Veramente interessanti le dichiarazioni di Bini Smaghi vicepresidente della Banca Centrale Europea perchè finalmente una "voce uffciale" parla con riferimentio concreti della necessità di revisione del "Patto di stabilità" della UE.
Ecco il testo dell'intervista di ieri che si ritrova su La Stampa online a firma di Stefano Lepri:
«Il tetto del 3% del rapporto deficit/pil va abbassato, i bilanci devono tendere al pareggio. I criteri previsti da Maastricht non sono più attuali»
Con i calori dell’estate l’euro è fuori pericolo? Il cambio risale, i timori sulle banche europee si ridimensionano, si diffonde la voce che perfino la Grecia stia facendo sul serio...
«L’euro non è mai stato in pericolo. Quelli che gli hanno scommesso contro se ne stanno accorgendo a loro spese: stanno perdendo un sacco di soldi».
Molti operatori di mercato continuano a predire catastrofi. Si ha l’impressione che vivano in una realtà tutta loro, eccitandosi a vicenda. Forse torneranno all’attacco.
«Non era e non è l’euro il problema. Erano le politiche economiche di alcuni paesi. I loro comportamenti non erano in linea con la partecipazione alla moneta unica. La crisi ha esposto all’evidenza che questi comportamenti non erano più sostenibili. I paesi in questione hanno reagito tardi, sotto la pressione dei mercati, ma hanno reagito. Stanno facendo quello che dovevano fare. Dai dati emerge in modo chiaro che l’aggiustamento dei bilanci pubblici in Europa è più avanzato che negli Stati Uniti».
Invece i giornali americani continuano a dipingere in pessima luce l’Europa. Ma torniamo ai mercati: tendono a esagerare, dall’eccessivo ottimismo pre-crisi a queste successive ondate di pessimismo che si spostano da un bersaglio all’altro. Per placarli, non è che rischiamo di eccedere in austerità?
«Di fatto la stretta sui bilanci pubblici europei comincerà nel 2011. Non mi pare che ci sia nulla di eccessivo in questo. Calcolare quanto le misure di austerità freneranno la ripresa, poi, è un esercizio che ha molti limiti. Si dovrebbe considerare sul serio che cosa sarebbe successo se queste misure non fossero state prese».
Certo i mercati avrebbero reagito male. Però puntavano su ipotesi assurde, vedevano sull’orlo della bancarotta la Spagna, che ha meno di metà del debito dell’Italia...
«I mercati testavano diversi obiettivi per capire quale era il punto debole. Nel caso della Spagna si trattava di ipotesi estreme, fondate sulla previsione di una incapacità del governo di reagire e su parecchi anni di bassa crescita. Ma poi il governo di Madrid ha reagito, tra l’altro con una riforma del mercato del lavoro».
Poi l’attenzione si è spostata dal debito pubblico dei paesi deboli dell’euro alla situazione delle banche anche di paesi forti. È stato proprio il governo spagnolo a sollecitare per primo che fossero pubblicati gli stress test sulle banche, sfidando tedeschi e francesi che riluttavano...
«È stata soprattutto la Banca centrale europea a battersi perché i governi pubblicassero, come sarà fatto il 23 luglio, gli stress test delle banche. È chiaro che le banche potenzialmente fragili dovranno ricapitalizzarsi».
Forse la tempesta è passata. Di sicuro la pagheremo con anni di austerità.
«Insisto che occorre rendersi conto che il mondo è cambiato; era già cambiato prima della crisi. Il limite al deficit pubblico stabilito dal Trattato di Maastricht, 3% del prodotto lordo, era calibrato su una crescita economica media del 3% annuo. Nella prospettiva dei prossimi anni l’area euro può realizzare una crescita di circa la metà. Dunque occorre cambiare quella cifra».
Come? Modificare il Patto di stabilità europeo?
«Sì. Il limite del 3% va abbassato. I bilanci devono tendere al pareggio».
Certi cambiamenti erano già in atto prima della crisi. Avremmo dovuto provvedere a una regola più severa anche se non ci fosse stata la crisi?
«Diciamo che occorre farlo alla luce della crisi. La Germania dà il buon esempio con la sua modifica costituzionale che pone come scadenza il 2016. Ciascun paese deve interiorizzare le regole; altrimenti resterà per i governanti la facile scappatoia di dire "facciamo la manovra perché ce lo impone l’Europa" e l’Europa diventerà sempre più impopolare tra i cittadini».
Forse la Germania aveva bisogno meno di altri, dato che all’opposto di Grecia, Portogallo e Spagna ha i conti con l’estero in ampio attivo.
«Certo la Germania può crescere di più; ma non attraverso la spesa pubblica, che anche lì va ridotta, né diventando meno competitiva. Può riuscirci facendo riforme che liberalizzino il settore dei servizi, aumentandone la produttività; sarebbero i tedeschi stessi i primi a goderne, perché il loro modello tutto puntato alla competitività estera non ha impedito una modesta dinamica dei loro redditi».
Fra i tedeschi è forte il timore di dover pagare il conto per tutti gli altri. Se c’è un elemento di fragilità dell’euro, mi pare la carenza di solidarietà fra nazioni.
«Il sostegno ai paesi in difficoltà non ha comportato finora alcun onere per la Germania. Nemmeno in futuro sarà accettabile che un paese paghi i debiti di un altro paese; l’unione monetaria non è questo, e i tedeschi hanno ragione a respingere quello che chiamano Transferunion. Però dobbiamo essere pronti ad aiuti temporanei, che servono a rimettere in piedi un paese in difficoltà. E in futuro dovremo avere regole il più possibile automatiche che consentano di bloccare le politiche devianti: per questo la Bce propone di rafforzare le proposte del presidente della Ue Herman Van Rompuy per modificare il Patto di stabilità».
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