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Novità interessanti per il Patto di Stabilità UE

Torino, 30 settembre 2010

L'importanza, più volte da me ribadita, di riformulare le regole del "Patto di Stabilità" della UE sono state finalmente presenate dalla Commissione Europea.
Ecco il testo e commento ripreso dal sito Wallstrettitalia.it

Roma tra i sorvegliati speciali per debito pubblico (primi nella Ue e terzi nel mondo) e deficit. Bruxelles, che punta a rendere esecutive le nuove norme entro la metà del 2011, ha proposto una sanzione pari allo 0,2% del Pil ai paesi che spendono troppo nel medio termine e una di pari importo per quelli il cui deficit supera il limite del 3% del Pil.

La Commissione europea stringe i vincoli del patto di stabilità per scongiurare il rischio di nuovi casi come quello della Grecia. E' il senso di una giornata che, se le regole proposte dalla Commissione saranno accettate dai ministri Ue e dal Parlamento europeo, si può quasi definire storica.
Bruxelles, che punta a rendere esecutive le nuove norme entro la metà del 2011, ha proposto una sanzione pari allo 0,2% del Prodotto interno lordo ai paesi che spendono troppo nel medio termine e una di pari importo per quelli il cui deficit supera il limite del 3% del Pil. Una multa pari allo 0,1% del Pil è stata invece proposta per quei paesi che non sono stati in grado di ovviare ai propri squilibri macroeconomici. Le nuove sanzioni colpiscono i membri dell'area euro e non prevedono il congelamento dei fondi Ue ai paesi che violano le regole, come invece proponeva la Germania.
Tutti i paesi europei hanno un obiettivo di bilancio a medio termine, che impone loro di mirare al pareggio dei conti o di portarsi addirittura in avanzo. Le nuove regole prevedono che, fino a quando non si è raggiunto questo obiettivo, il deficit debba essere ridotto di almeno lo 0,5% del Pil ogni anno. In aggiunta, la crescita della spesa pubblica non potrà essere superiore a un tasso di crescita prudente ipotizzato per il Pil nel medio termine, a meno che l'obiettivo di bilancio di medio termine non sia stato raggiunto. Se le spese supereranno il limite posto dalla Commissione il paese sarà in un primo tempo oggetto di avvertimento. Se questo non basta, il paese dovrà fare un deposito che frutterà interessi pari allo 0,2% del proprio Pil.
Per i paesi il cui deficit supera il 3% del Pil, la Commissione propone che l'apertura della procedura per deficit eccessivo comporti anche l'obbligo di effettuare un deposito senza interessi pari allo 0,2% del Pil presso un conto dell'esecutivo Ue. Tale deposito verrà convertito in una vera e propria multa se i conti pubblici non verrano sanati come raccomandato dai ministri delle finanze Ue. Fino ad oggi le sanzioni sono state solo un'opzione che si presentava alla fine di una procedura che poteva durare anni.
Per mettere maggiore enfasi sulla riduzione del debito la Commissione ha inoltre proposto che quei paesi con un debito superiore al 60% del Pil, come è il caso dell'Italia, debbano ridurre l'eccesso di un ventesimo ogni anno. In caso contrario, per quel paese verrà aperta la procedura per deficit eccessivo che implica, in un primo tempo, l'obbligo di effettuare un deposito senza interessi pari allo 0,2% del Pil.
Infine, per minimizzare il rischio di crisi scatenate da squilibri macroeconomici come le bolle immobiliari di Irlanda e Spagna, la Commissione ha proposto che monitorerà le economie dei membri Ue per individuare l'emergere di simili squilibri. Nel caso di squilibri gravi, per il paese in questione verrà aperta una procedura per squilibri eccessivi con relative raccomandazioni da parte dei ministri delle finanze Ue su come porvi rimedio. Se i consigli dovessere essere ignorati, scatterebbe una multa pari allo 0,1% del Pil all'anno finchè non il paese non si decide ad agire come raccomandato.
Poiche' il Pil Italiano e' stato nel 2009 di 1.520 miliardi di euro, il nostro paese dovra' pagare 3.04 miliardi per debito eccessivo e altri 3.04 miliardi di euro per sforamento del deficit di bilancio del 3%. In totale: 6.08 miliardi di euro in multe.
A luglio il debito pubblico dell'Italia (il piu' alto nella Ue e il terzo piu' alto del mondo, in valore assoluto) ha toccato un nuovo massimo storico. Secondo il supplemento di finanza pubblica al bollettino statistico della Banca d'Italia, al 31/7/2010 il debito pubblico italiano è salito a quota 1.838,296 miliardi di euro, mentre a giugno si era attestato a 1.822,050 miliardi.
L'alto debito dell'Italia, al 115,8% del Pil nel 2009 e con una stima al 124,7% al 2015, limiti gli spazi di manovra sul bilancio e rende il nostro paese, fra le nazioni europee ed occidentali avanzate, uno di quelli con minore 'spazio di manovra fiscale'. Secondo le griglie della Ue il debito pubblico di ciascun paese membro dovrebbe essere attestato al 60% del pil, mentre l'Italia ha sfondato ormai tetti impensabili con cifre quasi doppie.
Rispetto al marzo 2009, il debito italiano e' aumentato di varie decine miliardi in termini assoluti, cioe' almeno 3 volte la "manovra" da 25 miliardi approvata con grandi polemiche pochi mesi fa dalllo stesso ministro dell'Economia Giulio Tremonti per far quadrare il bilancio dello Stato, manovra di cui oggi nessuno ricorda nulla.


Ecco perchè l'Europa e l'Euro staranno meglio degli Usa per un bel pò !!

Torino, 13 settembre 2010

Crisi, l'Europa cresce più del previsto

Traina la ripresa la super- Germania con un exploit di Berlino del +3,4%

Corre il Pil dell'Europa: +1,8%,  SOLO a maggio si prevedeva +1%

Da La Stampa online di oggi:
«L’economia europea è chiaramente sulla via della ripresa, in maniera più forte di quanto previsto nella scorsa primavera». Ma questa ripresa «resta fragile», soprattutto per «la grande incertezza» sull’evoluzione della situazione a livello mondiale. Così il commissario Ue agli affari economici e monetari, Olli Rehn, commenta le nuove previsioni economiche di Bruxelles per il 2010.
La Commissione Ue ha rivisto al rialzo le stime di crescita dell’economia e prevede per il 2010 un aumento del Pil pari al+1,8% contro il +1% stimato nelle precedenti previsioni di maggio. A trainare la ripresa Ue è soprattutto la Germania, per la quale la Commissione ha quasi triplicato la previsione di crescita del Pil, +3,4% contro +1,2% stimato a maggio.
Anche il dato dell’Eurozona beneficia di questo miglioramento ed è previsto in crescita dell’1,7% (+0,9% secondo le stime di primavera). La crescita del Pil, segnala la Commissione, è stata particolarmente forte nel secondo trimestre (+1% in Ue ed Eurozona) e maggiormente alimentata dalla domanda interna rispetto al previsto. Nonostante ciò, «la ripresa resta fragile, l’incertezza importante e l’evoluzione disomogenea fra gli Stati membri».  Quanto all’inflazione, le previsioni sono rimaste invariate (+1,8% nell’Ue, +1,4% nell’Eurozona). Secondo il commissario agli Affari economici e monetari Olli Rehn, «l’economia europea è chiaramente sulla via della ripresa, più decisamente di quanto previsto a primavera, e il miglioramento della domanda interna è di buon auspicio per il mercato del lavoro.
Rimangono tuttavia delle incertezze»: per questo, secondo Rehn, «la salvaguardia della stabilità finanziaria e il proseguimento delle politiche di risanamento dei bilanci pubblici restano le priorità essenziali». Le previsioni «intermedie» sono elaborate dalla Commissione due volte l’anno e riguardano i 7 principali Stati membri (Francia, Germania, Italia, Olanda, Polonia, Spagna e Inghilterra) che rappresentano circa l’80% del Pil europeo. Per gli Usa invece le notizie sono quelle di venerdì riportate nel mio Post precedente con una ripresa definita da Obama stesso "PENOSAMENTE LENTA".
Mentre dell'altro importante argomento del giorno e cioè dell'OK dei Governatori del G20 per Basilea III
dove, quando sarà approvato in novembre al G20 in modo uffciale, verrà sancita una più stretta vigilanza sulle banche con l'innalzamento degli indici di patrimonio ne parleremo al più presto. Riforma che cominciamo però a ricordarlo andrà a pieno regime solo entro il 2019.













Le parole di Obama: ripresa economica penosamente lenta

Torino, 11 settembre 2010

"Parole che si commentano da sole"
Dalla Conferenza Stampa di ieri di Obama:
''La ripresa economica e' penosamente lenta'' ma  assicuro che l'amministrazione e' al lavoro per rafforzare la crescita economica. ''Il buco lasciato dalla recessione e' profondo ed i progressi compiuti sono penosamente lenti''.
Giustamente in molti Blog la risposta è quasi univoca:
Al di là di assicurazioni, progetti, previsioni ...gli Usa sono ancora in piena "cacca" economica.
Molti vedono la Borsa Usa eccessivamente alta così come il dollaro ancora troppo alto rispetto ad euro e yen.
Basta riprendere quanto scritto nel mio BLOG il 3 settembre dal titolo: "Quale futuro per l'economia del pianeta e per il dollaro" e con l'inciso seguente" Le cifre statunitensi sono sbalorditive. Il debito pubblico comprende non solo i 13,2 trilioni di dollari del governo federale, ma anche altri 3 trilioni di dollari di debito di stati, contee e città americane. Inoltre, ci sono i 3,9 trilioni di dollari di debito delle agenzie di finanziamento immobiliare americane sostenute dal governo (Fannie Mae, Freddie Mac e altre) che attualmente garantiscono più del 90% dei mutui statunitensi. Ciò ha portato il debito americano approssimativamente al 140% del Pil. "

Inoltre per il Fmi la ripresa mondiale si indebolira' a fine 2010-inizio 2011

Previsione in nota all'attenzione dei paesi G20
Il Fmi sostiene che la ripresa economica mondiale si indebolira' da qui alla fine del 2010 e nel primo semestre del 2011. E' riportato in una nota destinata ai paesi del G20. ''Secondo le nostre previsioni, la ripresa continuera', con una certa debolezza nel secondo semestre del 2010 che dovrebbe continuare nel primo semestre del 2011'', indica l'Fmi nella nota redatta in occasione della riunione dei delegati del G20 in Corea il 4 e 5 settembre. Non ci sono previsioni in cifre, attese per l'inizio di ottobre, in coincidenza con la riunione annuale del Fondo a Washington. Secondo gli economisti dell'Fmi, ''la ripresa mondiale e' entrata in una nuova fase... nelle economie sviluppate, il sostegno al rilancio del bilancio e la ricostituzione delle riserve stanno per indebolirsi, e la crescita sara' sempre piu' trainata da consumi e investimenti. Nel frattempo il rischio e' che la crescita sia piu' debole del previsto, con l'incertezza elevata sui mercati finanziari che rappresentera' una fonte di particolare preoccupazione''.

L'Eni ha messo in bilancio un prezzo medio del petrolio per il 2011 di 65 $ a barile a causa di una scarsa ripresa !!
A voi altre deduzioni e considerazioni   !!!!!!!

Classifica 2010-2011 del World Economic Forum di Davos: Usa perdono in competitività

Torino, 9 settembre 2010

Ecco una notizia di stamattina che vale la pena di essere riportata nel confronto aperto su questo Blog tra la "salute economica" di Europa - Usa.
Da la Stampa online di oggi:

Competitività, Davos boccia Obama

La Svizzera resta al numero uno, balzano la Svezia e la Germania, gli Usa perdono due posizioni

È la Svizzera il Paese più competitivo del mondo, seguita dalla Svezia e da Singapore. È quanto emerge dall’ultima classifica 2010-2011 del World Economic Forum di Davos che ha registrato il "tonfo" degli Usa di due posizione al quarto posto.  A danneggiare la competitività degli Stati Uniti sembra sia stato proprio l’effetto Obama: è infatti proprio la fiducia nelle istituzioni che è sprofondata al 54% posto. L’Italia resta invece ferma in coda a tutti i paesi maggiormente industrializzati al 48esimo posto.  «Il Paese - si legge nel rapporto - continua a migliorare in molte aree». Restano però «alcune debolezze strutturali critiche dell’economia». Prima tra tutte «un mercato del lavoro molto rigido» per cui il paese sprofonda al 118esimo posto sui 139 presi in considerazione. Eccellente perfomance del Paese resta quella dei distretti industriali, per i quali l’Italia guadagna il primo posto, e per l’ampiezza dl mercato (nono posto) «che permette significative economia di scala». Tra i punti negativi anche gli alti livelli di corruzione, gli eccessivi costi del business che danneggiato la fiducia degli investirori e, naturalmente, la burocrazia.

Ma perchè gli Usa e la GB non si guardano a casa loro ?

Siamo vicino alle elezioni di midterm negli Usa e il governo Obama cerca in tutte le maniere di risollevarsi agli occhi dei suoi cittadini e sulla scena mondiale per dimostrare che c'è sempre un'America forte dietro l'angolo. Forse sì ...nel tempo ma è ineluttabile che questi anni 2008 - 2011 sono stati e saranno ancora duri per gli Usa.
Il rilancio da 150 mld di dollari, peraltro tutto da approvare nei due rami del Parlamento con i repubblicani contrari su vari punti  accrescerà ulterioriormente un debito pubblico Usa già spaventoso (..guardare il mio post del 3 settembre). Dunque tentare di avere come dice un detto comune "la botte piena e la moglie ubriaca" cioè ottenere con scaltrezza dei vantaggi senza tuttavia pagare in qualche modo "dazio" a ciò che si vuole ottenere non sarà facile per Obama
Ma è palese e lo sanno soprattutto i mercati che questo vuol dire sacrificare il dollaro. Infatti solo una moneta Usa più "debole" che farà forse meno immagine di superpotenza mondiale ma che gioca a favore almeno  sul fronte delle esportazioni (lo dice chiaro il dato delle importazioni nel secondo trimestre 2010 che a causa dell'elevato import ha sacrificato più del 3,0% del Pil)  può permettere un rilancio economico in ulteriore deficit spending "formula Keynessiana" o quasi.
Questa premessa per dire che sia il Wall Street Journal che il Finalcial Times (ma sappiamo quanto sono presuntuosi e spocchiosi gli inglesi che sul loro penoso debito pubblico dovrebbero pure loro tacere) sono tornati alla carica sulle loro testate per dire che i nostri "Stress Test" bancari sono "truccati".
E ricomincia quindi una battaglia sia di immmagine che di leadership su chi è più "ben messo" o meglio "meno malmesso" sui conti pubblici ma anche privati.
Qualunque sia la metodologia i grandi numeri macroeconomici, per nostra fortuna, però sono ancora "meno  malmessi "sull'Europa e sull'Euro.
Eccone il testo che lascio alla vostra riflessione ripreso da La Stampa di oggi online con la firma di Luca Fornovo.

Banche europee, dubbi sugli stress test
Il Wall Street Journal: sottovaluta l'esposizione ai titoli di Stato.
Emergono nuovi dubbi sull’affidabilità degli stress test che lo scorso 23 luglio erano stati condotti sulle banche europee col risultato che, su 91 istituti esaminati, sette erano stati bocciati perché poco solidi. Dopo l’affondo di venerdì del quotidiano britannico Financial Times, secondo cui «le più importanti compagnie del Regno Unito e dell’Europa continentale evitano di avere rapporti con banche spagnole, italiane e persino tedesche» perché ritengono gli stress test poco affidabili, ieri un nuovo allarme è arrivato dal Wall Street Journal. La «bibbia finanziaria» di New York sottolinea in un’analisi che gli stress test condotti sulle banche europee hanno «sottovalutato» l’ammontare del debito potenzialmente rischioso presente nei portafogli delle istituzioni del Vecchio Continente. Secondo il quotidiano Usa, «un esame più attento dei dati forniti dalle banche mostra che alcune non hanno fornito un quadro così esaustivo delle proprie attività come avevano invece annunciato le Autorità europee». I timori sollevati dal Wall Street Journal sulle banche, uniti a quelli sul debito pubblico europeo in aumento e alla notizia della tassa sulle transazioni finanziarie hanno fatto arretrare di mezzo punto percentuale l’indice europeo Stoxx 600. (omissis) .... Tornando all’analisi del Wsj, alcune banche, spiega ancora il quotidiano, hanno escluso alcuni titoli e molte hanno ridotto l’esposizione escludendo le posizioni short. Per esempio, se una banca deteneva 100 milioni di euro di esposizione sui titoli greci e 25 milioni di esposizione short, il totale lordo risultava di 75 milioni di euro.
In questo modo le esposizioni di alcune banche sono state ridotte di miliardi di euro, secondo alcune fonti bancarie, mentre altre sottolineano che gli istituti si sono limitati a seguire le disposizioni del Commitee of European Banking Supervisors (Cebs), il comitato di supervisione sulle banche europee. Il Wall Street Journal non cita banche italiane ma riporta l’esempio della britannica Barclays, che ha escluso i titoli di Stato che aveva in portafoglio a scopo di negoziazione (eliminando dal conteggio circa 4,7 miliardi di sterline di bond italiani e 1,6 miliardi di spagnoli), e quello della francese Credit Agricole, che non ha conteggiato titoli detenuti dalle sue sussidiarie, ad esempio dalla sua divisione di assicurazione.
Inoltre in una ricerca di Jacques Cailloux, capo economista della Royal Bank of Scotland, emerge che l’esposizione delle banche francesi ai titoli ai Stato europei sarebbe maggiore di quella di cui ha tenuto conto il Cebs per fare gli stress test. I dati al 31 marzo della Banca dei regolamenti internazionali (Bis) indicano che le banche francesi sono esposte per 20 miliardi al debito pubblico greco e per 35 miliardi al debito spagnolo. Negli stress test, le quattro più grandi banche francesi, che rappresentano circa l’80% delle attività del sistema bancario transalpino, erano esposte per 11,6 miliardi al debito ellenico e a 6,6 miliardi per il debito spagnolo. Ma allora i conti non tornano. I titoli di Stato di Irlanda, Grecia e Portogallo sono sotto forte pressione e i premi di rendimento rispetto al bund tedesco tornano a volare, raggiungendo nuovi record nel caso dell’Irlanda. Nel giorno in cui il Wall Street Journal mette in dubbio l’esito degli stress test europei, sui mercati si torna a parlare di rischio-default. Il risultato è, nel caso dell’Irlanda, un differenziale di rendimento dei titoli di Stato decennali rispetto al bund tedesco a 377 centesimi, livello mai toccato dalla creazione dell’euro. Sotto tiro anche il debito portoghese, con il premio di rendimento a 352 punti base, e quello greco, con lo spread a 940 punti, poco sotto il record di 965 segnato all’apice della crisi di Atene. Più  risparmiati, invece, i titoli di Stato di Italia e Spagna.

Il nuovo Patto di Stabilità UE: una riforma non più rinviabile

Toirno, 6 settembre 2010

Tornano d'attualità i dibattiti su come l'Europa deve dotarsi di una "legislazione efficace" sovrana ed indipendente dagli intrecci intenazionali ai quali deve spesso sottostare come nel caso delle valutazioni delle Agenzie di Rating.
Oppure come snellire vecchie procedure che sono state sì dei pilastri per la crescita di una Europa allargata come è scritto nel Trattato di "Maastricht" e i suoi vincoli a tutela dei conti pubblici e di un tetto all'inflazione ma che alle volte si sono rivelati troppo rigidi e pertanto controproducenti. Barroso, presidente della Commisione Ue, ha ribadito come i governi Ue debbano guradare di più alla competitività.
Dunque una serie di temi sul tappeto per questo autunno e un calendario di cose "nuove ed innovative" da mettere in calendario per il 2011.
Questo dibattito e le conseguenti riflessioni da fare sono state ben sottolineate dall'articolo di Stefano Lepri sull'edizione di oggi de La Stampa online e voglio riproporvelo per una vostra analisi.
Ecco il testo:
Se il vero problema dell’Europa - come dice José Barroso - è che per i governi nazionali «quando le cose vanno bene è merito loro e quando vanno male è colpa di Bruxelles», allora qualche speranza c’è.
I ministri dell’Economia avviano con l’Ecofin straordinario di domani il processo per correggere una costruzione politica dove è facile per tutti sfuggire alle responsabilità. Sarà lungo e tortuoso, ma comincia.
La Grecia ha mostrato che dentro una unione monetaria gli errori di un governo nazionale possono diventare costosissimi, potenzialmente catastrofici, per tutti gli altri. Così l’area euro è stata presa di mira dai mercati benché, nell’insieme, i suoi conti pubblici fossero migliori di quelli degli Usa. Per fortuna che a «tenere la barra dritta» come ha detto il presidente della Repubblica, c’era l’unica istituzione davvero federale, la Bce.
L’ideale sarebbe dare più poteri a istituzioni sovrannazionali democraticamente legittimate, magari togliendo alla burocrazia europea altri poteri che si sono dimostrati superflui o sono stati esercitati in modo miope (pur se quella del regolamento sulla curvatura delle banane era una leggenda). Questo non avverrà; bisognerà accontentarsi di procedere a balzelloni, istruiti dall’aver sbattuto contro i muri.
Un impulso vero sembra di percepirlo; non solo perché la Germania vuole evitare di pagare il conto per gli altri. All’Ecofin si discuteranno le procedure per una «sessione di bilancio europea», ovvero un esame di obiettivi e vincoli delle politiche nazionali che si svolgerà ogni anno tra gennaio e aprile. E’ facile spiegare l’entusiasmo mostrato da ministri dell’Economia come Christine Lagarde e Giulio Tremonti. Con un quadro europeo alle spalle i responsabili del Tesoro potranno resistere meglio nei mesi successivi, quando i parlamenti esamineranno le leggi di bilancio, alle pressioni di spesa dei colleghi di governo o delle lobby.
Resta da vedere quanto sarà stringente il processo. Se lo si fosse condotto rigorosamente nei mesi scorsi, madame Lagarde avrebbe forse dovuto fondare il suo programma su previsioni meno rosee di crescita dell’economia francese, o il suo collega italiano chiarire perché è sicuro di recuperare dalla lotta all’evasione fiscale ben 13 miliardi nel biennio 2011-12; e così via per altri loro omologhi. Ma è ancora tutto da definire il limite entro cui i governi potranno «impicciarsi» delle decisioni altrui; e una Commissione europea debole come quella guidata da Barroso è parte del problema.
Più difficile appare un’altra innovazione. Per evitare nuovi casi come la Grecia, occorre rafforzare le sanzioni per chi viola le regole del Patto di stabilità europeo. Multe severe esistono già ma finora non sono mai state adottate: nei primi anni di questo decennio la Germania e la Francia sono state abbastanza forti da sottrarvisi, l’Italia è riuscita a prendere tempo con espedienti solo più tardi dichiarati scorretti; più tardi la debole Grecia ha trasgredito di nascosto, truccando i conti.
Per giunta, il Patto di stabilità reagisce solo ai numeri della finanza pubblica; è stato incapace di dare l’allarme per Irlanda e Spagna, dove gli Stati avevano i conti in ordine ma il settore privato si era caricato di debiti. Sui criteri per evitare ogni tipo di squilibrio lavora il presidente dell’Unione Herman Van Rompuy; non sarà facile mettere d’accordo tutti. In presenza di un Patto europeo di efficacia ancora dubbia, non sarebbe male che ogni paese interiorizzasse alcune regole basilari. Per l’Italia, dove l’instabilità rimane nella finanza pubblica, Emma Marcegaglia nell’intervista a questo giornale ha fatto sua la proposta di inserire nella Costituzione (sul modello tedesco) un tetto al deficit. Chissà, forse sarebbe - più di altri - terreno appropriato per un’intesa fra maggioranza e opposizione.

Quale futuro per l'economia del pianeta e per il dollaro ?

Torino, 3 settembre 2010

Alla ripresa (per noi italiani) delle attività lavorative nel dopo vacanza possimo trarre dai dati ed analisi pubblicate nel mese di agosto qualche spunto intressante e valutare le prospettive per la rimanente parte dell'anno e, se possibile azzadarci per il 2011, a livello planetario e di continenti.
Mi ha colpito soprattutto un articolo de Il sole 24 ore online del 20 agosto e voglio riproporvelo per poi ragionarci sopra dal titolo "Il debito? Washington non ci sente" di Mario Margiocco
Eccolo:
Le realtà fiscali di entrambe le sponde dell'Atlantico sono, oggigiorno, molto simili. Solo una fiducia duratura nella promessa americana mantiene viva l'aspettativa europea secondo cui un grande colpo di scena americano risolverà la grave situazione di debito del paese. Ovviamente, gran parte degli americani riconoscono l'entità del peso del loro debito. L'ammiraglio Mike Mullen, presidente dei Comandi congiunti del personale e di conseguenza il più alto funzionario militare in grado, ha affermato recentemente che «il pericolo più grande per la sicurezza americana deriva dal debito pubblico». Quattro americani su dieci sono d'accordo con lui, mentre meno di tre su dieci considerano il terrorismo e l'Iran più pericolosi.
Lo status di grande potenza dell'America è sempre dipeso dal suo livello di debito. È stato infatti grazie all'assenza di debito pubblico che gli Stati Uniti hanno ottenuto e mantenuto il titolo di potenza mondiale tra il 1914 e il 1917. Gli Stati Uniti sono passati da un debito di 3 milioni di dollari (gran parte del quale nei confronti della Gran Bretagna) a un credito netto di una cifra simile, grazie ai 6 milioni di dollari dei crediti di guerra concessi agli alleati occidentali. Altri 3 milioni di dollari di credito per la ricostruzione europea nel dopoguerra hanno consolidato il suo status di primo paese creditore a livello mondiale, con un surplus pari all'8% del Pil.
Questo spostamento ha portato l'America a rimpiazzare la Gran Bretagna quale fulcro del sistema finanziario e monetario. In precedenza, grazie al sistema aureo e alla stabilità politica della Gran Bretagna, la City di Londra aveva svolto il ruolo di fonte principale di capitale e di garanzie finanziarie a livello mondiale, per più di un secolo.
La nuova era è iniziata improvvisamente nel gennaio del 1915 quando, dopo qualche mese di profonda incertezza, sono iniziate consistenti spedizioni d'oro con destinazione New York. Qualche mese prima, il finanziere veterano di Boston, Henry Lee Higginson, aveva presentato in una lettera al Presidente Woodrow Wilson quella che, a suo avviso, doveva essere la nuova strategia americana. «Questa è la nostra opportunità di arrivare al primo posto», scrisse. Era necessario ristabilire l'ordine nel sistema finanziario americano, ripagare i debiti, e, come aveva fatto Londra per lungo tempo, bisognava mantenere la fiducia, il che significava garantire la convertibilità del dollaro in oro.
Gli Stati Uniti sono riusciti da soli, tra le grandi nazioni del mondo, a garantire la convertibilità del dollaro durante tutto il periodo della Grande guerra. Con l'instaurarsi della pace, il dollaro e Wall Street erano diventate le forze dominanti nello scenario finanziario mondiale. Le regole del mercato finanziario, definite dopo il 1933 dal New Deal del Presidente Franklin Roosevelt, permisero al dollaro di rimpiazzare la sterlina britannica al centro del sistema internazionale.
Il ruolo di banchiere del mondo dell'America rimase invariato per i successivi 40 anni, fino a quando il Presidente Richard Nixon decise di disaccoppiare la relazione tra dollaro e oro. Ciò nonostante, pur in assenza del sistema aureo, l'economia americana, insieme al riciclaggio dei petrodollari, sarebbe comunque stata in grado di mantenere il dollaro in testa.
E infatti gli Stati Uniti sono rimasti i primi creditori a livello mondiale fino al 1986-1987, quando hanno rimesso le vesti di paese debitore. Nei due decenni a seguire, il debito americano si è sempre assestato intorno ai 3 trilioni di dollari, con aumenti e ribassi a seconda del tasso di cambio del dollaro.
Dal 1990, hanno iniziato a importare sempre più capitale, in particolar modo dall'Asia. A partire dal 2000, la Cina è poi diventata la prima fonte di finanziamento del debito pubblico, con grande contentezza degli americani in quanto ha permesso alla riserva federale statunitense di mantenere bassi i tassi di interesse.
Ma alcuni avevano già previsto dei rischi. L'economista svedese Axel Leijonhufvud aveva previsto un'inflazione dei prezzi dei beni immobili, in particolar modo delle case, e un peggioramento della qualità del credito. L'innovazione finanziaria ha trasformato in poco tempo la previsione in realtà. Basta ricordare che, nel 2008, solo 12 aziende al mondo avevano un rating AAA, mentre più di 60mila, la maggior parte americane, disponevano di prodotti finanziari strutturati con rating tripla A. Gli Stati Uniti sono passati da banchiere a fondo d'investimento mondiale.

Con questo cambiamento, si è perso l'imperativo tradizionale del banchiere di mantenere fedeltà e fiducia, di “conservare la fede” come sosteneva Higginson. Ed è nel debito pubblico americano che vengono ora accumulati i resti delle mancate promesse del sistema finanziario, così come in Italia la prodigalità statale del passato incide ora sul suo enorme debito pubblico.

Le cifre statunitensi sono sbalorditive. Il debito pubblico comprende non solo i 13,2 trilioni di dollari del governo federale, ma anche altri 3 trilioni di dollari di debito di stati, contee e città americane. Inoltre, ci sono i 3,9 trilioni di dollari di debito delle agenzie di finanziamento immobiliare americane sostenute dal governo (Fannie Mae, Freddie Mac e altre) che attualmente garantiscono più del 90% dei mutui statunitensi. Ciò ha portato il debito americano approssimativamente al 140% del Pil.
Il Congresso statunitense sa bene cosa implicano questi numeri, ma i suoi membri hanno deciso di chiudere gli occhi. Oltretutto, il presidente non ha più il dovere di presentare la previsione della posizione fiscale del paese dei cinque anni a venire, bensì solo quella di un anno.
Ma quali conseguenze ha tutto questo sull'economia mondiale? Non c'è alcuna grande potenza emergente che possa assumersi la responsabilità della finanza globale, com'è successo nel 1914. Allora, Wall Street era pronta per l'incarico. In futuro, potrebbero esserlo Shanghai e Hong Kong, ma questa possibilità non aiuta di certo il contesto attuale.

Come da me più volte riportato in tabelle apposite (in particolare vedere il mio post del 24 maggio 2010 dal titolo "Si è stabilizzato il rapporto euro/dollaro ?") il problema del debito e del deficit continua per gli Usa essere contemporaneamente un assillo sia economico ma forse ancor più geopolitico. In altra occasione ci addentreremo di più sui dettagli macroeconomci ma non può non risultare evidente l'importanza dielle future scelte di portafoglio della Cina e di altri Paesi sulla salute oltre che dell'economia reale americana. Quest'ultima ha fornito dati sul Pil del secondo trimestre che hanno deluso abbastanza con un +1,6% con un dato inferiore al 2,4% della prima stima). I dati del Pil sono stati nettamente influenzati da quelli del commercio estero in quanto è stato l'elevato deficit commerciale a giocare un ruolo rilevante balzando a 445 miliardi di dollari, sottraendo al prodotto interno lordo 3,37 punti percentuali, la maggiore riduzione da quando è iniziata la raccolta dati nel 1947. Inoltre i dati di oggi sulla disoccupazione Usa anche se migliori con gli occupati del settore privato che sono aumentati di 67mila unita' ben piu' delle 40mila previste fa salire comunque  il tasso di disoccupazione negli Usa ad agosto al 9,6% dal 9,5% di luglio.
Dunque è sull'organizzazione del lavoro (negli Usa o fuori ??) e sui consumi che gli Usa devono dimostare di avere idee chiare e determinate!! La poca fiducia nella politica della Casa Bianca è data da un sondaggio di oggi mostra che il 49% intende votare per i repubblicani alle elezioni di novembre mentre il 43% vuole votare per i democratici. Dal sondaggio pubblicato oggi dal quotidiano USA Today emerge inoltre che il 56% degli elettori disapprova la riforma sanitaria, la piu' importante legge fatta approvare dalla amministrazione Obama, mentre solo il 39% e' favorevole alla riforma. Il livello di popolarita' del presidente Barack Obama e' del 43%.
Infine un cenno all'Europa. Come si sa la Germania si è messa a fare la locomotiva come ai vecchi tempi e per la Bce che ha deciso di lasciare invariata la propria struttura di tassi d’interesse al minimo storico estendendo nel contempo la durata della «rete di sicurezza» stesa durante la crisi per assicurare liquidità al mercato ha  deciso di rialzare le previsioni di crescita per quest’anno e il 2011, rispettivamente all’1,6% e all’1,4%, rilevando che, anche se i dati economici più recenti sono stati migliori del previsto, la ripresa procederà «a un ritmo moderato con l’incertezza che tuttora sta prevalendo.