Torino, 13 marzo 2013
Da "Il Fatto Quotidiano" di Alessio Pisanò di oggi
Il provvedimento approvato dal Parlamento europeo assegna alla Commissione europea un ruolo del tutto inedito: la possibilità di pronunciarsi sui bilanci nazionali dei 17 Paesi della zona euro (a partire dal 2014) ed eventualmente di porre il veto (fino ad oggi poteva esprimere solo raccomandazioni).
Il Parlamento europeo approva il cosiddetto two pack ovvero la parte finale del nuovo regolamento di stabilità economica che assegna alla Commissione europea un ruolo del tutto inedito: la possibilità di pronunciarsi sui bilanci nazionali dei 17 Paesi della zona euro (a partire dal 2014) ed eventualmente di porre il veto (fino ad oggi poteva esprimere solo raccomandazioni). L’aula di Strasburgo cerca di rendere più trasparente e democratica possibile questa supervisione nonché l’assistenza finanziaria ai Paesi in difficoltà, vedasi Grecia. Insomma la maggior stabilità economica dell’eurozona costa ai suoi Paesi membri un pezzetto rilevante di sovranità, ma nell’ottica della nuova Unione economica e monetaria europea si tratta di una tappa fondamentale.
Entro il mese di ottobre di ogni anno, i 17 Paesi dell’eurozona dovranno sottoporre a Bruxelles i propri bilanci per l’anno successivo (in Italia la legge Finanziaria). La Commissione europea si pronuncerà caso per caso esaminando i conti previsti e, nel caso, potrà chiedere ai governi nazionali cambiamenti sostanziali nonché emettere sanzioni per chi non volesse adeguarsi. Si tratta del completamento naturale del lungo processo di integrazione economica iniziato con il Semestre europeo e che attraverso il nuovo Patto di stabilità (Fiscal compact) e il precedente Six pack, cerca di coordinare l’andamento economico dell’intera eurozona per evitare cortocircuiti come quello greco e, in misura minore, irlandese e portoghese.
Ad una maggior coordinazione e prevenzione internazionale fa da contrappeso una parziale perdita di sovranità economica per i 17 Paesi dell’area euro che in materia economica non potranno più decidere tutto da soli. A questo si aggiunge un altrettanto parziale deficit democratico che attribuisce ad un organismo tecnico come la Commissione europea (anche se i suoi commissari sono nominati dai governi nazionali e poi approvati dal Parlamento europeo) un potere economico inimmaginabile alla vigilia della crisi economica e che potrà essere difficilmente superato senza una più stretta unione politica a livello comunitario. Da questo punto di vista il Parlamento europeo ci ha messo una pezza cercando, nei limiti del possibile, di aumentare la trasparenza di questo controllo e di mitigare l’intervento della Commissione su determinati capitoli di spesa nazionale utili a stimolare la crescita e l’occupazione o gli investimenti in ambiti delicati come l’istruzione e la sanità, in particolare nei Paesi già in gravi difficoltà finanziarie (oggi sono stati approvati due rapporti, uno dell’eurodeputato popolare francese Jean-Paul Gauzès e l’altro della socialista portoghese Elisa Ferreira).
Più controllo anche sull’azione della Troika. Un maggior potere da parte di Bruxelles ed eventuali future assistenze finanziarie (tramite il fondo Ems) vuol dire anche la formazione di altre Troike, ovvero i “men in black” di Ue, Bce e Fmi che hanno seminato tanto panico in Grecia. Per non sentire più la parola commissariamento, il Parlamento europeo ha chiesto più trasparenza nel loro operato, ma su questo ci sono ancora pochi dettagli.
Infine un po’ di attenzione anche alla crescita. Contrariamente alle ali più a destra del Parlamento europeo che chiedevano solo più controllo e austerità, socialisti, verdi e liberali hanno insistito affinché si prendessero in considerazione determinate misure mirate alla ripresa e alla crescita, come l’istituzione di un Fondo europeo di redenzione (aiuto per gli Stati con debito pubblico oltre il 60% del Pil e utile per abbassare i tassi d’interesse sui titoli di debito pubblico), i cosiddetti Eurobills (sostituzione parziale delle emissioni nazionali di debito attraverso l’emissione comune sotto forma di un fondo di riscatto ed eurotitoli) e la creazione di un ‘gruppo di saggi’ che emetterà un parere sulla fattibilità di un sistema di eurobond (emissione di debito comune nell’area euro). Piaccia oppure no, l’accordo così come votato oggi dal Parlamento europeo, dovrebbe essere approvato anche dal Consiglio (in rappresentanza dei Paesi membri) ed entrare direttamente in vigore nel 2014 dal momento che non c’è bisogno di recepimento da parte delle normative nazionali (contrariamente alle Direttive Ue).
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