Torino, 5 agosto 2013
Si discute sempre più spesso qual è la mission e di conseguenza la ricetta dei Paesi più industrializzati per creare sviluppo. Nonostante che i sistemi economici avanzati si siano fondati sempre sulla crescita del manifatturiero, che comunque rimane pur sempre un cardine dello sviluppo, la globalizzazione indica che l'allocazione dei fattori produttivi non conosce confini. Che sia la Serbia, la Polonia, il Brasile o la Cina le produzioni tradizionali con know how consolidato si trasferiscono ancora per lo più dove il costo della manodopera è meno cara. Una ragione nota ma che serve ancora una volta in più per far sì che i Paesi occidentali "si inventino" dei modus operandi di strategia innovativa per la crescita e tenersi, con una più alta redditività, l'ingerizzazione dei processi produttivi anche con il manifatturiero ma come tipologie innovative rispetto al passato.
Illuminante in questo senso l'articolo pubblicato oggi su La Stampa online di Enrico Moretti.
Ecco che ve lo riproponiamo volentieri.
L’ADDIO DI USA
ED EUROPA A FABBRICHE E OPERAI - TECNOLOGIA E GLOBALIZZAZIONE HANNO SPOSTATO IN
CINA LA CATENA DI MONTAGGIO MONDIALE
L’industria manifatturiera americana, e parte di
quella europea, si sono trasferite a Shenzen - Nella megalopoli cinese, dove si
assemblano iPhone e iPad, c’è una marea di stabilimenti produttivi e uno dei
porti più trafficati del mondo (ogni anno si muovono 25 milioni di container)…
Enrico Moretti per "la Stampa"
La cartina economica del mondo sta
cambiando rapidamente e radicalmente. Nuovi centri di propulsione economica
stanno soppiantando i vecchi. Città che fino a qualche decennio fa non erano
che minuscoli punti a stento percepibili sulle cartine si sono trasformate in
floride megalopoli con migliaia di nuove aziende e milioni di nuovi posti di
lavoro.
In nessun luogo al mondo tale fenomeno è
più evidente che nella cinese Shenzhen. Se non l'avete mai sentita nominare,
prendetene nota. È uno dei centri urbani con il più rapido ritmo di crescita a
livello mondiale.
In trent'anni si è trasformata da
piccolo villaggio di pescatori a immane metropoli di oltre 15 milioni di
persone. Shenzhen ha visto crescere la propria popolazione di 300 volte; e in
questo processo è diventata una delle capitali dell'industria manifatturiera
del pianeta.
Il suo destino fu deciso nel 1979,
quando le autorità cinesi si risolsero a farne la prima «Zona Economica
Speciale» del Paese. In breve tempo le aree di questo tipo cominciarono a
calamitare investimenti esteri. Il flusso degli investimenti fece sorgere
migliaia di nuove fabbriche che producono una parte sempre crescente dei beni
di consumo dei paesi ricchi.
Una porzione consistente dell'industria
manifatturiera americana si è trasferita in quelle fabbriche. Mentre Detroit e
Cleveland perdevano posti di lavoro e si avviavano al declino, Shenzhen
prendeva quota. Oggi è disseminata di grandi stabilimenti produttivi. È al
primo posto tra i centri della Cina per volume di esportazioni e vanta uno dei
porti più trafficati del mondo, pieno di gru enormi, camion imponenti e
container di tutti i colori, che vengono trasferiti su navi da carico pronte a
salpare per la costa occidentale degli Stati Uniti o per l'Europa.
Ogni anno lasciano il porto venticinque
milioni di container: quasi uno al secondo. In poche settimane la merce arriva
a Los Angeles, Rotterdam o Genova e viene immediatamente caricata su un camion
diretto verso un centro di distribuzione Walmart, un magazzino Ikea o un Apple
store.
Shenzhen è il luogo dove vengono
assemblati l'iPhone e l'Ipad, esempi iconici della globalizzazione. La Apple è
nota per dedicare grande attenzione e risorse alla progettazione e al design.
Nel caso dell'iPhone e dell'iPad, la Apple ha dedicato la stessa attenzione
alla progettazione e all'ottimizzazione della catena di produzione globale.
Capire come e dove si svolge la produzione di celebri smartphone e tablet è
importante per capire come la nuova economia globale stia ridisegnando la
localizzazione dei posti di lavoro e quali siano le sfide del futuro per i
lavoratori dei Paesi occidentali.
L'iPhone e iPad sono stati concepiti e
progettati dagli ingegneri della Apple a Cupertino, in California. Questa è
l'unica fase del processo di produzione realizzata negli Stati Uniti. Vi
rientrano il design del prodotto, lo sviluppo di software e hardware, la
gestione commerciale, il marketing e altre funzioni ad alto valore aggiunto. In
questo stadio i costi del lavoro non rappresentano il fattore principale. Gli
elementi chiave sono piuttosto la creatività e l'inventiva degli ingeneri e dei
designer.
I componenti elettronici dell'iPhone -
sofisticati, ma non innovativi quanto il design - sono fabbricati in gran parte
a Singapore e Taiwan. L'ultima fase della produzione è quella a più elevata
intensità di manodopera, con gli operai che assemblano a mano le centinaia di componenti
che costituiscono il telefono e lo predispongono per la distribuzione. Questo
stadio, in cui il fattore essenziale è il costo del lavoro, si svolge nella
periferia di Shenzhen.
Lo stabilimento è uno dei più grandi al
mondo e le sue dimensioni sono già in sé qualcosa di straordinario: con 400.000
dipendenti, supermercati, dormitori, campi da pallavolo e persino sale
cinematografiche, più che una fabbrica sembra una città. Se comprate un iPhone
online, vi viene spedito direttamente da Shenzhen. E quando raggiunge il
consumatore americano il prodotto finale è stato toccato da un solo lavoratore
americano: l'addetto alle consegne dell'Ups.
È naturale, quindi, domandarsi che cosa
resterà ai lavoratori americani (e per estensione, europei) nei prossimi
decenni. L'America e l'Europa stanno entrando in una fase di irreversibile
declino? La risposta, almeno per l'America, è ottimistica. Per l'Europa, un po'
meno. Nel XX secolo, la ricchezza di un Paese era in gran parte determinata
dalla forza del suo settore manifatturiero.
Oggi questo sta cambiano. In tutti i
Paesi occidentali, l'occupazione nell'industria manifatturiera sta calando
ormai da trent'anni. Come si vede dalla figura, questo trend accomuna un po'
tutte le società avanzate, dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Gran Bretagna
all'Italia e persino la Germania.
Oggi l'impiego nell'industria
rappresenta più l'eccezione che la regola: in America, meno di un lavoratore su
dieci lavora in fabbrica. E' molto più probabile che un americano lavori in un
ristorante che in una fabbrica. Dal 1985 negli Stati Uniti l'industria
manifatturiera ha perso in media 372.000 posti di lavoro all'anno.
Questo declino non è solo l'effetto di
fenomeni a breve termine, come le recessioni: l'industria perde posti di lavoro
anche durante le fasi di espansione. Le ragioni sono due forze economiche
profonde: progresso tecnologico e globalizzazione. Grazie agli investimenti in
sofisticati macchinari di nuova concezione, le fabbriche occidentali sono molto
più efficienti che in passato e per produrre la stessa quantità di beni
impiegano sempre meno manodopera.
Oggi, in media, l'operaio americano
fabbrica ogni anno beni per 180.000 dollari, oltre il triplo che nel 1978. Per
l'economia in generale l'accresciuta produttività è un'ottima cosa, ma per le
tute blu ha conseguenze negative. Pensiamo, per esempio, alla General Motors.
Negli Anni 50, gli anni d'oro di
Detroit, ogni operaio dell'azienda produceva una media di sette auto l'anno.
Oggi ne produce 29 all'anno. Il calcolo dei posti di lavoro persi è molto
semplice: per fabbricare ogni auto oggi la General Motors impiega un numero di
operai quattro volte inferiore a quello del 1950. Gli operai dell'industria
producono più che in passato, e di conseguenza guadagnano stipendi più alti, ma
sono numericamente ridotti.
La seconda forza che sta decimando
l'occupazione manifatturiera dei paesi occidentali è la globalizzazione. Le
produzioni più tradizionali sono state le prime a essere delocalizzate.
L'industria tessile è l'esempio più ovvio. Provate a guardare dove sono
fabbricati gli abiti che indossate.
Se si tratta di capi venduti da una
ditta occidentale, probabilmente sono stati prodotti da qualche terzista
ubicato in Paesi come il Vietnam o il Bangladesh. I brand americani e europei
godono di ottima salute, ma solo una manciata di posti di lavoro - nel design,
nel marketing e nella distribuzione - sono rimasti negli Stati Uniti e in
Europa.
Altre parti della manifattura
tradizionale hanno esattamente le stesse dinamiche. Persino la produzione di
componenti elettroniche, computer e semiconduttori non è immune da questi
trend. Oggi, in America, lavorano nelle fabbriche di computer meno addetti che
nel 1975, quando il personal computer non era ancora stato introdotto.
La ragione è che ormai fabbricare
computer non è più particolarmente innovativo. L'hardware è diventata
un'industria matura, quasi quanto il tessile. L'assemblaggio e la fabbricazione
di molti componenti è stata trasferita in Cina o Taiwan. Il primo lotto di
duecento computer Apple I fu assemblato nel 1976 da Steve Jobs e Steve Wozniak
nel leggendario garage di Los Altos, nel cuore di Silicon Valley. Negli Anni 80
la Apple fabbricava la maggior parte dei suoi Mac in uno stabilimento situato
poco lontano, a Fremont.
Ma nel 1992 l'impianto fu chiuso e la
produzione spostata, prima in aree più economiche della California orientale e
del Colorado, poi in Irlanda e a Singapore. Oggi a Shenzen. È lo schema seguito
da tutte le altre imprese americane. Tutti conosciamo Apple, Ibm, Dell, Sony,
Hp e Toshiba. Quasi nessuno ha mai sentito parlare di Quanta, Compal, Inventec,
Wistron, Asustek. Eppure il 90% dei computer portatili e dei notebook venduti
con quei marchi famosi è in realtà fabbricato negli impianti di una di queste
cinque aziende, a Shenzhen.
Anche se tutte le società occidentali
sono accomunate dalla contrazione strutturale del settore manifatturiero, non
tutte hanno saputo reagire in maniera soddisfacente a questo declino. In questo
quadro, l'economia Americana è posizionata molto meglio di molto altri paesi
occidentali. A differenza della maggior parte dei Paesi Europei, e dell'Italia
in particolare, negli ultimi cinquant'anni, gli Stati Uniti si sono
reinventati, passando da un'economia fondata sulla produzione di beni materiali
a un'economia basata su innovazione e conoscenza.
L'occupazione nel settore
dell'innovazione è cresciuta a ritmi travolgenti. L'ingrediente chiave di
questo settore è il capitale umano, e dunque istruzione, creatività e
inventiva. Il fattore produttivo essenziale sono insomma le persone: sono loro
a sfornare nuove idee. Le due forze che hanno decimato le industrie
manifatturiere tradizionali - la globalizzazione e il progresso tecnologico -
stanno ora determinando l'espansione dei posti di lavoro nel campo
dell'innovazione.
La globalizzazione e il progresso
tecnologico hanno trasformato molti beni materiali in prodotti a buon mercato,
ma hanno anche innalzato il ritorno economico del capitale umano e
dell'innovazione. Per la prima volta nella storia, il fattore economico più
prezioso non è il capitale fisico, o qualche materia prima, ma la creatività.
Non sorprende perciò che la parte più
importante di valore aggiunto dei nuovi prodotti sia appannaggio degli
innovatori. L'iPhone consta di 634 componenti. Anche se vi lavorano in
centinaia di migliaia, il valore aggiunto generato a Shenzhen è molto basso,
perché l'assemblaggio potrebbe essere effettuato in qualsiasi parte del mondo.
La forte competizione globale limita anche il valore aggiunto dei componenti,
comprese le parti elettroniche più sofisticate, come la flash memory o il
retina display.
La maggior parte del valore aggiunto
dell'iPhone viene dall'originalità dell'idea, dalla formidabile progettazione
ingegneristica e dall'elegante design. Quindi non deve stupire che, pur non
producendo nessuna parte materiale del telefono, la Apple guadagni 321 dollari
per ogni iPhone venduto, il 65% del totale, ben più che qualsiasi fornitore di
componenti coinvolto nella fabbricazione fisica dell'apparecchio. Ciò è di
notevole importanza non solo per i margini di profitto della Apple, ma
soprattutto perché si traduce nella creazione di buoni posti di lavoro in
America.
Oggi è questa la parte dell'economia che
crea valore aggiunto. Una parte dei 321 dollari incassati dalla Apple finisce
nelle tasche degli azionisti della società, ma una parte va ai dipendenti di
Cupertino. E l'alta redditività incentiva l'azienda a proseguire sulla via
dell'innovazione e a reclutare nuovo personale. Studi economici recenti
mostrano che più un'impresa è innovativa, più alti sono i salari offerti ai
dipendenti.
Il settore dell'innovazione comprende
l'advanced manufacturing, o industria avanzata (come quella che progetta gli
iPhone o gli iPad), software e servizi Internet, le biotecnologia, l'hi-tech
del settore medico, la robotica, la scienza dei nuovi materiali e le
nanotecnologie. Ma l'ambito dell'innovazione non è circoscritto all'alta
tecnologia. Vi rientra qualsiasi occupazione capace di creare nuove idee e
nuovi prodotti.
Ci sono innovatori nel settore
dell'intrattenimento, in quello dell'ambiente e persino nella finanza e nel
marketing. L'elemento che li accomuna è la capacità di creare prodotti nuovi
che non possono essere facilmente replicati. Tendiamo a concepire l'innovazione
in termini di beni materiali, ma può anche trattarsi di servizi, per esempio di
nuovi modi per raggiungere i consumatori o per impiegare il nostro tempo
libero.
Nei prossimi decenni la competizione
globale sarà incentrata sulla capacità di attrarre capitale umano e imprese
innovative. Il numero e la forza degli hub dell'innovazione di un Paese ne
decreteranno la fortuna o il declino. I luoghi in cui si fabbricano fisicamente
le cose seguiteranno a perdere importanza, mentre le città popolate da
lavoratori interconnessi e creativi diventeranno le nuove fabbriche del futuro.
Nel prossimo articolo vedremo come l'Italia si posiziona in questo quadro
globale sempre più competitivo.