Torino, 10 novembre 2010
E' di una certa suggestione la sollecitazione che proviene dal Presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick di ancorare "in un qualche modo" le valute all'oro.
Che da tempo si parli di una nuova "Bretton Woods" non è una novità ma il ritorno ad un "Gold Standard" cosa significherebbe? Un ritorno improponibile al passato in un epoca di globalizzazione dove fattori geoeconomici e geopolitici possono mutare velocemente i sottostanti fondamentali legati ai debiti pubblici e privati? Paura di un yuan emergente negli anni? E a chi converrebbe? Allora si potrebbe anche proporre un "Basket di valute rappresentative" più o meno come si fece con lo Snake, il Serpente monetario europeo degli anni '70 (stipulato nel '72 per l'esattezza) dove si poteva contare su bande di oscillazione tra valute europee e tra queste e il dollaro? Il concetto potrebbe essere allargato ad una serie di valute mondiali con pesi diversi in funzionie di opportunità maceoeconomiche e di politiche degli scambi.
Certo che da un lato c'è la necessità di "stabilizzare" le follie della finanza anomala che però ha tanti adepti (Fondi sovrani compresi) e per contro trovare regole compatibili con un mercato mondiale reale e finanziario talmente diverso e non più così correlato come in passato.
E' certamente la sfida di questi anni per coniugare rigore e sviluppo dove per rigore può trovare posto la parola piani di sviluppo per una crescita dell'economia reale e far sì che la finanza svolga un ruolo ad essa di supporto e sostegno e nulla più.
Comunque su questi argomenti in vista del G20 di Seoul è interessante riproporre quanto pubblicato ieri su La Stampa online a firma di Stefano Lepri.
Ecco il testo:
L’Ue bacchetta gli Usa. "Il piano Fed non va" e si preannuncia un G20 difficile: dollaro contro il resto del mondo. Trichet è convinto che agli Stati Uniti interessa un dollaro forte. Comunque butta male per il prossimo G-20 se perfino il lussemburghese Jean-Claude Jimcker, presidente dell'Eurogruppo, alza la voce contro gli Stati Uniti. Per definire un successo il vertice dei capi di Stato e di governo giovedì e venerdì a Seoul è probabile che alla fine la propaganda inventerà qualcosa. Ma in sostanza la cooperazione è a zero: il mondo sta entrando nell'epoca dell'ognuno per sé. La ragione è semplice. Ieri a Delhi Barack Obama ha difeso la scelta di stampare dollari sostenendo che intende accelerare la crescita economica degli Stati Uniti, «cosa positiva per il mondo nel suo insieme». Non è più così. La novità è che il resto del mondo può crescere anche senza gli Usa. Lo stesso Obama dimostra di saperlo, quando in altre occasioni afferma che «il consumatore americano non può più essere il solo motore dell'economia mondiale». Nella crisi, il peggio è stato evitato mettendo a carico degli Stati una parte dei debiti che i privati hanno creato. Geithrter, ministro americano, s'è detto fiducioso sul fatto che Pechino al G20 collaborerà perche non riuscirebbero a ripagare i debiti contratti con gli Usa. Ma si può continuare ancora con questo rimedio di emergenza? Juncker, ieri davanti al Parlamento europeo, per criticare la mossa americana «che non pare giusta» ha detto che «combattere il debito con ulteriore debito» pone solo «rischi inflazionistici». L'eccesso di dollari produrrà effetti negativi diversi sull'Europa (euro troppo forte) e sui paesi emérgenti (bolle speculative).Già adesso, nella parole del presidente dell'Eurogruppo, «il cambio dollaro-euro non è quello che dovrebbe essere», mentre sui paesi emergenti «si riverserà un eccesso di liquidità che essi potrebbero non essere in grado di riassorbire». All'ultimo momento, Obama con il viaggio a Delhi è forse riuscito a portare dalla sua parte l'India. Però dentro il G-20 quasi tutti criticano gli Stati Uniti, quasi tutti criticano la Cina. Entrambe le potenze maggiori vengono accusate di praticare politiche egoistiche, per certi aspetti simmetriche: Pechino distorce i mercati per mantenere basso il valoré dello yuan, Washington crea moneta (quantitative easing) per abbassare il valore del dollaro. Al G-20 ambedue offriranno falsità. Gli Stati Uniti insistono che vogliono «un dollaro forte», affermazione a cui nessuno crede (tranne, per un misto di tattica e di prudenza istituzionale, il presidente della Bce Jean Claude Trichet). Può aver ragione la Cina quando giudica rischioso mantenere i tassi di interesse bassi troppo a lungo, come vogliono fare gli Usa; ma nasconde che ne soffre proprio perché lega lo yuan al dollaro. Il dollaro, moneta principale del mondo, viene manovrato dagli Usa secondo proprie esigenze interne; la Cina vi aggancia lo yuan. Dal Sudafrica alla Germania al Brasile, questo non piace. Cercando una soluzione il presidente della Banca mondiale Robert Zoellick ieri se ne è uscito con l'idea di «usare l'oro come un punto di riferimento», un ritorno al passato. Così il metallo ha superato per la prima volta i 1.400 dollari l'oncia. Stupiti o negativi i primi commenti: «Vuol concorrere per il premio mondiale della stupidità?» scrive ad esempio sul suo blog l'economista Brad De Long, già sottosegretario di Clinton. Peraltro, c'è di peggio: i più estremisti nel «Tea party» vorrebbero privatizzare l'emissione di moneta, un salto nel Medioevo.
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