Torino, 3 settembre 2010
Alla ripresa (per noi italiani) delle attività lavorative nel dopo vacanza possimo trarre dai dati ed analisi pubblicate nel mese di agosto qualche spunto intressante e valutare le prospettive per la rimanente parte dell'anno e, se possibile azzadarci per il 2011, a livello planetario e di continenti.
Mi ha colpito soprattutto un articolo de Il sole 24 ore online del 20 agosto e voglio riproporvelo per poi ragionarci sopra dal titolo "Il debito? Washington non ci sente" di Mario Margiocco
Eccolo:
Le realtà fiscali di entrambe le sponde dell'Atlantico sono, oggigiorno, molto simili. Solo una fiducia duratura nella promessa americana mantiene viva l'aspettativa europea secondo cui un grande colpo di scena americano risolverà la grave situazione di debito del paese. Ovviamente, gran parte degli americani riconoscono l'entità del peso del loro debito. L'ammiraglio Mike Mullen, presidente dei Comandi congiunti del personale e di conseguenza il più alto funzionario militare in grado, ha affermato recentemente che «il pericolo più grande per la sicurezza americana deriva dal debito pubblico». Quattro americani su dieci sono d'accordo con lui, mentre meno di tre su dieci considerano il terrorismo e l'Iran più pericolosi.
Lo status di grande potenza dell'America è sempre dipeso dal suo livello di debito. È stato infatti grazie all'assenza di debito pubblico che gli Stati Uniti hanno ottenuto e mantenuto il titolo di potenza mondiale tra il 1914 e il 1917. Gli Stati Uniti sono passati da un debito di 3 milioni di dollari (gran parte del quale nei confronti della Gran Bretagna) a un credito netto di una cifra simile, grazie ai 6 milioni di dollari dei crediti di guerra concessi agli alleati occidentali. Altri 3 milioni di dollari di credito per la ricostruzione europea nel dopoguerra hanno consolidato il suo status di primo paese creditore a livello mondiale, con un surplus pari all'8% del Pil.
Questo spostamento ha portato l'America a rimpiazzare la Gran Bretagna quale fulcro del sistema finanziario e monetario. In precedenza, grazie al sistema aureo e alla stabilità politica della Gran Bretagna, la City di Londra aveva svolto il ruolo di fonte principale di capitale e di garanzie finanziarie a livello mondiale, per più di un secolo.
La nuova era è iniziata improvvisamente nel gennaio del 1915 quando, dopo qualche mese di profonda incertezza, sono iniziate consistenti spedizioni d'oro con destinazione New York. Qualche mese prima, il finanziere veterano di Boston, Henry Lee Higginson, aveva presentato in una lettera al Presidente Woodrow Wilson quella che, a suo avviso, doveva essere la nuova strategia americana. «Questa è la nostra opportunità di arrivare al primo posto», scrisse. Era necessario ristabilire l'ordine nel sistema finanziario americano, ripagare i debiti, e, come aveva fatto Londra per lungo tempo, bisognava mantenere la fiducia, il che significava garantire la convertibilità del dollaro in oro.
Gli Stati Uniti sono riusciti da soli, tra le grandi nazioni del mondo, a garantire la convertibilità del dollaro durante tutto il periodo della Grande guerra. Con l'instaurarsi della pace, il dollaro e Wall Street erano diventate le forze dominanti nello scenario finanziario mondiale. Le regole del mercato finanziario, definite dopo il 1933 dal New Deal del Presidente Franklin Roosevelt, permisero al dollaro di rimpiazzare la sterlina britannica al centro del sistema internazionale.
Il ruolo di banchiere del mondo dell'America rimase invariato per i successivi 40 anni, fino a quando il Presidente Richard Nixon decise di disaccoppiare la relazione tra dollaro e oro. Ciò nonostante, pur in assenza del sistema aureo, l'economia americana, insieme al riciclaggio dei petrodollari, sarebbe comunque stata in grado di mantenere il dollaro in testa.
E infatti gli Stati Uniti sono rimasti i primi creditori a livello mondiale fino al 1986-1987, quando hanno rimesso le vesti di paese debitore. Nei due decenni a seguire, il debito americano si è sempre assestato intorno ai 3 trilioni di dollari, con aumenti e ribassi a seconda del tasso di cambio del dollaro.
Dal 1990, hanno iniziato a importare sempre più capitale, in particolar modo dall'Asia. A partire dal 2000, la Cina è poi diventata la prima fonte di finanziamento del debito pubblico, con grande contentezza degli americani in quanto ha permesso alla riserva federale statunitense di mantenere bassi i tassi di interesse.
Ma alcuni avevano già previsto dei rischi. L'economista svedese Axel Leijonhufvud aveva previsto un'inflazione dei prezzi dei beni immobili, in particolar modo delle case, e un peggioramento della qualità del credito. L'innovazione finanziaria ha trasformato in poco tempo la previsione in realtà. Basta ricordare che, nel 2008, solo 12 aziende al mondo avevano un rating AAA, mentre più di 60mila, la maggior parte americane, disponevano di prodotti finanziari strutturati con rating tripla A. Gli Stati Uniti sono passati da banchiere a fondo d'investimento mondiale.
Con questo cambiamento, si è perso l'imperativo tradizionale del banchiere di mantenere fedeltà e fiducia, di “conservare la fede” come sosteneva Higginson. Ed è nel debito pubblico americano che vengono ora accumulati i resti delle mancate promesse del sistema finanziario, così come in Italia la prodigalità statale del passato incide ora sul suo enorme debito pubblico.
Le cifre statunitensi sono sbalorditive. Il debito pubblico comprende non solo i 13,2 trilioni di dollari del governo federale, ma anche altri 3 trilioni di dollari di debito di stati, contee e città americane. Inoltre, ci sono i 3,9 trilioni di dollari di debito delle agenzie di finanziamento immobiliare americane sostenute dal governo (Fannie Mae, Freddie Mac e altre) che attualmente garantiscono più del 90% dei mutui statunitensi. Ciò ha portato il debito americano approssimativamente al 140% del Pil.
Il Congresso statunitense sa bene cosa implicano questi numeri, ma i suoi membri hanno deciso di chiudere gli occhi. Oltretutto, il presidente non ha più il dovere di presentare la previsione della posizione fiscale del paese dei cinque anni a venire, bensì solo quella di un anno.
Ma quali conseguenze ha tutto questo sull'economia mondiale? Non c'è alcuna grande potenza emergente che possa assumersi la responsabilità della finanza globale, com'è successo nel 1914. Allora, Wall Street era pronta per l'incarico. In futuro, potrebbero esserlo Shanghai e Hong Kong, ma questa possibilità non aiuta di certo il contesto attuale.
Come da me più volte riportato in tabelle apposite (in particolare vedere il mio post del 24 maggio 2010 dal titolo "Si è stabilizzato il rapporto euro/dollaro ?") il problema del debito e del deficit continua per gli Usa essere contemporaneamente un assillo sia economico ma forse ancor più geopolitico. In altra occasione ci addentreremo di più sui dettagli macroeconomci ma non può non risultare evidente l'importanza dielle future scelte di portafoglio della Cina e di altri Paesi sulla salute oltre che dell'economia reale americana. Quest'ultima ha fornito dati sul Pil del secondo trimestre che hanno deluso abbastanza con un +1,6% con un dato inferiore al 2,4% della prima stima). I dati del Pil sono stati nettamente influenzati da quelli del commercio estero in quanto è stato l'elevato deficit commerciale a giocare un ruolo rilevante balzando a 445 miliardi di dollari, sottraendo al prodotto interno lordo 3,37 punti percentuali, la maggiore riduzione da quando è iniziata la raccolta dati nel 1947. Inoltre i dati di oggi sulla disoccupazione Usa anche se migliori con gli occupati del settore privato che sono aumentati di 67mila unita' ben piu' delle 40mila previste fa salire comunque il tasso di disoccupazione negli Usa ad agosto al 9,6% dal 9,5% di luglio.
Dunque è sull'organizzazione del lavoro (negli Usa o fuori ??) e sui consumi che gli Usa devono dimostare di avere idee chiare e determinate!! La poca fiducia nella politica della Casa Bianca è data da un sondaggio di oggi mostra che il 49% intende votare per i repubblicani alle elezioni di novembre mentre il 43% vuole votare per i democratici. Dal sondaggio pubblicato oggi dal quotidiano USA Today emerge inoltre che il 56% degli elettori disapprova la riforma sanitaria, la piu' importante legge fatta approvare dalla amministrazione Obama, mentre solo il 39% e' favorevole alla riforma. Il livello di popolarita' del presidente Barack Obama e' del 43%.
Infine un cenno all'Europa. Come si sa la Germania si è messa a fare la locomotiva come ai vecchi tempi e per la Bce che ha deciso di lasciare invariata la propria struttura di tassi d’interesse al minimo storico estendendo nel contempo la durata della «rete di sicurezza» stesa durante la crisi per assicurare liquidità al mercato ha deciso di rialzare le previsioni di crescita per quest’anno e il 2011, rispettivamente all’1,6% e all’1,4%, rilevando che, anche se i dati economici più recenti sono stati migliori del previsto, la ripresa procederà «a un ritmo moderato con l’incertezza che tuttora sta prevalendo.
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