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I titoli dei Post hanno un link di riferimento al tema trattato

Finanza internazionale: regole uguali per tutti o no ????

Torino, 7 gennaio 2012
Davvero interessante il dibattito di come agiscono le Banche Centrali e quella "di fatto" NON come la Bce che ritroviamo su il Sole 24 Ore di ieri 6 gennaio. Il busilliss è sempre lo stesso. Cavatela da solo o ti stampo quanto moneta vuoi e ti salvo  !!!.  L'ultimo esempio è il caso di Usa e Uk. Il primo dell'Europa. Ma perchè queste disparità in un mondo globalizzato soprattutto per quanto riguarda la finanza ?????
Riprendo e ripropongo al riguardo alcuni temi già trattati su questo Blog ma che sono ALLA BASE DI RAGIONAMENTI CHE PORTANO TUTTI IN UNA SOLA DIREZIONE: CERTE REGOLE O VALGONO PER TUTTI O PER NESSUNO !!!! OPPURE RISCRIVIAMO NUOVE REGOLE  C I O E'   U N A    N U O V A    B R E T T O N        W O O D S  !!!!!!!!
ECCO I PUNTI SU CUI RIFLETTERE SEGUITI POI DALL'ARTICOLO DI IERI DE IL SOLE 24 ORE di cui si diceva.
-  i derivati sulle scene finanziarie mondiali sono il 12,5 volte di tutto il Pil mondiale aggregato;
- Da questo Blog del 1 febbraio 2010 e dal libro di Luciano Gallino dell'Università di Torino e sociologo industriale di fama dal titolo "Con i soldi degli altri" :
- 1) Una massa di risparmio equivalente al Pil del mondo viene gestita da enti finanziari quali fondi pensioni, fondi di investimento, assicurazioni, hedge funds e altre strumenti derivati (spesso nati solo come protezione al rischio d'impresa, tipo valute, materie prime, etc e poi degenerati in super strumenti speculativi)a loro completa discrezione.
2) Gli investitori istituzionali hanno oggi in portafoglio oltre la metà del capitale delle imprese quotate.
3) Nel tutelare gli interessi dei risparmiatori sono in genere indifferenti alle conseguenze sociali degli investimenti che effettuano. Non a caso ho recepito ieri in modo quasi "sconsolato" e "nervoso" la presa di posizione del presidente Usa Obama di far rientrare i capitali prestati alle maggiori banche Usa che erano andate in crisi scagliandosi ancora una volta contro i bonus miliardari degli amministratori. Leggi altrimenti come l'ultima riunione del G20 su questo tema non abbia ancora prodotto risultati a livello mondiale.
Uno studio del senato francese l'ha chiamata "ascesa al potere" degli investitori istituzionali. Come dargli torto guardando alla dinamica dei numeri. Nel 1992 essi gestivano in totale, nei Paesi Ocse, poco più di 15 trilioni di dollari. Nel 2002, alla fine di un decennio che fu il più prospero delle borse mondiali, quando la crescita del loro portafoglio rallentò un poco a seguito della crisi finanziaria esplosa in Usa a fine 2001 con il crollo della Enron, esso superava già largamente i 40 trilioni. Con la forte ripresa del mercato borsistico verificatasi tra il 2003-2004 e il 2007 e l'aumento del numero di sottoscrittori i capitali da loro gestiti sono ulteriormente cresciuti, in appena un lustro, ad un ritmo impressionante: oltre il 32% in totale, pari a 13 trilioni di dollari
Ed ecco l'articolo de Il sole 24 ore di ieri:
A inizio 2010 la Grecia poteva essere salvata con (solo) 167 miliardi
Banche contro Stati, salvataggi a due velocità
Cento miliardi di euro. Forse qualcosa in più. Erano i soldi che servivano, a inizio 2010, per stoppare sul nascere la spirale perversa della crisi greca. Un intervento, certo imponente, ma decisivo per evitare l'avvitamento su sè stessa della crisi ellenica e il suo dirompente effetto-contagio sull'intera stabilità dell'area dell'euro. Da dove spuntano quei 100 miliardi e per fare cosa? Quell'iniezione di denaro in un colpo solo avrebbe riportato il livello del debito greco alla soglia assai meno inquietante del 100% sul Pil. Con altri 23 miliardi si poteva colmare il deficit di bilancio del 2010 di Atene. E con un ulteriore soccorso di 44 miliardi si sarebbe portato il livello del debito sul prodotto interno al livello attuale della Germania, intorno all'80 per cento. Con 167 miliardi si mandavano in soffitta per qualche anno i guai greci. Oggi, due anni dopo, la Grecia viaggia con un debito al 164% del Pil, una recessione profonda e un passivo di bilancio al 9%. Si è perso tempo e l'influenza è diventata polmonite. Non solo per la Grecia, ma per tutti i paesi deboli dell'euro.
Ma si poteva intervenire in modo draconiano o è pura fantasia? Difficile dirlo con il senno di poi. Del resto chi obbligava l'Europa con la sua moneta unica, ma senza un Governo unico a soccorrere un paese inaffidabile e che il debito se l'era tutto costruito da solo? Quel debito non potevano certo sanarlo nè i tedeschi nè tanto meno finlandesi o francesi. Sarebbe stata una bestemmia. E così si è andati avanti prendendo tempo, traccheggiando, centellinando gli aiuti in piccole tranche.
Morale: la crisi è degenerata e ha prestato il fianco al più grande attacco finanziario all'Europa da parte di capitali in cerca di occasioni di guadagno. Prima il ventre molle ellenico, poi la Spagna e l'Italia. Con gli spread impazziti come non mai nel 2011 e le borse di tutta Europa che hanno vissuto l'anno scorso il loro annus horribilis. Con la crisi greca fuori controllo, ecco l'attacco all'Italia e perchè no anche alla Francia. Con i capitali Usa, fondi monetari in testa con i loro 700 miliardi di dollari, a fuggire dall'Europa continentale. Giù i prezzi dei bond pubblici, giù le borse.
Si poteva intervenire già nel 2010 anche sull'Italia, garantendo con 300 miliardi l'obiettivo di portare il debito/Pil al 100% e con 560 miliardi a livello tedesco. Non si è fatto per la Grecia figuriamoci per l'Itali
Il costo dell'inazione
Il non aver agito per tempo, l'inazione o meglio l'inanità dei governi europei e l'assenza di un prestatore di ultima istanza come la Fed americana ha avuto così un costo salatissimo. Per i greci, ma in realtà per l'intera Europa, Germania inclusa. Nel solo 2011 la ricchezza finanziaria bruciata sull'altare di una crisi lasciata incancrenire è pesante. Le borse dell'area euro hanno perso la bellezza di 520 miliardi di euro. Di questi ben 200 miliardi hanno riguardato le borse di Francia e Germania. Ma non solo le borse hanno punito l'Europa zoppa della moneta unica senza Governo federale. Il parco bond della Repubblica italiana ha perso in media in conto capitale circa 160 miliardi di euro nell'apice della crisi degli ultimi mesi del 2011. I bond greci sul mercato segnano perdite per 135 miliardi e 36 miliardi i bond portoghesi. Il conto sarà anche approssimativo ma siamo tra Borse e obbligazioni nell'ordine degli 850 miliardi di ricchezza finanziaria andata in fumo. Pagata dai risparmiatori europei. Poi va aggiunto il costo di mutui, prestiti alle imprese rincarati sull'onda degli spread impazziti. Si arriva facilmente ai mille miliardi.
L'interventismo anglosassone
Eppure la crisi dell'euro non nasce in Europa. Il prologo è tutto americano. La crisi tutta privata è partita da Wall Street. La turbo-finanza, fatta di mutui subprime e titoli tossici, dal crack Lehman in poi ha visto implodere il sistema bancario anglosassone. Cosa è avvenuto lì? I Governi Usa e britannico, la Fed e la Banca d'Inghilterra hanno messo in campo le contromisure: l'aiuto diretto e indiretto per salvare l'intero sistema bancario dei due paesi è stato, secondo i dati Mediobanca, di 2.800 miliardi di dollari (2.200 miliardi di euro) per Wall Street e di oltre 1.200 miliardi di euro per Londra e Dublino. Uno sforzo immenso. Ma che ha permesso a distanza di tre anni di schivare la crisi strisciante che invece ha avviluppato l'Europa della moneta unica. Lo si è fatto perchè lì non dovevano accordarsi 17 capi di Stato e le due banche centrali hanno inondato il sistema di liquidità. Ha avuto un prezzo: il debito a salire in condizioni oggi peggiori dell'eurozona e con un deficit di bilancio allargato al 9-10 per cento del Pil contro il 4 per cento dell'area euro. Tutto ovviamente ha un costo che da privato è diventato pubblico. Ma è solo la gabbia stretta dell'Europa, zoppa di guida politica, che finisce per trasformare l'influenza in polmonite.

Anche per l'Ungheria titoli spazzatura": lo dice Fitch !!

Torino, 7 gennaio 2012
Quando i mali non vengono mai da soli anche se la situazione era già nota ma "le solite" agenzie di rating ci danno una mano: Fitch taglia il rating dell’Ungheria a spazzatura  !!!
DA  LA  STAMPA  ONLINE  DI  IERI  6  GENNAIO  2012
Torna il nervosismo sulle Borse in Europa con i bancari nel mirino, gli spread in tensione e i mercati che ignorano i dati macro americani e temono il contagio della crisi del debito. Pesa il giudizio di Fitch che taglia il rating dell’Ungheria a spazzatura, mentre gli incontri tra i leader politici non sembrano cambiare le cose ma solo mostrare che la strada per uscire dalla crisi è ancora in salita. I titoli di Stato dell’Ungheria sono «spazzatura» anche per Fitch. L’agenzia Usa ha infatti tagliato il rating sul debito del Paese magiaro di un gradino, a BB+ da BBB-, confermando l’outlook negativo, e allineandosi così al giudizio espresso da Moody’s e Standard & Poor’s, che avevano già ridotto a "junk" il rating di Budapest nei mesi scorsi. «Il declassamento dell’Ungheria riflette l’ulteriore peggioramento dei conti pubblici, delle prospettive di crescita e le crescenti difficoltà a finanziarsi sui mercati», spiega Fitch, sottolineando che tutto questo «è stato causato in parte da politiche economiche non ortodosse, che minano la fiducia degli investitori e complicano la messa a punto di un accordo con l’Ue e l’Fmi per un nuovo pacchetto di aiuti». L’agenzia si riferisce in particolare alla svolta autoritaria che ha preso l’Ungheria con la riforma costituzionale voluta dal premier Viktor Orban, entrata in vigore il primo gennaio, e che modifica anche lo statuto della banca centrale ungherese svincolandola dal controllo della Banca Centrale Europea e portandola sotto quello del governo magiaro, violando i trattati dell’Unione Europea. Riforma, questa, che ha indotto la Ue e il Fondo Monetario Internazionale a sospendere il mese scorso i negoziati con Budapest sulla definizione di un pacchetto di salvataggio da concedere all’Ungheria.

Forza Europa !!! C'è la farai !!!

Torino, 4 gennaio 2012

Se c'è una ragione valida per "combattere per l'Euro e cioè per l'Europa" è far salva la storia dell'Antico Continente che percorre queste terre da sempre ed è diventata realtà dal dopoguerra ad oggi partendo dai principi di Spinelli e Schuman tanto per citarne alcuni dei Padri ispiratori di quello che in un domani saranno gli "Stati Uniti d'Europa" !!!!!!! 
Più di 60 anni di pensieri, idee ed ideali, azioni che superano le ideologie e i preconcetti per riflette una compiuta democrazia tendente all'unificazione di un territorio che in termini di cittadini, estensione territoriale (fusi orari ... come gli Usa), Pil complessivo, non è molto differente dagli Stati Uniti d'America.
Ecco perchè Barroso, presidente della Commissione UE, ha fatto trapelare, in questi momenti di difficoltà un documento "politico" di "UNITI VINCEREMO" !!!!!   Ne sono convinto !!!
Ecco il commento ripreso da La Stampa online di oggi a firma di Marco Zatterin.

 Il documento riservato di Barroso ai 26 Stati Ue: difendiamo lo spirito comunitario

Il «fiscal compact» come lo yogurt. La Commissione Ue vuole attribuirgli una scadenza, sostiene che «entro cinque anni» dall’entrata in vigore del Patto di Bilancio, varato a ventisei (senza Londra) il 9 dicembre, sia necessario «lanciare un’iniziativa che incorpori la sostanza dell’accordo nella cornice dell’Unione europea». Lo chiede per amore dello spirito comunitario, per evitare sovrapposizioni col diritto Ue, e per mettere una carica a tempo sotto il treno delle velleità intergovernative guidato da tedeschi e francesi. «Facciamolo pure strano», sussurra Bruxelles. Ma poi è meglio tornare sulla via maestra dei padri fondatori. Nelle sette pagine della memoria che i servizi del presidente Josè Manuel Barroso hanno messo sul tavolo della grande trattativa sulla nuova intesa SalvaEuro c’è tutta la paura di vedere incrinato ciò che, a fatica, l’Unione è riuscita a costruire sinora. E’ un documento di oculata difesa, quello della Commissione, scelta inevitabile così come quella dell’Europarlamento che - anche lui favorevole ad una scadenza quinquennale ha optato per un attacco ambizioso, invocando più coinvolgimento e controllo da parte delle attuali istituzioni comunitarie, oltre che la solidarietà d’un fondo comune per aiutare i paesi indebitati e la definizione di un percorso che arrivi agli eurobond odiati dai tedeschi. La trattativa decolla venerdì, giorno in cui gli sherpa dei governi vedono nuovamente con le istituzioni europee e i tre rappresentanti di Strasburgo, il tedesco Elmar Brok (Ppe), l’italiano Roberto Gualtieri (Pd) e all’ex premier belga Guy Verhofstadt (LibDem). Il tempo stringe, la crisi attanaglia l’Eurozona recessiva. Gli Stati hanno inviato le loro memorie, quella italiana risulta invocare più coordinamento senza ulteriori vincoli di bilancio. Cosa che, in linea col premier Monti, auspica anche la Commissione Ue, convinta che il «fiscal compact» non debba modo estendere lo spettro della legislazione esistente: «Un accordo intergovernativo fra gli Stati non deve contenere alcuna nuova procedura di coordinamento e vigilanza, né istituire nuovo organismo di monitoraggio che potrebbe interferire con quelli che agiscono secondo gli attuali trattati». Non andare oltre i Trattati, e quindi oltre i poteri delle istituzioni, è dunque la prima avvertenza di Barroso. E non spingersi oltre il mandato che i leader hanno attribuito al Fiscal compact, «perché ogni tentativo di allargarne il raggio d’azione porterebbe inevitabilmente ad un ritardo nel processo negoziale e, peggio, solleverebbe dubbi sulla solidità giuridica dell’accordo nei confronti del diritto comunitario». I sette cambiamenti proposti vanno in questo senso. Circoscrivere i lavori e, come sottointeso, anche la portata di un patto di cui pochi, oltre i tedeschi, comprendono il senso, visto che ripropone in una forma intergovernativa questioni che l’Ue ha già affrontato con atti di diritto secondario. Lo si capisce dall’emendamento numero uno, laddove recita che «il coordinamento delle politiche deve andare mano nella mano con la convergenza», termine quest’ultimo assente dalla bozza del 9 dicembre. Bruxelles si preoccupa per i rischi di sovrapposizione e invita a «tener conto» delle sue intenzioni di presentare proposte legislative. E’ una questione di coerenza, il che porta all’invito a «non costruire forme di coordinamento economico parallele alle esistenti», comandamento che vale per le istituzioni, di cui non se ne vogliono di nuove. Riduciamo le anomalie del «Compact», sembra dire la Commissione che, in questo, si ritrova con l’Europarlamento che vuole dialogo e solidarietà). La soluzione equilibrata del duello nel nome della stabilità dell’euro passa di qui, dalla voglia di unirsi e favorire un ritorno alla normalità non solo giuridica. Frau Merkel permettendo.

C'è ancora da fidarsi dell'esperienza di Soros ?

Torino, 3 gennaio 2012

Negli ultimi 10 giorni due notizie su Soros una pro (forse) e l'altra contro. Cominciando da quest'ultima si evince dai giornali del 29 dicembre scorso che secondo il Wall Street Journal Soros ha venduto quasi tutti i lingotti d'oro in suo possesso nel primo trimestre scommettendo invece su società minerarie. Da allora l'oro è salito dell'11 % mentre Barrick Gold, una delle società minerarie di cui è investitore, è scesa del 14 %.
Speriamo vada meglio sul fatto che compra a man bassa Btp. Secondo il Wall Street Journal, il suo team d'investimento del Soros Fund Management avrebbe comprato 2 miliardi di dollari in bond europei (soprattutto italiani) sulla piazza londinese da Kpmg Llp, l'amministratore che gestisce la bancarotta di Mf Global la società di brokeraggio finita di recente in bancarotta. L'acquisto a un prezzo inferiore ai valori di mercato è stato effettuato con una transazione che ha coinvolto anche JP Morgan. Secondo il quotidiano Usa, anche altre case di investimento hanno effettuato grandi acquisti dei titoli detenuti dal broker americano (in portafoglio aveva 6,5 miliardi di dollari in bond europei).