una frenetica attività diplomatica. Il presidente Usa, Barack Obama ha chiamato il cancelliere tedesco, Angela Merkel, e il suo omologo francese, Nicolas Sarkozy: Obama ha insistito con entrambi sulla necessità che gli europei adottino «risposte forti» per restituire fiducia ai mercati. Proprio mentre era in corso la riunione, da Washington il Fondo Monetario ha varato un pacchetto di aiuti per la Grecia da 26,4 miliardi di dollari, pari a 30 miliardi di euro. E dalla riunione straordinaria dei banchieri della Bce è uscita la decisione di prendere misure speciali in appoggio del sistema bancario indebolito (in particolare, la Bce ha deciso di intervenire nei mercati del debito pubblico e privato per assicurare la liquidità nei segmenti che non funzionano adeguatamente).







Certe lobbies finaziarie come le sette !!!

Torino, 14 dicembre 2010

A proposito di regole da rispettare soprattutto nel settore finanziario in contrapposizione, nel migliore dei casi, alla loro non applicazione fino alla  trasgressione delle stesse se non addirittura intraprendendo attività criminali, è interessante l'articolo di Federico Rampini apparso su diversi media in questi giorni. C'è veramente da meditare e dibattere la questione di come affrontare le crisi finanziarie in presenza di questa cattiva etica (per non dire altro) gestita da poche potenti lobbies difficilissime da scardinare. Noi riprendiamo e riproponiamo quello tratto da:  http://www.wallstreetitalia.com/article.aspx?IdPage=1052647


La "cupola" dei banchieri detta legge a Wall Street. Ecco il club dei derivati

Nessuno dei protagonisti dell'economia reale è veramente tutelato dalle manipolazioni su questi strumenti. Li chiamano i Padroni dell'Universo. Sono sempre loro: Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays e...
di Federico Rampini
Di nuovo loro: i Padroni dell'Universo. Stessi nomi, stessi vizi, una storia che sembra condannata a ripetersi e col finale che rischia di essere già scritto: l'impunità. Stavolta è l'intero mondo dei titoli derivati - finanza "tossica" che ebbe un ruolo cruciale nella crisi del 2008 - l'oggetto delle loro congiure.
Una vera e propria "cupola" di grandi banchieri esercita un potere esclusivo di controllo su questo mercato. Fuori da ogni trasparenza, e al riparo da ogni concorrenza. "Il terzo mercoledì di ogni mese - rivela il New York Times - nove membri di una élite di Wall Street si riuniscono a Midtown Manhattan. I dettagli delle loro riunioni sono coperti dal segreto. Rappresentano Goldman Sachs, Morgan Stanley, JP Morgan, Citigroup, Bank of America, Deutsche Bank, Barclays, Ubs, Credit Suisse".
Ufficialmente, i nove banchieri di questo potentissimo comitato d'affari hanno il compito di "salvaguardare la stabilità e l'integrità" su un mercato che muove ogni giorno migliaia di miliardi di dollari. Di fatto, il club dei nove "protegge gli interessi delle grandi banche che ne fanno parte, perpetua il loro dominio, contrasta ogni sforzo per rendere trasparenti i prezzi e le commissioni".
La denuncia raccolta dal New York Times viene dal massimo organo di vigilanza. La fonte più autorevole all'origine dell'inchiesta è Gary Gensler, capo della Commodity Futures Trading Commission.
L'uomo a cui Barack Obama ha affidato il compito di fare pulizia in un mercato altamente speculativo. Ma Gensler è costretto ad ammettere la sua impotenza. "Il costo di quelle pratiche lo paga tutto il resto dell'economia, lo pagano tutti gli americani", lamenta Gensler. E naturalmente anche gli europei, visto che Wall Street è il centro della finanza globale.
I derivati infatti hanno innumerevoli usi, una parte dei quali sono "virtuosi" e più vicini a noi di quanto possiamo immaginare. I fondi pensione li utilizzano per ridurre il rischio di perdite sui loro investimenti nel caso che le tendenze di mercato abbiano improvvisi rovesci (per esempio un futuro rialzo dei rendimenti sui buoni del Tesoro che deprime il valore di quelli in portafoglio).
Le compagnie aeree e navali comprano derivati per attutire il colpo di un rincaro del petrolio. L'industria agroalimentare si protegge da aumenti nel costi dei raccolti. Perfino il consumatore, l'automobilista, è vittima di manovre speculative che attraverso i derivati accentuano il boom delle materie prime.
Nessuno dei protagonisti dell'economia reale è veramente tutelato dalle manipolazioni su questi strumenti. Nessuno sa cosa decidono i nove membri del club esclusivo che si riunisce il terzo mercoledì del mese. Il Dipartimento di Giustizia ha aperto un'inchiesta "sulla possibilità di pratiche anti-concorrenziali nel clearing e nel trading sui derivati". I sospetti di collusione e di un vero e proprio cartello non sono nuovi.
Ma trovare le prove è difficile. E' vecchia di nove mesi la notizia di un'altra inchiesta del Dipartimento di Giustizia che aveva fatto scalpore: quella che accusava i più importanti hedge fund (Soros, Paulson, Greenlight, Sac Capital) di aver concordato un attacco simultaneo all'euro, in una cena segreta l'8 febbraio a Wall Street.
Il giorno dopo, 9 febbraio, al Chicago Mercantile Exchange i contratti futures che scommettevano su un tracollo dell'euro erano schizzati oltre 54.000, un record storico. Goldman Sachs e Barclays furono coinvolte nelle cronache su quelle grandi manovre. Ma da allora l'inchiesta sulla congiura ai danni dell'euro non ha avuto sviluppi di rilievo. Estrarre prove dal club dei Padroni dell'Universo è complicato, almeno se si seguono i metodi "normali". Di qui la grande attesa per le rivelazioni annunciate da WikiLeaks sulla Bank of America: chissà che non riesca Julian Assange dove la magistratura non arriva...
Per quanto riguarda il mercato dei derivati, paradossalmente è proprio per effetto della grande crisi del 2008 che i Padroni dell'Universo hanno assunto un ruolo ancora maggiore. Uno dei momenti più drammatici di quella crisi fu il crac dell'American International Group (Aig), la compagnia assicurativa affondata dalle perdite su un particolare tipo di titoli derivati, i credit default swaps. In quel frangente il Tesoro e le autorità di vigilanza si accorsero che nessuno riusciva a capire veramente le interconnessioni sul mercato dei derivati, esposto all'effetto-domino: una bancarotta di Aig avrebbe travolto decine di altre istituzioni e forse l'intero sistema bancario. Perciò fu il Tesoro a spingere per la creazione di una "clearing house" o camera di compensazione, affinché le grandi banche si facessero carico di garantire la stabilità del mercato dei derivati.
A questo però si accompagnava la riforma Obama delle regole della finanza, che doveva aumentare i poteri delle autorità di vigilanza, e rafforzare la trasparenza. Quella riforma oggi è sotto tiro da parte della nuova maggioranza repubblicana al Congresso, vittoriosa alle elezioni di novembre e beneficiata dai generosi finanziamenti di Wall Street.
Nell'applicazione della riforma i repubblicani stanno cercando di svuotarla: giovedì il Congresso ha bocciato la richiesta di Gensler per nuove regole sulla trasparenza. "I derivati - spiega il giurista Robert Litan che per il Dipartimento di Giustizia diresse un'analoga battaglia contro le collusioni al Nasdaq - sono un mercato molto concentrato, e quando il governo di una simile entità è in poche mani, possono succedere brutte cose".
Una certezza è che i Padroni dell'Universo usano il loro potere oligopolistico per estrarre dal resto dell'economia dei profitti esorbitanti. Esempio: su un solo contratto derivato di credit default swap - che protegge l'acquirente dall'eventualità di fallimento di uno Stato sovrano come la Grecia, o di una società quotata - il banchiere intermediario incassa una commissione di 25.000 dollari.
Contratti simili se ne fanno migliaia ogni giorno, rimpinguando i profitti delle varie Goldman Sachs, JP Morgan, Morgan Stanley. Quando negli anni Novanta il Dipartimento di Giustizia riuscì a dimostrare che un'analoga collusione tra banchieri controllava gli scambi sul Nasdaq (la Borsa dei titoli tecnologici), in seguito al cambiamento delle regole le commissioni bancarie scesero a un ventesimo del livello precedente.
Ma un rischio ancora superiore è che dentro il "club dei nove", grazie allo scambio di informazioni quotidiane possano maturare operazioni di cartello, manovre concertate, una manipolazione dei mercati. Quelli che dovrebbero "stabilizzare" i derivati, sono i primi a poter profittare delle prossime fiammate speculative.





Eurozona in modesta ripresa con alcuni rischi

Torino, 13 dicembre 2010

L'Ocse ha pubblicato un suo Report sull'andamento economico nell'Eurozona.
Come già un pò scontato si annuncia che la ripresa in Europa c'è ma con ancora alcuni rischi. Il richiamo a Basiela III (che per le Associazioni degli artigiani e delle Pmi è un pò pesante!!) e di un rientro credibile per stabilizzare le finanze pubbliche sono i "pezzi forti" sulle quali si giocherà Euro e ripresa nei prossimi anni. Anche se da un lato maggior salute dei Conti pubblici significa stabilità la ripresa rischia di farne le spese. La scommessa su questo fronte si giocherà  per il 2011 e il 2012 e saranno proprio questi due aspetti abbastanza in contarddizzione tra loro a farla da padrone nei dibattiti pubblici, sui media, e nei policies makers per le governaces dei Paesi membri della Ue e soprattutto di quelli di Eurolandia.
Ecco la sintesi del testo ripreso da La Stampa online di oggi mentre il Survey completo lo si può trovare sul sito Ocse: http://www.oecd.org/ :
Nei 16 Paesi dell'eurozona servono "piani di rientro" e regole più forti per le banche, che hanno "sottostimato i problemi, con dotazioni di capitale inadeguati e gestione della liquidità carente"
Nei sedici Paesi dell’euro è in corso una «modesta ripresa», ma «i rischi rimangono». A dirlo è l’Ocse nel suo rapporto economico sull’area euro. Secondo l'Ocse, la posizione fiscale dei Paesi dell’area euro «è peggiorata sensibilmente», e i Sedici necessitano ora di «dettagliati e credibili piano di rientro pluriennali per stabilizzare le finanze pubbliche».
Inoltre, anche nei Paesi europei le banche «hanno sottostimato i rischi, con dotazioni di capitale inadeguati e una gestione della liquidità a volte carente». Di conseguenza, occorre mettere in pratica regole più forti «in linea con quelle di Basilea 3», e le attività delle banche di importanza sistemica «dovrebbe essere monitorata con maggiore attenzione».
Infine, i meccanismi che sanzionano i Paesi che sforano i limiti di bilanci sono la «chiave» per la stabilità fiscale dei sedici Paesi dell’euro. L’Ocse invoca una applicazione «quasi automatica», e quindi non soggetta al negoziato politico, e senza escludere le sanzioni finanziarie a carico degli Stati in violazione.
Per i Paesi dell’area euro con un debito che supera il 60% del Pil, «dovrebbe essere adottata una appropriata definizione operativa della riduzione del debito». In pratica, si auspica che venga finalmente «applicato con efficacia» il criterio del debito del Patto di stabilità e crescita europeo. Secondo l’Ocse, d’altra parte, «sarà necessario un grosso sforzo di consolidamento del debito» per soddisfare gli impegni del Patto, e «in molti Paesi servirà una posizione di bilancio rigorosa per molti anni per poter tornare a livelli prudenti di debito»

Il futuro di euro e dollaro visto dalla Cina

Torino, 9 dicembre 2010

Come più e più volte rimarcato in questo Blog uno spread del 20 % circa del Debito pubblico sul Pil (assunto in prima approssimazione come principale indicatore per stabilire un valore al rapporto euro vs dollaro) tra l'eurozona dato aggegato e pesato del 84,7 % e gli  Usa del 101,0 % più che giustifica un valore tra 1,25 e 1,35 (si fa riferiemento ad una banda di oscillazione poichè teniamo conto delle contingenze). Se però ci si azzarda in un esercizio di previsone o meglio dinamica delle economie e delle policies di natura monetaria, valutaria e finanziaria (soprattutto di assets allocation) troviamo indicazioni, a medio - lungo termine ancora più favorevoli all'euro come indica questo articolo apparso ieri su wallstreetitalia.com.
Ecco il testo:
Conti pubblici: Usa peggio dell'Europa, lo dice la Cina
Il dollaro? Restera' un bene rifugio. Per quanto? Dai sei ai 12 mesi. Perche'? L'attenzione e' ancora sul debito sovrano del Vecchio Continente. Il futuro? Inesorabile declino di Treasury e biglietto verde. Se lo dice Pechino che ha le piu' grandi riserve valutarie al mondo...
I fari sono ancora puntati sulla crisi del debito sovrano in Europa ma quando la situazione si sara' stabilizzata il mercato si rendera' conto che i conti pubblici americani sono nei guai.
E' l'opinione di Li Daokui, membro accademico del braccio di politica monetaria della Banca centrale cinese. La convinzione: gli Stati Uniti sono messi peggio dell'Eurozona. La conseguenza: i prezzi dei titoli di stato Usa e del biglietto verde sono destinati a calare. "Per ora l'attenzione del mercato e' ancora sull'Europa e per i prossimi 6-12 mesi non si spostera' sugli Usa", ha dichiarato Daokui dopo la firma del compromesso tra Repubblicani e amministrazione Obama sull'estensione dei tagli alle tasse.
"Deve essere pero' chiaro che la situazione fiscale degli Stati Uniti e' decisamente peggiore di quella europea. In uno o due anni, quando la situazione sul debito sovrano nel Vecchio continente sara' piu' stabile, i fari degli operatori si porteranno definitivamente sugli Usa. Allo stesso tempo il dollaro sara' protagonista di un declino considerevole cosi' come i prezzi dei Treasury".
La Cina possiede il piu' grande ammontare di riserve valutarie nel mondo, il cui valore e' pari a $2640 miliardi di dollari di cui due terzi si stima siano proprio investiti in asset in dollari, inclusi i Treasury.



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In Germania Pil record dall'unificazione !! Usa disoccupazione record !!

Torino, 4 dicembre 2010

Ecco un buon motivo, per analisi serie sull'Europa e sull'euro (nonostante le turbolenze più che giustificate che indeboliscono la valuta europea) per credere ancora che l'euro sia più forte del dollaro (almeno in una fascia 1,25  - 1,35) dal Corriere online di oggi:
Corre il Pil tedesco: +3,6% nel 2010
Frenata Usa, disoccupazione record
Gli Stati Uniti non sono ancora usciti dalla lunga crisi. Lo conferma il dato della disoccupazione, che nel mese di novembre ha toccato il 9.8 per cento, tasso che rappresenta il record dallo scorso aprile. Il massimo da sette mesi, probabilmente a causa del rientro nelle forze di lavoro di scoraggiati che avevano rinunciato alla ricerca di un impiego nei mesi precedenti. Le buste paga al di fuori del settore agricolo sono salite di 39.000 unità lo scorso mese, con 50.000 nuove assunzioni nel settore privato. Gli economisti si attendevano un miglioramento degli occupati di 140.000 unità il mese scorso e un tasso di disoccupazione invariato al 9,6%. Il dipartimento del Lavoro tuttavia ha rivisto al rialzo i dati di settembre e ottobre, segnalando un aumento degli occupati di 38.000 unità superiore a quanto ritenuto. Una serie di dati ha di recente alimentato attese di un'accelerazione nel ritmo di crescita dell'economia Usa ma i deboli dati di oggi sul mercato del lavoro corroborano la controversa scelta della Federal Reserve di inaugurare un secondo round di acquisti di titoli da 600 miliardi di dollari.
Germania e Portogallo, passando sull'altra sponda dell'Atlantico, rappresentano intanto due facce diametralmente opposte della stessa medaglia europea. Il primo paese corre verso il record del Pil, l'altro probabilmente farà registrare un segno negativo nella produzione di ricchezza. Infatti il Portogallo probabilmente finirà in recessione nel 2011 per via degli effetti del piano di austerità varato dal governo di Lisbona. È la previsione dell'agenzia di rating Standard & Poor's, riporta Bloomberg, che ha anche messo sotto osservazione con «implicazioni negative» le tre maggiori banche del Paese: Banco Espirito Santo, Banco Bpi e Banco Commercial Portugues. Lo scorso 30 novembre Standard & Poor's aveva già messo sotto osservazione il rating del Portogallo a lungo e breve termine con «implicazioni negative».
Al contrario il Pil della Germania registrerà un tasso di crescita nel 2010 del 3,6%, il ritmo più forte dai tempi della riunificazione. Questa la stima della Bundesbank che venerdì ha rivisto in meglio le previsioni economiche. L'istituto centrale prevede un rallentamento nei due anni successivi con una crescita al 2% nel 2011 e all'1,5% nel 2012. La banca centrale tedesca spiega che la crescita del Pil è spinta dall'export che rafforza la domanda interna. Secondo la Bundesbank la «ripresa dell'economia tedesca continuerà nei prossimi due anni grazie all'andamento dinamico di quest'anno». Le precedenti stime della Bundesbank, rilasciate a giugno scorso, indicavano una crescita del Pil dell'1,9% per il 2010 e dell'1,4% per il 2011. Già ad ottobre, tuttavia, la banca centrale tedesca aveva corretto il tiro dichiarando che quest'anno l'espansione dell'economia della Germania sarebbe stata superiore al 3%. Nel rapporto biennale sull'outlook economico diffuso venerdì, la Bundesbank ha rilevato che «le esportazioni rimarranno la forza trainante» del Pil accanto ai consumi, agli investimenti e al settore delle costruzioni, mentre la disoccupazione continuerà a diminuire arrivando al 6,9% nel 2012. Quanto all'andamento del deficit, la Bundesbank prevede per il 2010 un deficit-Pil attorno al 3,5% per poi vedere un calo sotto la soglia del 3% nel 2011, attorno al 2,5%. L'inflazione è prevista all'1,1% nel 2010, all'1,7% nel 2011 e all'1,6% nel 2012. Infine, la disoccupazione dovrebbe attestarsi quest'anno al 7,7%, calare al 7,3% il prossimo anno e al 6,9% nel 2012.




Guardiamo bene nel futuro dell'euro senza troppi pregiudizi !!

Torino, 30 novembre 2010

In questi giorni di turbolenza valutaria faccio mio l'articolo apparso su La Stampa online di oggi di Stefano Lepri che sottolinea come in un momento di particolare speculazione un senso più reale e pragmatico "delle cose economiche" potrebbe indurre ad altre considerazioni nel rapporto euro vs dollaro.
In effetti non si sottolinea mai abbastanza come il debito pubblico aggregato dei Paesi euro, ponderato per il numero degli abitanti, sia di circa venti punti in meno rispetto a quello Usa:  per il 2010 la previsone è Eurozona rapporto debito/pil del 84,7 - Usa rapporto debito/pil del 101,0.
Pertanto chi  "invoca" come fu alle soglie dell'estate scorsa di un rapporto intorno a 1,20 (ammissibile con l'accentuarsi della speculazione) o addirittura nel famoso 1:1 è a mio avviso in assoluta malafede e con caratteri di "mafia" economica !!!!  Ricordiamoci di chi cervava, nel travagliato periodo di caduta tra maggio e agosto 2010, fino al minimo 1,1917 del 7 giugno, di perseguire l'obiettivo del crollo assoluto dell'euro.
La speculazione e le lobbies economiche e politiche (non la realtà dei numeri ... almeno in buona parte) tentano di rifarsi di nuovo.
Ma ricordiamoci di come rimase scottata (la speculazione) molto di recente  tra la tarda estate e l'autunno: dal 13 settembre 2010, quando l'euro veleggiava a 1,2877 vs dollaro si portò  a novembre sui massimi vicino agli 1,43 (forse un valore di certo eccessivo).
Ok per un riaggiustamento, anche in funzione delle variabili macroeconomiche del momento e della situazioni sui mercati monetari, UN RIPENSAMENTO SU EVENTUALI MISURE STRAORDINARIE (forse necessarie) ma occhio a CHI REMA CONTRO IN MODO ECCESSIVO !!!
COMUNQUE PER IL MOMENTO ACCONTENTIAMOCI DELL'OTTIMO ARTICOLO DI STEFANO LEPRI SU LA STAMPA ONLINE DI OGGI.
Ecco il testo:
Non hanno placato i mercati né il salvataggio dell’Irlanda né il nuovo meccanismo per affrontare le crisi del debito pubblico negli anni futuri. Eppure erano decisioni abbastanza forti, quelle prese dai ministri dell’area euro e dell’Unione domenica a Bruxelles. Disfacevano i pericolosi equivoci nati oltre un mese fa dal vertice di Deauville fra Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Accettavano, a sorpresa, le proposte della Banca centrale europea.
A Bruxelles e a Francoforte si spera che la fiammata non duri; e che la validità dell’accordo venga compresa. Le teste migliori, sui mercati, già la riconoscono. Ma la corsa esasperata potrebbe continuare. Si avrebbe così la prova che, una volta messe in moto, certe sbandate gregarie dei mercati sono più difficili da fermare di una valanga, anche prendendo le misure giuste. Proprio per questo in Italia occorre fare attenzione a ciò che ha detto ieri la Commissione europea.
In altri tempi non sarebbe particolarmente grave il dubbio dei tecnici di Bruxelles sui piani del governo italiano: prevedono 0,4% di deficit pubblico in più nel 2011 (6 miliardi) e 0,8% nel 2012. Ci sarebbe tutto il tempo di verificare gli andamenti e di correggere durante l’anno prossimo nel caso risulti necessario. Ma non siamo in un momento normale. Il documento della Commissione è stato pubblicato nella tarda mattinata di ieri, poco dopo che per la prima volta il «contagio» dell’ansia sui Paesi deboli dell’euro aveva toccato anche l’Italia. Un’asta di titoli di Stato non del tutto favorevole, dove i tassi che il Tesoro paga si sono rialzati di oltre mezzo punto, ha dato esca a voci false che per qualche decina di minuti hanno ingigantito il problema.
Nell’analisi dei tecnici di Bruxelles non è credibile per intero il forte aumento del gettito tributario che il governo italiano ha messo in bilancio come recupero dell’evasione. Sarebbe meglio, secondo loro, non vendere la pelle dell’orso prima di averlo acchiappato. Per giunta le modifiche in corso alla «legge di stabilità» in Parlamento - non ancora esaminate a Bruxelles - potrebbero renderla più fragile.
In una situazione tanto delicata, è meglio non rischiare. Ai bilanci degli Stati deboli dell’euro i mercati stanno dedicando una attenzione esasperata. Le previsioni economiche della Commissione europea non hanno contribuito molto al nervosismo di ieri, perché nel complesso dell’Unione abbastanza positive; ma se l’Italia capita nel mirino, diventeranno visibili anche aspetti prima trascurati.
Tra gli economisti si discute se ulteriori strette ai bilanci, da gettare in pasto al Moloch dei mercati, non rischino di essere controproducenti. Ideale sarebbe avere solidi programmi pluriennali di risanamento e di riforme, credibili senza concentrare tutti i sacrifici subito. Ma proprio nel momento in cui nella politica italiana tutti usano la parola «futuro» trovare un accordo del genere pare più lontano che mai.

Soccorso congiunto UE - Fmi per Irlanda

Torino, 28 novembre 2010

Come detto ieri dal Presidente Napolitano bisogna che le Istituzioni europee e i Governi non indugino nel sostenere l'euro contro le speculazioni. A mio avviso i fondamentali (debito e deficit pubblici - e privati - europei aggregati, pur nelle diverse accezzioni di interpretazione, rimangono a favore dell'euro contro dollaro). Ecco perchè le annotazioni quotidiane dei media non "spostano" le analisi sui fondamentali al di là delle pur  critiche situzioni del momento. Bisogna essere capaci di guardare al di là del contingente e valutare  tre aspetti fondamentali se si vuole essere dei buoni analisti economici (macroeconomici e finanziari):
1) Lo status quo e la dinamica dei conti pubblici e dei debiti privati di uno Stato (di cui  ho già detto).
2) Le dinamiche del Pil (la Fed ha appena rivisto al ribasso le previsoni future)
3) Le politiche monetarie, di cambio e valutare la liquidità in circolazione nei Paesi più importanti (ormai è assodata la volontà di diversificazione del rischio cambio dei Paesi ricchi emergenti)
4) Le novità di new and core/old business rivisitati a fine "consumer"sullo scenario mondiale e trarre conseguenze sugli asset allocation (compresi Hedge Foud e Fondi Sovrani). Aspetto più instabile e di difficile individuazione di un trend. Tipico da "predator", "Hit and run" vista la diversificazione possibile degli investimenti.
Tornando all'Europa e all'Euro ecco un riferimento esauriente sull'attuale situazione di soccorso all'Iranda tratto da La Stampa online di oggi:
Pronto un prestito di 85 miliardi
Si terrà a Bruxelles a partire dalle 13 con la presenza fisica dei ministri delle Finanze dei 16 paesi della moneta unica la riunione straordinaria dell’Eurogruppo per varare il piano di aiuti all’economia irlandese. L’annuncio ufficiale è stato dato questa mattina, dopo che per tutta la giornata di ieri si sono rincorse le ipotesi contrastanti sull’eventualità che la decisione fosse o no presa in teleconferenza.
Già ieri in tarda serata la presidenza belga aveva confermato la convocazione di un consiglio «informale» Ecofin, allargato quindi ai 27 paesi dell’Unione europea, che si riunirà subito dopo l’Eurogruppo. L’Italia sarà rappresentata a entrambe le riunioni dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Secondo le ultime indiscrezioni circolate a Bruxelles, i partner europei dell’Irlanda, il Fmi e la Bce avrebbero raggiunto con le autorità irlandesi, che mercoledì scorso hanno presentato un piano di tagli e nuove entrate per i prossimi 4 anni, l’accordo per un aiuto di circa 85 miliardi.
Fino a ieri in tarda serata però i dettagli del piano di salvataggio, in particolare gli impegni che Dublino dovrà garantire per ottenerlo, erano ancora in fase di negoziazione, così come non era ancora stato deciso se i ministri Ue si sarebbero incontrati personalmente a Bruxelles o per teleconferenza, come avevano fatto la scorsa domenica quando avevano esaminato la richiesta di aiuti del governo irlandese. Secondo l’ipotesi rilanciata ieri sera da una rete televisiva irlandese, il tasso di interesse degli aiuti finanziari potrebbe arrivare al 6,7% (quelli concessi alla Grecia la scorsa primavera erano a un tasso del 5,2%).
Le misure di austerità annunciate dal governo mercoledì scorso prevedono 15 miliardi di tagli e aumenti delle tasse, per arrivare entro il 2014 al 3% del rapporto deficit/Pil, un decimo dell’attuale (32%). Gli aiuti della comunità internazionale proverranno in parte dall’European financial stability facility, il fondo da 440 miliardi creato l’estate scorsa per far fronte a rischi di stabilità per la zona euro dopo il caso greco, in parte dal Fondo monetario internazionale e ancora da prestiti bilaterali da parte di Regno Unito, Svezia e Danimarca, che pur essendo fuori dall’Eurozona sono particolarmente esposti verso l’economia irlandese.

Euro giù ma non tutto è perduto !!

Torino, 24 novembre 2010

Al di là dell'enfasi (abbastanza giustificata ma non nuova !!) sul momento NO dell'Euro che leggiamo sui giornali in questi giorni le provocazioni della Merkel sulla possibile uscita dall'euro di Paesi che non sono in  grado di controllare i conti pubblici sono, quasi per paradosso, un bene per i mercati e per il futuro dell'Europa. Infatti come si dice nell'articolo sotto riproposto ripreso oggi dal Corriere della Sera online di Danilo Taino  il Patto di stabilità deve essere una "cosa seria" !!
Ecco un inciso che troveremo più tardi ma che  è il succo di cosa DEVE FARE L'EUROPA PER ESSERE UN 'IDENTITA' DEL FUTURO NEL PANORAMA GEOECONOMICO E GEOPOLITICO MONDIALE.
" Berlino vuole che i mercati si rendano conto che non tutti i titoli di Stato emessi dai 16 Paesi dell'Eurozona sono uguali, pretende che ogni governo si assuma le responsabilità del suo bilancio pubblico. Se questo crea instabilità sui mercati - dicono in queste ore i funzionari del governo tedesco- pazienza o forse meglio: per sopravvivere l'euro ha bisogno che il Patto di stabilità che lo sostiene funzioni davvero"
Ciò non potrà che rafforzare e OBBLIGARE I PAESI EURO A DAR CORSO A DURE POLITICHE DI RISANAMENTO !! A mio avviso, pur nella gravità e complessità della crisi, è un 'operazione più di "moral suasion" l'atteggiamento tedesco.
Ecco il testo interessante dal Corriere on line di oggi:
BERLINO - Se qualcuno aveva dubbi sulla gravità delle crisi dell'Eurozona, ecco Angela Merkel. «Siamo in una situazione straordinariamente seria per quel che riguarda lo stato dell'euro», ha detto ieri la cancelliera di fronte all'assemblea annuale degli imprenditori tedeschi. Nel parlamento di Berlino, intanto, parlava il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble: di fronte alla crisi finanziaria dell'Irlanda, diceva, «vorrei rendere chiaro che è in gioco la nostra moneta comune. Se non riusciamo insieme a difenderla stabilmente le conseguenze economiche e sociali sarebbero incalcolabili». I mercati, già sotto pressione perché il pacchetto di aiuti europei a Dublino non li ha affatto calmati, si sono ulteriormente innervositi.
A Berlino la preoccupazione per quello che sta succedendo cresce di giorno in giorno. Il fatto che le decine di miliardi promesse all'Irlanda non abbiano tranquillizzato i mercati e anzi abbiano spostato le attenzioni sulle difficoltà del Portogallo fa temere che sia iniziato un effetto domino difficile da controllare.
La convinzione che si sta facendo strada è che i pacchetti di salvataggio - in primavera la Grecia, ora l'Irlanda - non possano bastare. Molti commentatori diranno che il governo di Berlino sbaglia nel chiedere che i governi nazionali siano messi di fronte alle loro responsabilità, non più coperti dall'ombrello di un euro indifferenziato, attraverso la possibilità che chi non ha i conti in ordine possa dover ristrutturare i suoi debiti, cioè ammettere un fallimento. E diranno che Frau Merkel non si rende conto di quanto pesino le sue parole sui mercati.
In realtà, la cancelliera sa quello che dice. Lo stesso vale per il ministro Schäuble, uno dei politici più esperti d'Europa. La realtà è che il governo tedesco non crede che la crisi che sta attraversando l'Eurozona possa essere controllata con interventi contingenti. E non esclude che alla fine di questa fase drammatica qualche Paese possa essere costretto ad abbandonare l'euro, per quanto complicato potrebbe essere: la signora Merkel aveva accennato a questa possibilità in primavera, durante la crisi greca, e a Berlino l'ipotesi continua a non essere data per esclusa. Il Paese che non è in grado di avere conti pubblici stabili - è il ragionamento - mina la solidità dell'euro. Infatti, sempre ieri, Frau Merkel ha ribadito che «se l'euro dev'essere una valuta stabile, il Patto di stabilità e crescita va mantenuto», anche con la clausola del possibile default di un Paese con i conti fuori controllo.
Berlino vuole che i mercati si rendano conto che non tutti i titoli di Stato emessi dai 16 Paesi dell'Eurozona sono uguali, pretende che ogni governo si assuma le responsabilità del suo bilancio pubblico. Se questo crea instabilità sui mercati - dicono in queste ore i funzionari del governo - pazienza o forse meglio: per sopravvivere l'euro ha bisogno che il Patto di stabilità che lo sostiene funzioni davvero. In più, il governo di Berlino deve fare attenzione ad aspetti apparentemente formali ma in realtà potenzialmente decisivi. In Germania, per dire, alcuni economisti - ieri il rispettato Max Otte sulle colonne del giornale finanziario Handesblatt - cominciano a sostenere che il pacchetto di salvataggio all'Irlanda viola le regole del Trattato di Maastricht perché sposta le passività di un Paese sui partner. Se così ritenesse anche la Corte Costituzionale tedesca, tutto finirebbe nel caos: la Germania non potrebbe partecipare al salvataggio e quindi quest'ultimo fallirebbe. Situazione «straordinariamente seria», in effetti.

Equilibri geoeconomici sempre più a favore della Cina

Torino, 16 novembre 2010

Se sempre più spesso ci si chiede dove va l'economia mondiale, se e quando ci saranno ancora turbolenze sui mercati, se la ripresa mondiale si confermerà presto in modo forse più o meno uniforme in tutto il mondo ma almeno in modo costante, per capire cioè cosa può succedere a chi ha più  debiti o crediti guardando alle riserve, alla situazione dei Fondi sovrani, alla liquidità internazionale, alla bilancia commerciale e dei pagamenti, non si può che guardare alla Cina. Oltre ad essere la nazione leader in Africa detiene un cospicuo "gruzzolo" del debito Usa condizionando non poco la sua politica monetaria. Ma con  la stessa logica è difficile dire se sui mercati delle valute prevale l'analisi tradizionale sui fondamentali se si ragiona dal lato del singolo governo (per esempio Spagna e Grecia che porterebbero giù l'Euro ...con il Portogallo e l'Irlanda) o una diametralmente opposta in quanto Pechino va in loro soccorso comprandosi un "bel tot" di debito pubblico (cos'è la Cina ...il nuovo Fmi del nuovo millennio ???)
..ecco le ultime news. Ho trovato davvero stimolante quanto scritto oggi su miaeconomia.leonardo.it a tal proposito e ve lo ripropongo volentieri perchè se punti fermi sullo scenario internazionale non c'è ne sono molti forse uno c'è di sicuro. La Cina si sta comprando mezzo mondo e questo con che conseguenze ????
Ecco il testo di miaeconomia.leonardo.it di oggi:

Gli annunci spettacolari si stanno ripetendo sempre piu' spesso. La Cina ha imparato molto bene certe regole della comunicazione in salsa postmoderna, a cominciare dalla dichiarazione di sostegno al debito pubblico della Grecia, in un momento critico come quello attuale.
La recente visita del premier Hu Jintao alle capitali europee non ha fatto altro che confermare questo scenario, con i capi di governo a fare la fila a chiedere aiuto. e infatti la Cina ha promesso contratti alle imprese francesi e, dopo la Grecia, ha aperto le porte anche a un sostegno al Portogallo, a sua volta in bilico davanti alla crisi. Del resto l'Europa e' ormai il primo partner commerciale della Cina e ha ormai in questo senso superato gli Stati Uniti.
Allo stesso tempo i muscoli del colosso cinese non si sono ancora mostrati. Intanto niente di strano se Pechino si e' comprata anche 625 milioni di euro di debito spagnolo, ha lanciato la proposta di investire nella costruzione di una nuova autostrada in Polonia, mentre una societa' cinese - la Cosco - sta allargando il porto di Napoli. Per non dimenticare la Hna, un gruppo specializzato nella logistica e nel turismo, che sta lavorando a un gigantesco air terminal a nord di Roma per gestire i carichi in arrivo dalla Cina.
E’ ovvio che l’obiettivo a questo punto non e’ piu’ solo essere presenti sul mercato europeo ma anche nei processi decisionali del Vecchio Continente. Un dato dovrebbe fare riflettere: nel 1914 la Gran Bretagna controllava qualcosa come il 45% degli investimenti diretti esteri mondiali, nel 1967 erano gli Stati Uniti ad avere in mano una quota del 50%. Oggi tutta la Cina - Hong Kong compresa - arriva a malapena a una quota del 6%. Da qui la sensazione ovvia che la quota non potra' che salire e anche di corsa.











Europa: il bilancio Ue alla resa dei conti !!

Torino, 15 novembre 2010

Non c'è solo il problema dell'euro e cioè di come i governi riescono a limitare il defict/debito pubblico. C'è anche il braccio di ferro tra Parlamento europeo e governi alla luce delle nuove applicazioni del Trattato di Lisbona che conferiscono al Parlamento UE titolo ad esempio per decidere tagli o meno nell'Agricoltura che rappresenta, da sempre, la maggior voce di spesa e cioè intorno al 40% dell'intera spesa. Al riguardo mi piace riproporre quanto letto su soldi-web.it di oggi.
Ecco il testo:

Ue, il bilancio è a rischio: oggi il d-day
di Matteo Chiamenti
A Bruxelles crescono i timori sulla finanziaria 2011. Oggi la resa dei conti…
È corsa contro il tempo a Bruxelles per evitare che lo scontro tra governi e Parlamento europeo sulla finanziarià Ue 2011 porti a qualche mal di pancia di troppo. Nel Berlaymont (palazzo della Commissione europea), così come nella sede della presidenza Belga del Consiglio, come ripreso da Ansa, hanno lavorato per tutto il week end di un lungo ponte vacanziero belga, per preparare una proposta sulla quale sia possibile che domani si trovi un accordo dopo la frattura istituzionale scattata giovedì scorso.
La conseguenza, in caso di fallimento nell'ultimo giorno disponibile previsto dalle norme Ue, sarebbe l'avvio dell'esercizio provvisorio. Il meccanismo implica che la Ue proceda per dodicesimi dell'esercizio precedente: di mese in mese a partire da gennaio ci sarebbe a bilancio un dodicesimo di quanto previsto nel 2010. Dettaglio importante, non ci sarebbe riporto delle spese non effettuate. Quindi, ad esempio, non ci sarebbero fondi per i pagamenti della Pac che in genere si concentrano nel mese di febbraio: un dodicesimo delle risorse del 2010 non coprirebbero quei contributi. Men che meno ci sarebbero i soldi per il progetto Iter (ricerca sulla fusione fredda per la quale la Ue è impegnata con 1,4 miliardi) o per i fondi di coesione (quelli che l'Italia riscuote per il sud), che proprio dal prossimo anno dovrebbero essere erogati per la maggior quota nel 'quadro finanziariò 2007-2013. E difficilmente i diplomatici assunti per il nuovo Servizio esterno della baronessa Ashton potrebbero ricevere lo stipendio, visto che nel 2010 il Seae non era neppure previsto se non per gli ultimi tre mesi dell'anno. Per non parlare delle authority per la governance economica lanciate dal Commissario Olli Rehn, che sono state inventate solo un paio di mesi fa.
“Il momento è pericoloso, ma dobbiamo trovare un accordo” ha ripetuto ieri il portavoce del commissario Lewandowski, che già venerdì scorso aveva messo in guardia contro i rischi di un nuovo fallimento. A far scattare la tensione sono le nuove regole previste dal Trattato di Lisbona. Grazie ad una delle sue tante novità, quest'anno per la prima volta il Parlamento ha piena voce su tutte le voci di bilancio. Fino al 2009 intere aree, come l'agricoltura (che da sola pesa per il 40%) e gli esteri, erano esclusivamente nelle mani dei governi. Che, come sottolineato dai parlamentari, non vogliono riconoscere il nuovo ruolo politico degli eletti dai 500 milioni di cittadini europei. È quindi scattato da un mese il braccio di ferro. Tutto politico. Perchè giovedì scorso i parlamentari guidati dal presidente Jerzy Buzek hanno accettato senza problemi il taglio agli aumenti di bilancio chiesto a gran voce dal premier David Cameron quando affermò, sostenuto tra l'altro da Parigi e Berlino, che non avrebbe ammesso aumenti superiori al +2,91%. Ma hanno puntato i piedi prima e sbattuto la porta poi, quando giovedì scorso i rappresentanti di Gran Bretagna, Svezia, Olanda, Danimarca, Lettonia, Austria, ma anche Francia e parzialmente Germania, hanno rifiutato la pretesa dell'Europarlamento di varare un piano politico che assicuri 'risorse propriè alla Ue (leggi nuove tasse se non eurobond) per le sue politiche di sviluppo nel quadro 2014-2020. Se salterà l'appuntamento di domani, l'esercizio provvisorio si potrebbe evitare con un intervento del Consiglio dei leader in programma a dicembre. «Ma non prenderei il rischio di mettere il bilancio annuale nell'agenda nel vertice di dicembre» ha detto Lewandowski, consapevole che ad alzare il tono dello scontro rischiano di “farsi male” tutti.

Guerra della valute: ancorarsi di nuovo all'oro ?

Torino, 10 novembre 2010

E' di una certa suggestione la sollecitazione che proviene dal Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick di ancorare "in un qualche modo" le valute all'oro.
Che da tempo si parli di una nuova "Bretton Woods" non è una novità ma il ritorno ad un "Gold Standard" cosa significherebbe? Un ritorno improponibile al passato in un epoca di globalizzazione dove fattori geoeconomici e geopolitici possono mutare velocemente i sottostanti fondamentali legati ai debiti  pubblici e privati? Paura di un yuan emergente negli anni? E a chi converrebbe? Allora si potrebbe anche proporre  un "Basket di valute rappresentative" più o meno come si fece con lo Snake, il Serpente monetario europeo degli anni '70 (stipulato nel '72 per l'esattezza) dove si poteva contare su bande di oscillazione tra valute europee e tra queste e il dollaro? Il concetto potrebbe essere allargato ad una serie di valute mondiali con pesi diversi in funzionie di opportunità maceoeconomiche e di politiche degli scambi.
Certo che da un lato c'è la necessità di "stabilizzare" le follie della finanza anomala che però ha tanti adepti (Fondi sovrani compresi) e per contro trovare regole compatibili con un mercato mondiale reale e finanziario talmente diverso e non più così correlato come in passato.
E' certamente la sfida di questi anni per coniugare rigore e sviluppo dove per rigore può trovare posto la parola piani di sviluppo per una crescita dell'economia reale e far sì che la finanza svolga un ruolo ad essa di supporto e sostegno e nulla più.
Comunque su questi argomenti in vista del G20 di Seoul è interessante riproporre quanto pubblicato ieri su La Stampa online a firma di Stefano Lepri.
Ecco il testo:
L’Ue bacchetta gli Usa. "Il piano Fed non va" e si preannuncia un G20 difficile: dollaro contro il resto del mondo. Trichet  è convinto che agli Stati Uniti interessa un dollaro forte. Comunque butta male per il prossimo G-20 se perfino il lussemburghese Jean-Claude Jimcker, presidente dell'Eurogruppo, alza la voce contro gli Stati Uniti. Per definire un successo il vertice dei capi di Stato e di governo giovedì e venerdì a Seoul è probabile che alla fine la propaganda inventerà qualcosa. Ma in sostanza la cooperazione è a zero: il mondo sta entrando nell'epoca dell'ognuno per sé. La ragione è semplice. Ieri a Delhi Barack Obama ha difeso la scelta di stampare dollari sostenendo che intende accelerare la crescita economica degli Stati Uniti, «cosa positiva per il mondo nel suo insieme». Non è più così. La novità è che il resto del mondo può crescere anche senza gli Usa. Lo stesso Obama dimostra di saperlo, quando in altre occasioni afferma che «il consumatore americano non può più essere il solo motore dell'economia mondiale». Nella crisi, il peggio è stato evitato mettendo a carico degli Stati una parte dei debiti che i privati hanno creato. Geithrter,  ministro americano, s'è detto fiducioso sul fatto che Pechino al G20 collaborerà perche non riuscirebbero a ripagare i debiti contratti con gli Usa. Ma si può continuare ancora con questo rimedio di emergenza? Juncker, ieri davanti al Parlamento europeo, per criticare la mossa americana «che non pare giusta» ha detto che «combattere il debito con ulteriore debito» pone solo «rischi inflazionistici». L'eccesso di dollari produrrà effetti negativi diversi sull'Europa (euro troppo forte) e sui paesi emérgenti (bolle speculative).Già adesso, nella parole del presidente dell'Eurogruppo, «il cambio dollaro-euro non è quello che dovrebbe essere», mentre sui paesi emergenti «si riverserà un eccesso di liquidità che essi potrebbero non essere in grado di riassorbire». All'ultimo momento, Obama con il viaggio a Delhi è forse riuscito a portare dalla sua parte l'India. Però dentro il G-20 quasi tutti criticano gli Stati Uniti, quasi tutti criticano la Cina. Entrambe le potenze maggiori vengono accusate di praticare politiche egoistiche, per certi aspetti simmetriche: Pechino distorce i mercati per mantenere basso il valoré dello yuan, Washington crea moneta (quantitative easing) per abbassare il valore del dollaro. Al G-20 ambedue offriranno falsità. Gli Stati Uniti insistono che vogliono «un dollaro forte», affermazione a cui nessuno crede (tranne, per un misto di tattica e di prudenza istituzionale, il presidente della Bce Jean Claude Trichet). Può aver ragione la Cina quando giudica rischioso mantenere i tassi di interesse bassi troppo a lungo, come vogliono fare gli Usa; ma nasconde che ne soffre proprio perché lega lo yuan al dollaro. Il dollaro, moneta principale del mondo, viene manovrato dagli Usa secondo proprie esigenze interne; la Cina vi aggancia lo yuan. Dal Sudafrica alla Germania al Brasile, questo non piace. Cercando una soluzione il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick ieri se ne è uscito con l'idea di «usare l'oro come un punto di riferimento», un ritorno al passato. Così il metallo ha superato per la prima volta i 1.400 dollari l'oncia. Stupiti o negativi i primi commenti: «Vuol concorrere per il premio mondiale della stupidità?» scrive ad esempio sul suo blog l'economista Brad De Long, già sottosegretario di Clinton. Peraltro, c'è di peggio: i più estremisti nel «Tea party» vorrebbero privatizzare l'emissione di moneta, un salto nel Medioevo.

Europa - Usa è al momento sull'1 a 0

Torino, 4 novembre 2010

Questo inizio novembre non fa che confermare alcune analisi già esposte da tempo in questo Blog con diversi Post.
1) La ripresa a macchia di leopardo premia un pò di più l'Europa che gli Usa se esaminiamo i dati macroeconomici finora disponibili e valutiamo quelli in prospettiva
2) I Fondamentali non sono cambiati ma se possibile migliorati più per l'Europa che per gli Usa visto la risoluzione sul "Nuovo Patto di Stabilità" UE che porterà sì sacrifici ai cittadini ma "conti più in ordine" agli Stati menbri e ciò porterà maggior valore all'Euro.
3) Delle analisi a caldo su quanto deciso ieri dalla Fed e come gli analisti hanno valutato la decisione di immissione di liquidità mi è  molto piaciuto e mi sembra interessante riproporvi quanto scritto su Il Sole 24 ore online di oggi:
Ecco il testo a firma di Vittorio Carlini:
"Ben Bernanke, con un articolo sul Washington Post, ( http://www.ilsole24ore.com/art/finanza-e-mercati/2010-11-04/bernanke-agito-avere-occupazione-135621.shtml )  difende il piano d'acquisto di 600 miliardi in bond. «Con la disoccupazione così alta - dice - rischiamo la deflazione e la stagnazione». Il presidente della Fed, fors'anche sotto pressione dopo la sconfitta di Barack Obama nel mid-term, parla ai suoi, al popolo americano. Solo che, nella globalizzazione, non ci sono solo Mr e Mrs Smith.
Così la reazione dei governatori del Lontano oriente, e non solo, non si è fatta attendere. Non c'è da stupirsi. La Fed sta pilotando verso il basso il dollaro: il Baht Thailandese , nell'anno, è cresciuto di oltre l'11% contro il biglietto verde. Il coreano won è balzato del 6% mentre il peso filippino è salito dell'8 per cento. Per non parlare poi della debolezza dello yen giapponese. È il risultato dei movimenti di capitale verso le economie (soprattuto degli emerging market) a più alti tassi di crescita: con i treasury Usa (a breve) a zero e, in teoria, la curva dei rendimenti che si schiaccia, gli investitori cercano lo yield fuori dai paesi occidentali.
Solo che questo crea squilibri sui cambi monetari; porta volatilità sugli asset e obbliga gli emerging country a pensare contro-mosse per difendere le proprie economie. «L'allentamento quantitativo degli Stati Uniti e di altri paesi - dice la Banca centrale coreana - sta spostando masse monetarie verso gli emergenti, creando non poche preoccupazioni». Il risultato? «Stiamo pensando - dice una fonte del ministero delle Finanze - a mosse per contrastare questo trend». Traduzione: introdurremo altre misure alla limitazione dei capitali stranieri.
Non è solo la Thailandia. «Il lancio del Q2 - afferma Norma Chan, capo dell'autorità monetaria di Hong Kong - metterà pressione suoi nostri asset. Prenderemo misure specifiche per il mercato immobiliare». Anche qui: si stringe sulla circolazione dei capitali.
Un'impostazione che risuona anche nelle parole di Amando Tetancgo, banchiere centrale delle Filippine: «Rimarremo vigili per monitorare la situazione». Anche perché, il paese è un "magnete" per i corporate bond: basta ricordare, per esempio, l'emissione da 470 milioni realizzata da Pterno corp, la più grande società di raffinazione del paese.
La Boe non segue la Fed
Insomma, in molti non ci stanno a subire passivamente le mosse degli Stati Uniti e del suo banchiere centrale. Che, peraltro, non viene seguito dalla stessa Bank of England. La Banca d'Inghilterra ha deciso di mantenere i tassi d'interesse al minimo record dello 0,50%. Tuttavia, la Boe non aumenterà il suo programma di acquisto di bond da 200 miliardi di setrline. Cioè, non segue Ben Bernanke lungo la sua strada. La ripresa del mercato immobiliare e l'andamento dell'economia britannica non sono tali da richiedere sostegni supplementari.
La Bce lascia invariati i tassi all'1 per cento
A pochi minuti dall'intervento della Boe c'è stato quello della Banca centrale europea. Come ampiamente atteso i tassi di riferimento sono rimasti fermi all'1 per cento. Una scelta che, evidentemente, tiene conto di una ripresa in Eurolandia comunque sempre a rischio, mentre la disoccupazione è elevata. Non può dimenticarsi, poi, che l'euro è di nuovo salito a 1,4244 verso il dollaro. Rispetto a strategie di quantitative easing, invece, bva ricordato che l'Eurotower da tempo si è smarcata dalla Fed e da Ben Bernanke.
Il quale anche all'interno della riserva federale non ha l'unanime consenso. Il Wsj scrive che il capo della riserva di Kansas City, Thomas Hoenig, potrebbe essere «il canarino delle miniere di carbone». Come il simpatico volatile è (un po' crudelmente) usato per capire se ci sono fughe di gas nelle gallerie, così Hoenig potrebbe esere l'indizio di una crepa che si apre sempre di più sulle misure troppo espansive di Bernake.
Hoenig ha sempre votato contro nei Fomc di quest'anno. Il capo di Kansas city, sempre solo a livello ufficiale , nelle sue posizioni non è stato abile a sviluppare il dibattito in suo favore. Tuttavia, la rotazione dei mebri del Fomc nel 2011 porterà al voto i capi delle riserve di Chicago, Philadelphia, Dallas e Minneapolis. Ebbene, mentre New York e Chicago sembrano schierati a favore di Bernanke the "Helicopter", gli altri potrebbero portare un po' di sale nella discussione. E indebolire la strategia dell'attuale presidente della Fed.














Il nuovo Patto di Stabilità UE farà bene all'Europa e all'euro !!

Torino, 20 ottobre 2010

Finalmente il "Nuovo Patto di Stabilità" UE darà più credibilità e stabilità all'Europa e all'euro in attesa di nuove misure o almeno progetti fattibili da prendere in seno al prossimoG20 di Seul. Misure fin ora e in prospettiva forti e amare ma con un occhio ai conti come si fa nelle migliori aziende e famiglie. Per anni, il mercato aveva fatto finta di non accorgersene. Ora dopo un trentennio di debito accumulato è arrivata l'ora di prendersi le proprie responsabilità e questo vale sia per l'Europa che per gli Usa.
Intanto da La Stampa on line riportiamo quanto scritto sull'argomento il 18 ottobre:
Compromesso Ue sul patto di stabilità, Tremonti: "Per noi deficit essenziale"
Dopo la maratona arriva il sì: niente sanzioni automatiche ai Paesi che violano le regole, ok alla modifica del trattato di Lisbona entro fine 2013
«Habemus pactum...novum»: così il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, ha annunciato l’accordo raggiunto dopo una maratona di undici ore dai 27 ministri finanziari della Ue sulla riforma del Patto europeo di stabilità e di crescita. Un’intesa resa possibile, ancora una volta, grazie al compromesso raggiunto tra Berlino e Parigi. Tanto che mentre la task force dei ministri era ancora riunita a Lussemburgo, a spiegare i termini dell’accordo sono stati il presidente francese, Nicolas Sarkozy, e la cancelliera tedesca, Angela Merkel, dalla cittadina francese di Deauville.
Ora saranno i capi di Stato e di governo nel corso del vertice del 28 e 29 ottobre a Bruxelles a suggellare l’accordo politico, che nei prossimi mesi dovrà essere riempito con i numeri e i dettagli più tecnici. «Non abbiamo ancora tutti gli elementi», ha ammesso il presidente dell’Eurogruppo, Jean-Claude Juncker, aggiungendo: «E si sa che il diavolo sta nei dettagli». Quei dettagli su cui i 27 sono ancora divisi. La speranza è comunque quella che le nuove regole possano essere pronte entro l’estate del 2011, per poi entrare in vigore dall’inizio del 2012.
Questi i termini dell’accordo raggiunto: da una parte i Paesi più rigoristi guidati dalla Germania hanno ceduto qualcosa sul fronte dell’automaticità delle sanzioni, ma avrebbero ottenuto (stando alle parole di Sarkozy e Merkel), l’impegno a valutare una possibile modifica dei trattati Ue per avviare una "fase due" della riforma del Patto. In pratica, si è deciso che le sanzioni per i Paesi non virtuosi non scatteranno immediatamente, quando uno Stato va in deficit eccessivo, ma dopo sei mesi se nel frattempo non saranno state prese le misure correttive necessarie. A quel punto le sanzioni saranno comminate dalla Commissione Ue e il Consiglio Ue le potrà respingere solo con una maggioranza qualificata degli Stati. Sul fronte del debito, poi, nel testo non compare alcun riferimento sull’entità del taglio dei debiti eccessivi (che Bruxelles nella sua proposta individua in un ventesimo l’anno). Viene quindi confermato che nel valutare la situazione del debito pubblico di un Paese si terrà conto di alcuni «fattori rilevanti», tra cui il debito privato, come fortemente voluto dall’Italia. Dal canto suo, Berlino ha ottenuto l’impegno a modificare, da qui al 2013, il trattato di Lisbona: la chiave, questa, per arrivare a misure su cui la Germania insiste da tempo, come la sospensione del diritto di voto per i Paesi recidivi nel violare le regole del Patto, e la creazione di un fondo di salvataggio permanente per gli Stati in difficoltà, sulla scia del piano salva-Grecia. Molto soddisfatto Tremonti. «È un buon testo - ha affermato - perchè sono state trovate formule flessibili, ragionevoli e assolutamente gestibili da parte del nostro Paese». Il ministro ha poi tenuto a sottolineare come «il Patto così ridisegnato ci consente di recepire gli insegnamenti della crisi: che non è nata - ha ribadito - dai debiti pubblici ma dalla finanza privata». E comunque, ha concluso, «per noi resta fondamentale la correzione dei deficit. Tutto il resto sarà oggetto di future considerazioni».



Gli Usa non più regina del mondo economico

Torino, 16 ottobre 2010

L'analisi è solo economica e da valutare in un ' ottica di scenario geopolitico ed economico passato, presente e futuro. Ma non riconoscere che gli Usa, al di là del fatto che rimangono la più GRANDE DEMOCRAZIA AL MONDO,  stanno perdendo smalto per stile di vita = mega indebitamento, un pò spendaccioni questi americani ...diciamo, per un  sistema fiinanziario che ha permesso a dir poco "cose sgradevoli"  e per la rioganizzazione a livello planetario del sistema produttivo e dei servizi outsourcing cghe hannoportato molto lavoro fuori Usa a beneficio di varie parti del mondo. Gli Usa dunque sono ancora una GRANDE SUPERPOTENZA MILITARE, un pò meno economica. Sta cercando di ritrovare sè stessa e il "rilancio" di ieri di Berrnanke, presidente Fed, è la testimonianza che anche con un denaro a costo quasi ZERO la nazione a stelle e strisce fa fatica a rimettersi in pista.
Quella che segue è un'analisi oggettiva su tabelle e confronti e pertanto come si direbbe da noi "nè di destra nè di sinistra".
Ed è per questo che inserisco e ripropongo, essendo in gran parte d'accordo, quanto pubblicato recentemente dal Wallstreeitalia.com
Ecco il testo:
La lenta caduta dell'impero. Ecco per quali motivi l'America ha smesso di sognare
E’ facile da dire e dimostrare, ma piu' difficile da accettare: la superpotenza non e' piu' quella di prima. Tanti dati dimostrano come il tracollo sia viscerale. Preoccupano istruzione, finanza e aspettative di vita.
A poco piu' di due settimane dalle elezioni di meta' mandato, previste il 2 novembre, gli americani sono delusi e arrabbiati. E ne hanno ben donde. Persino la first lady Michelle Obama, impegnata in un tour de force di comizi elettorali in vari stati, lo ha riconosciuto. Il popolo statunitense si sente abbandonato dal governo, tradito dalle banche, preoccupato per il futuro dei figli. Nel 1950, l’America era quinta tra le nazioni piu’ industrializzate in quanto ad aspettativa di vita delle donne alla nascita, sorpassata solo da Svezia, Norvegia, Australia e Olanda. La penultima volta che fu misurata l'attesa di vita femminile, gli Stati Uniti erano al 46esimo posto nella classifica di tutto il mondo. Il 23 Settembre 2010 la graduatoria ha mostrato l’America al 49esimo posto sia per la prospettiva di vita maschile che femminile.
Solo per sottolineare la rapidita’ del declino, nel vicino 1999 gli Stati Uniti erano 24esimi nella classifica stilata dall'Organizzazione Mondiale della Sanita' in quanto ad aspettativa di vita. Ora, appunto, l'America e' crollata al 49esimo posto. Ma non e' l'unico segnale allarmante di questo tipo: nel 2009 gli Stati Uniti si sono piazzati al 30esimo posto nella graduatoria della mortalità infantile, secondo le statistiche del Centro Nazionale per la Salute. La superpotenza mondiale al trentesimo posto, come e peggio di un paese del terzo o quarto mondo!
Tra i 20 "paesi ricchi" selezionati dall'UNICEF, gli Stati Uniti sono al 19esimo posto in quanto a "benessere dei bambini". Tra le 33 nazioni considerate dall’Ocse, gli Usa risultano 27esimi per la categoria relativa all'educazione degli studenti con un buon livello di istruzione in matematica e al 22esimo posto per gli studenti con un background scientifico. Nel 2009, il World Economic Forum ha stilato una classifica tenendo conto di 133 paesi, misurando la "validita’" e l'efficacia del sistema bancario; ebbene, l’America e’ finita al posto n. 108, subito sotto la Tanzania e davanti al Venezuela. Un insulto, una vergogna per le grandi banche di Wall Street. Ma tutti sappiamo che dopo la crisi del 2008 e la conseguente Grande Recessione del 2008-2009, e' vero.
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Per Bernanke misure straordianrie per gli Usa !!

Torino, 15 ottobre 2010

Gli Usa pronti a misure straordinarie. Lo ha detto oggi Bernanke, prsidente della Fed, come necessità per evitare la deflazione. Tra le ricadute rilevanti prontamente analizzate da Il Sole 24 ore.com edizione online di oggi c'è ne una nel testo (qui evidenziata in rosso in forma larga) sulla possibilità di spinta al rilazo per l'euro.
Ecco il testo dell'articolo su Il Sole 24 ore.com a firma di Vittorio Carlini:
I listini europei hanno chiuso contrastati con limitati movimenti dopo il discorso di Ben Bernanke. La strategia ultra-espansiva ha creato non poche discussioni. La spaccatura, più che nelle votazioni (quasi sempre all'unanimità), è nei commenti dei presidenti delle 12 Riserve "nazionali" e dei consiglieri del Board di Washington. Da una parte i più liberal, con impronta keynesiana; i sostenitori, nel breve periodo, di un deciso intervento della banca centrale per evitare la deflazione. Il loro campione? La presidentessa Janet Yellen del distretto di San Francisco. Dall'altra parte, invece, chi chiede "meno" Fed e non ama l'acquisto dei Trasury da parte della banca centrale: tra questi il capo del distretto di Philadelphia, Charles Plosser. Senza scordare quel Thomas Hoenig, capo della "riserva" di Kansas City, secondo cui tassi così bassi e liquidità troppo facile daranno vita a un surriscaldamento eccessivo della congiuntura.

La Borsa applaude: ma è un fuoco di paglia

Com'era ovvio, le Borse hanno reagito positivamente al discorso di Bernanke. I listini europei hanno accelerato, confortati nell'idea che ci sarà sempre un creditore di ultima istanza (la Banca centrale Usa) pronta a iniettare liquidità nel sistema, salvando tutto e tutti. Come si sa, quest'impostazione è molto contestata da diversi banchieri ed economisti. Si dice: la politica dell'easy money ha permesso alla Borsa di risalire; un trend che da un lato, schiaccia il premio al rischio, prezzato a valori molto più bassi, e in teoria dovrebbe permettere alle imprese di aumentare gli investimenti; dall'altro, dovrebbe creare un effetto ricchezza che dà fiducia ai consumatori e fare da volano all'economia reale.
Purtroppo in questo momento le cose non stanno proprio così. Il tasso di utilizzo degli impianti negli Usa è a un livello che non si vedeva dal 1995: il denaro immesso sul mercato, cioè, sembra non finire alle aziende ma, piuttosto, restare nel circuito interbancario, spesso aumentando la speculazione. Inoltre, l'effetto ricchezza è molto diminuito. Come può intuirsi dal P/e troppo schiacciato dell'S&P 500 (nonostante gli ottimi utili del secondo trimestre), la Borsa appare un po' slegata dall'economia reale. Gli indici salgono, o scendono, indipendentemente da quello che succede in Main street. Insomma, la strada per la politica ultra espansiva è molto stretta. E non è un caso che la Bce, proprio ieri, abbia ribadito la sua diversa visione, sottolineando la necessità «di uscire gradualmente dalle misure eccezionali».

L'euro sale, tra carry trade e speculazione...

Allo stesso tempo, com'era ovvio, l'euro è salito verso l'alto (sopra 1,41) nei confronti del dollaro. L'iniezione di liquidità futura, infatti, rende in generale i tassi degli asset americani meno appetibili di quelli europei, spingendo il cosiddetto carry trade. Si prende a prestito la divisa a stelle e strisce, pagando tra lo 0 e lo 0,75% di saggio d'interesse, e si compra asset in eurolandia, dove il refi è all'1 per cento. In questo modo si lucra sullo spread tra i differenti saggi.

...la Cina convoca i banchieri centrali...
Un effetto, quello sulle monete, che peraltro non ha conseguenze solo "finanziarie". La necessità di spingere sull'export, da parte degli Usa (e non solo), ha creato una fortissima tensione sul fronte valutario. Basta ricordare la polemica per l'intervento unilaterale della Boj sullo Yen (nel tentativo di svalutarlo) e l'ormai esplicita "guerra" tra Usa e Cina rispetto allo Yuan. Proprio su quest'ultimo fronte, da rilevare l'importante mossa cinese. Su invito della banca centrale di Pechino, il Fondo monetario internazionale ha annunciato la convocazione di una riunione dei banchieri centrali a Shanghai lunedì 18 ottobre, nel quadro degli sforzi miranti ad assicurare la stabilità del sistema finanziario.

...mentre gli Stati Uniti scavano sugli aiuti cinesi nelle energie pulite
Per tutta risposta gli Stati Uniti hanno alzato il tiro: Washington ha avviato un'inchiesta sulle accuse mosse dallo United Steelworkers, il maggiore sindacato americano del settore industriale, secondo cui Pechino avrebbe concesso aiuti illeciti alle aziende cinesi nel settore delle energie pulite.







Ecco perchè l'euro continuerà a farla da padrone !!

Torino, 15 ottobre 2010

Siamo alle solite: euro sù o giù. I fondamentali sono troppo a favore dell'euro. Senza perderci in tante analisi fin qui svolte su questo Blog diverse volte ecco l'ennesima conferma di oggi.
Poi di poco fa, ore 18 italiane, richiesta convocazione di una riunione urgente da parte della Cina al Fmi !!!!!!!!
Da La Stampa online di oggi:

Debito sopra i mille miliardi di dollari per il secondo anno consecutivo.
Timori per il voto del 2 novembre. Per il secondo anno finanziario consecutivo gli Stati Uniti hanno accusato un deficit di bilancio di oltre mille miliardi di dollari, 1.290 miliardi dal primo ottobre 2009 al 30 settembre scorso. Nell’anno finanziario precedente il deficit era stato superiore, 1.400 miliardi, quasi il 10 per cento del Pil o prodotto interno lordo. Ma è un miglioramento effimero perché, dalle proiezioni dello stesso governo, il deficit tornerà a quella quota nell’anno finanziario in corso. Il deficit complessivo del prossimo decennio inoltre sarà di 8.500 miliardi di dollari, cioè si ridurrà annualmente, ma rimarrà elevato. Crescerà così il debito sovrano, e quando i tassi saliranno – oggi sono pressoché zero – cresceranno gli interessi da pagare.
Questi dati minacciano di danneggiare il governo Obama e i democratici alle elezioni parlamentari del 2 novembre. I repubblicani li accusano di avere aggravato il deficit con gli aiuti alle banche dopo la crisi del 2008, che costarono 700 miliardi di dollari, e con gli stimoli alla ripresa economica, che costarono 800 miliardi. I due interventi, protestano anche, non hanno affatto incentivato l’economia. I repubblicani concludono che per incentivarla occorre mantenere in vigore i cospicui tagli delle tasse del presidente Bush. Argomentazioni che dai sondaggi fanno presa sull’elettorato, scosso dalla disoccupazione, il 9,6 per cento (il 15 per cento circa se si tiene conto di chi non cerca più lavoro o lavora poche ore settimanali, il part time), dalla bancarotta di oltre 6 milioni di mutui, e dalla possibile bancarotta di altri 3 milioni.
Il governo Obama e i democratici ribattono che gli aiuti alle banche e gli stimoli hanno evitato il peggio, un’altra Grande depressione come negli Anni trenta. Che le riduzioni fiscali vanno mantenute soltanto per i redditi familiari inferiori ai 250 mila dollari annui e i redditi individuali inferiori ai 200 mila dollari. E che le riduzioni di Bush a favore dei più abbienti non si traducono in investimenti in casa ma là dove attualmente i profitti sono maggiori, ossia nei paesi in via di sviluppo. Come a dire che finanziano i prodotti cinesi che inondano l’America e causano disavanzi record nella bilancia commerciale. Una difesa che potrebbe non bastare. Dopo le elezioni, caratterizzate dagli enormi finanziamenti del mondo degli affari ai repubblicani e dal successo del movimento conservatore del Tea party, che ha candidato 70 suoi esponenti, Obama potrebbe trovarsi con la Camera in mano repubblicana (meno probabilmente con in Senato), e quindi in una situazione di stallo.





Ancora confusione sulla riforma finanziara mondiale

Torino, 13 ottobre 2010

Come c'era da aspettarsi sono ancora diverse le valutazioni sullo stato attuale dell'economia e sui rimedi da apportare alla finanza mondiale per una regolamentazione che non crei, per il futuro del mondo economico, troppI sussulti "anomali" come è avvenuto per il recente passato.
Riporto qui i principali punti di vista espressi soprattutto in occasione del recente G20 a Washington:
da Apcom
- Per Tremonti ministro del Tesoro
Sono tornati i 'bankers' agli incontri annuali del Fondo Monetario Internazionale. E il ministro dell'Economia Giulio Tremonti, intervenuto a una conferenza stampa dopo la conclusione del vertice G7, lo interpreta come il segnale di qualcosa di non risolto nella crisi, che forse poteva essere gestito diversamente. "Non sto parlando - puntualizza - dei banchieri italiani. Però i bankers sono tornati. Due anni fa non c'erano bankers, l'anno scorso avevano un basso profilo, quest'anno le grandi banche d'affari sono tornate. E quindi hanno preso alberghi costosi offrono le cene e i ricevimenti più fantastici, champagne e questo vorrà dire qualcosa".
Cosa annuncia la presenza dei bankers? Tremonti non ha alcun dubbio: "La speculazione è tornata a piede libero, i deriviati sono tornati allo stesso livello di prima della crisi, i bonus sono uguali a prima della crisi forse di più. Vuol dire che i problemi sono rimasti. Dopo la polvere del crollo si è verificato che da molte parti è stato fatto molto e bene, tuttavia - aggiunge il ministro - questi due tre anni ci indicano due cose. Primo: che troppo si è confuso tra ciclo economico e crisi, con la retorica che c'è poi stata sugli stimoli, una parola che tra l'altro fa ridere. L'altro punto è che nel gestire la crisi scambiandola per ciclo, si è fatta la scelta di salvare la speculazione. Siccome le banche sono sistemiche si è fatta la scelta di salvare anche la speculazione e così non era stato nel 1929. Son due anni che lo dico. Nel 1929 - conclude Tremonti - i soldi pubblici furono utilizzati per salvare le imprese e le famiglie e non le banche".
Per Passera, amministratore delegato di Intesa Sanpaolo 
 Le banche italiane non hanno dovuto chiedere soldi né al pubblico né al privato per attraversare la crisi e quindi fa molto bene chi distingue fra banchieri e banchieri. Inoltre sottolinea che "ci sono ancora dei presupposti della crisi che non sono scomparsi: questa enorme quantità di liquidità che gira nel mondo, insieme ai tassi molto bassi sono sicuramente elementi che possono causare situazioni di bolle come ci sono state alcuni anni fa. Ma mi sembra - conclude il numero uno di Intesa Sanpaolo - che alcune lezioni siano state imparate e che anche nel comportamento dei supervisori e degli operatori ci sia molta maggiore attenzione al governo dei rischi e a quell'insieme di cose (liquidità, leverage, profilo patrimoniale) che sono state acquisite. Certo bisogna vigilare e adottare le regole giuste per non favorirne la ricreazione". Un compito sul quale stanno lavorando le istituzioni internazionali tutte riunite qui a Washington.
Per Andrea Beltratti, presidente del consiglio di gestione di Intesa Sanpaolo.
Per sottolineare che "le cause della crisi sono comunque più legate agli squilibri macroeconomici che agli intermediari finanziari. Alcuni intermediari - spiega Beltratti - hanno contribuito, magari con un credito troppo facile o magari con prodotti troppo complicati e questo ha propagato la crisi e l'ha amplificata a livello internazionale. Ma ciò non toglie che le banche siano aziende e che molto di loro, specie quelle commerciali, vivano con l'economia reale e prosperino nel lungo periodo se l'economia reale migliora: da questo punto di vista credo che sia sbagliata l'antitesi tra banche e imprese".
La cautela è comunque d'obbligo. 
Per Draghi governatore della Banca d'Italia
Il ritorno alla  speculazione è limitato. L’Italia coniughi crescita con austerità e in questo la Germania sia un grande esempio. Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, conclude i lavori a Washington, dove ha partecipato alle riunioni del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, con un chiaro messaggio per il paese e al tempo stesso rassicura sui timori di chi vede riemergere lo spettro della speculazione e delle pratiche di prima della crisi adottate dalle banche, in particolare sul fronte dei mega bonus. E sulle prospettive di crescita dell’Italia il ministro dell’Economia Giulio Tremonti spiega che il tasso della ripresa si è rafforzato nel secondo trimestre del 2010 e che «i recenti indicatori puntano su una ulteriore ripresa economica nella seconda metà dell’anno anche se a velocità ridotta», con prospettive per i conti pubblici «abbastanza favorevoli».
Draghi, che ricopre anche la carica di presidente del Financial Stability board, smorza le preoccupazioni di un possibile ritorno della speculazione e ai comportamenti adottati da molte banche d’affari prima dello scoppio della crisi in materia di remunerazioni. «Non siamo andati indietro, il ritorno ad alcune pratiche è molto limitato e non generalizzato» ha affermato il numero uno di Bankitalia, proprio all’indomani dell’allarme sul ritorno dei cosiddetti ’bankers’ lanciato dal ministro dell’Economia Giulio Tremonti. Facendo una panoramica sull’economia italiana ed europea, il governatore ha osservato che da noi «il secondo trimestre è stato abbastanza buono, il terzo meno buono» e in Europa «la Germania cresce molto, con una ripresa basata sull’export ma per la prima volta anche sui consumi e sugli investimenti». E l’Italia, ha aggiunto, «cresce sicuramente a rimorchio della Germania». Per questo la linea guida che il paese deve seguire è chiara: «coniugare la crescita con l’austerità di bilancio: questo dovrebbe essere il nostro obiettivo e la Germania è un grande esempio».
Ma l’austerity da perseguire oggi, ha tenuto a precisare il numero uno di Bankitalia, «è completamente diversa da quella degli anni ’70. In parte è già stata avviata con alcune misure di riduzione del deficit e va perseguita analizzando la composizione del bilancio pubblico posta per posta e tagliando dov’è necessario». La ripresa, a parere di Tremonti, sarà sostenuta dall’assenza di «grandi squilibri. Il sistema bancario italiano è rimasto in gran parte immune dalle turbolenze sui mercati internazionali e il settore immobiliare è stato colpito marginalmente dalle correzioni sui mercati e il livello del debito privato è relativamente basso rispetto alle altre economie avanzate». Nel quadro di una ripresa generale «non uniforme, partita forte e sostenuta» - ma che «si sapeva avrebbe rallentato» anche a causa dei rischi legati alla disoccupazione e alla fragilità del sistema finanziario - Draghi fa rientrare i timori per il riaccendersi della speculazione e dei maxi compensi. «Il ritorno a pratiche pre-crisi non è generalizzato ma - ha detto - molto limitato, le banche allineano molto meglio di prima le remunerazioni ai rischi». Il sistema finanziario continua tuttavia, secondo il governatore, a presentare fragilità, e assieme alla disoccupazione costituisce un fattore di rischio che deprime la ripresa. In questo contesto, comunque, Draghi spazza via i timori di un ritorno al protezionismo: vede infatti una generale volontà di adottare mosse multilaterali, che soprattutto sui mercati valutari, sono le uniche che garantiscono dei risultati.
Per Trichet presidente della Banca Centrale Europea
La Bce non ha dichiarato 'vittoria' e resta cauta: 'non e' tempo di compiacersi'. Lo ha detto il presidente della Bce Trichet. Il presidente della Banca Centrale Europea stima inoltre che la crescita in Eurolandia sara' migliore del previsto. I movimenti disordinati sul fronte dei cambi - ha sottolineato poi 'possono danneggiare l'economia', mentre i cambi delle valute devono 'riflettere i fondamentali dell'economia'.

A proposito delle valute c'è ancora da ragionare molto in quanto sussitono alcuni punti di riflessione che sono ormai radicati da tempo:
- l'apprezzamento sull'euro rimane costante perchè è ineluttabile il divario tra i conti pubblici Ue e quelli Usa, questi ultimi peggiori di quelli del vecchio continente
- un aprezzamento del dollaro può avvennire appena ci saranno segnali di una vera e costante ripresa e al minimo "rumor" sulle possibilità di un rialzo dei tassi
- la rivalutazione dello yuan è stato dichiarato possibile ma in modo graduale e questo non giova alla ripresa del dollaro
- la diversificazione dei Fondi sovrani nell'investire in valute diverse dal dollaro. Recente è la dichiarzione russa di voler acquisire più euro.